L’iniziativa ha incassato il plauso degli addetti ai lavori. Secondo il presidente di AssoNext, l’associazione delle pmi quotate, Giovanni Natali (nella foto), «non è accettabile che i risparmi forzati dei lavoratori italiani vengano investiti in maggioranza in aziende estere, che poi fanno concorrenza alle nostre pmi. Questa impostazione, abbinata al fondo di fondi del Mef, potrebbe essere la svolta rivoluzionaria per favorire la capitalizzazione e la crescita delle Pmi italiane». Simone Strocchi, presidente di Electa Ventures e membro del cda di AssoNext, giudica «molto valido il provvedimento che intende obbligare casse previdenziali e magari anche assicurazioni vita integrative a investire una percentuale dell’amministrato in piccole e medie imprese». Per Strocchi, «se il sistema non si muove velocemente verso una soluzione, si rischia di perdere la base industriale del Paese». L’esperto paventa il rischio di un aumento dei delisting, «finanziati da fondi di private equity internazionali che cambiano poi il controllo della governance societaria» e rivendono l’azienda ad altri fondi il cui unico scopo è la massimizzazione dei profitti. Basti pensare che solo negli ultimi due mesi sono state portate a termine tre Opa sulle Pmi, mentre una quarta è stata lanciata mercoledì dalla società francese Audensiel sulla genovese Fos. Per questo l’iniziativa, la prima in Europa, di istituire un “umbrella fund” e di prevedere un obbligo per i fondi pensione di investire nelle imprese di piccole e medie dimensioni può costituire un sostegno importante al tessuto produttivo italiano. Con una dote compresa tra i 700 milioni e un miliardo di euro, il fondo punta infatti a sostenere le Pmi, contrastare i delisting e incentivare la quotazione in Borsa delle aziende. Inoltre, il veicolo avrà anche la possibilità di investire nelle Ipo, con un ammontare minimo di 10 milioni di euro.
Il fondo agirà come un catalizzatore, raccogliendo le risorse da investitori istituzionali e aumentando così la liquidità del mercato finanziario, che rappresenta un’alternativa al credito bancario per la crescita e lo sviluppo delle aziende. Si punta così a rilanciare un mercato che negli ultimi anni sta segnando il passo, come dimostra il divario di performance tra le large e le small cap, che hanno sofferto anche dei deflussi derivanti dai riscatti dei Pir. Mentre l’anno scorso, sulla spinta del rialzo dei tassi che ha gonfiato utili e quotazioni dei titoli bancari, il Ftse Mib ha registrato una crescita del 12,6% (Ftse Italia Mid Cap +7,2%), l’Euronext Growth Milan ha messo a segno un calo del 4,8%. Dopo aver toccato il picco nel 2021 a 11,519 miliardi di euro, l’anno scorso la capitalizzazione del listino Egm si è attestata a 8,125 miliardi, in lieve crescita rispetto al 2023 (8,02 miliardi). Nello stesso periodo di tempo, le società quotate sono passate da 203 a 210. Nel corso dell’anno si sono verificati 14 delisting (di cui 6 Opa) contro i 21 del 2023. A evidenziare le difficoltà dell’Egm sono anche i dati sul capitale raccolto, pari a 180 milioni di euro, in netto calo rispetto agli 835 milioni di euro nel 2021, e il numero di quotazioni, appena 21 rispetto alle 44 del 2021. Insomma, l’esigenza di dare ossigeno al mercato è impellente.
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