Alimentare la speranza contro la società dell’angoscia

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Tra i massimi pensatori contemporanei, Byung-Chul Han nasce a Seoul nel 1959 ma i suoi studi di formazione hanno sede in Germania, in particolare tra Friburgo e Monaco di Baviera, divenendo poi docente di Filosofia e Studi culturali presso l’Università di Berlino. In Italia i suoi scritti sono stati pubblicati da Einaudi, con particolare riferimento agli ultimi anni della sua intensa attività, attraverso titoli quali La società senza dolore (2021), Le non cose. Come abbiamo smesso di vivere il reale (2022), Infocrazia. Le nostre vite manipolate dalla rete (2023) e La crisi della narrazione. Informazione, politica e vita quotidiana (2024).

Il suo ultimo lavoro, sempre nella collana Stile Libero Extra di Einaudi, è Contro la società dell’angoscia. Speranza e rivoluzione (pp.103, euro 13, nell’ottima traduzione di Armando Canzonieri), che recupera alcune delle teorie proposte nei volumi precedenti, focalizzandosi in particolare sul concetto di speranza, una speranza secondo il filosofo perduta nel corso del tempo causa l’avanzata dirompente di un altro sentimento, quello dell’angoscia, che attualmente pervade la nostra intera società. Ma se è l’angoscia a dominare oggi ciò non accade per misteriose circostanze, quanto in virtù di una volontà determinata da chi gestisce i gangli del potere.

Scrive infatti Byung-Chul Han sin nel preludio al testo:

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L’angoscia si aggira come uno spettro, Tutti noi ci troviamo permanentemente faccia a faccia con scenari apocalittici: una pandemia, una guerra mondiale, una catastrofe climatica. La fine del mondo o della civiltà umana viene sempre più spesso evocata come un qualcosa di incombente, imminente”.

Non serve riflettere molto per comprendere e condividere parole così limpide, quasi categoriche. In questo ventunesimo secolo, battezzato dall’attentato alle Twins Tower, un crescente senso di angoscia attanaglia la maggioranza della popolazione mondiale, diverso però da quello maturato nel Novecento in tempo di Guerra Fredda, dove la corsa agli armamenti nella competizione Usa-Urss ha vissuto qualche momento di tensione vicinissimo al “gesto estremo” (su tutti l’invasione della Baia dei Porci a Cuba), allo stesso tempo riuscendo comunque a garantire un minimo di stabilità nella gestione dei due blocchi.

Noi, in questo presente ormai privo di alcuna certezza a cui affidarsi, assistiamo attoniti al disfacimento di una cultura sociale dovuta a una chiusura progressiva dell’individuo, avvolto sempre più dentro sé stesso, in preda all’angoscia, per l’appunto, di un futuro sempre più prossimo e sempre meno propenso a lasciar immaginare un orizzonte sereno.

A chi giova tutto questo? Secondo Han ci sono pochi dubbi, dato che, conditi da un crescente stato d’animo depressivo, “angoscia e risentimento spingono le persone tra le braccia delle destre populiste e alimentano l’odio”. Di contro sono la solidarietà, l’amicizia e l’empatia, qualità umane da sempre coltivate nella società umana, che stanno subendo un attacco mai ricevuto prima, “un’erosione” caratterizzante i tempi che viviamo in questa epoca.

Questo però non significa che niente possa essere fatto nel tentativo di cambiare l’ordine attuale delle cose. Ed è qui che entra in gioco la speranza, una speranza “non passiva ma attiva”, composta di pensiero e azione, per sua stessa natura portata a ricostruire un tessuto solidale, guardando al futuro con occhi diversi nel corso del suo divenire, perché “a chi spera il mondo appare sotto una luce differente”, dato che “la speranza illumina il mondo”.

Chiamando in causa illustri pensatori del passato più o meno recente, da Cartesio a Spinoza, da Ernst Bloch ad Albert Camus, e convocando anche le declinazioni che della speranza hanno offerto personaggi quali Martin Luther King e Barack Obama, il capitolo conclusivo dal titolo “Speranza come forma di vita” è dedicato all’analisi di “Essere e Tempo” di Martin Heidegger, un autore che secondo Byung-Chul Han “non possiede alcuna sensibilità per il possibile, per il venturo”, restando così chiuso in sé stesso rispetto al “radicalmente Nuovo”, al “totalmente Altro”, che solamente una speranza viva, alimentata giorno dopo giorno da una consapevolezza e un’attività collettive, può provare a fornire al mondo che verrà.

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Ed è qui che la speranza sposa la rivoluzione, intesa come nuova partecipazione comune, che riconduca a un pensiero che si genera non per “l’essere al mondo” ma nel “venire al mondo” come nuova nascita, come qualcosa che ancora non c’è, ma che può nascere lavorando insieme in questa prospettiva.

Le notizie che a ogni momento ci bombardano, descrivendo una realtà sempre più tetra e indecifrabile, non è detto durino per sempre, sino alla fine dei giorni: dipenderà anche dalla nostra capacità di tornare a sperare, liberandoci dall’angoscia, coltivando questa speranza attraverso le nostre azioni quotidiane.



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