Giuseppe Cappiello: “Molto bene l’Università a Rimini, ma a Forlì e Cesena sono stati più bravi”

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Dopo l’intervento di Vittorio D’Augusta (“Non mi appassiona Rimini capitale della cultura, ma che Rimini la cultura la ascolti”e le interviste a Pietro Leoni (“La musica che serve alla cultura di Rimini va suonata tutti assieme”), a Emilia Guarnieri Smurro (“Credo ancora nell’amicizia fra i popoli e spero che cresca a Rimini”), la lettera della prof.ssa Maria Virginia Cardi (“A Rimini intrattenimento effimero sta continuando a snaturare il centro storico e non solo”), l’intervista a Ferruccio Farina (“Sarebbe ora di Make Rimini Great Again (senza copiare Trump)”), l’intervento di Jessica Valentini, Vice-Presidente dell’Associazione il Palloncino Rosso (“Con la cultura dal basso Rimini può volare alto”), la lettera/testimonianza di Damiana Bertozzi (“Guardiamo al futuro di Rimini con una visione non solo locale”), il colloquio con il gallerista Giovanni Tiboni (Rimini è fuori dai circuiti delle grandi mostre di arte contemporanea”), l’intervista all’editore Adolfo Morganti (“Io editore di Vannacci senza tessere di partito) l’intervista al critico d’arte Alessandro Giovanardi (“A Rimini la cultura annoia la gente comune? Va a capire chi è, questa gente comune”)  proseguiamo i nostri colloqui sull’impegno degli uomini e delle donne di cultura riminesi per la crescita della nostra Città dando la parola a Giuseppe Cappiello, Professore Associato di Economia e Gestione delle imprese presso il Dipartimento di Scienze Aziendali dell’Università di Bologna.

Giuseppe Cappiello

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Come ormai è d’obbligo ad inizio delle nostre interviste Le chiediamo cosa ne pensa delle riflessioni di Vittorio D’Augusta che hanno dato vita a questi approfondimenti sulla cultura riminese? Sono solo una provocazione oppure solleva problemi reali?

“Ho apprezzato molto la lettera “a tradimento”, nel senso che D’Augusta ha spiegato, perché ha obbligato tanti a riflettere su questo tema, importante e urgente. Mi permetto solo di integrare il concetto di cultura cittadina da lui proposta con un aspetto che mi sta molto a cuore: una comunità si caratterizza anche per le norme e i valori che regolano i rapporti quotidiani ed in particolare dalla fiducia che via via si consolida nelle relazioni. Ecco, penso che anche su questo aspetto si debba lavorare tanto. Io tendo a guardare soprattutto la realtà economica e vedo che troppo spesso contratti non vengono rispettati o i fornitori pagati quando capita, non c’è programmazione oppure le banche chiedono garanzie personali più che altrove perché evidentemente non si fidano delle forme societarie e non vado oltre. Una città “colta” non è quella dove risiedono un numero maggiori di persone che hanno studiato, ma è un ambiente che non disperde il “capitale sociale”, così viene definito l’accumulo di risorse relazionali di una rete di persone. Penso che questa dimensione della cultura, la fiducia nelle relazioni costruite nel tempo, dovrebbe diventare una caratteristica “atmosferica” (l’espressione non è mia ma di un noto economista del secolo scorso).
Chi si incaricava di irrobustire la rete di relazioni fiduciarie erano i corpi intermedi, le associazioni nel caso delle attività economiche, ma queste realtà ora sono fortemente in crisi pertanto il rischio di non vivere “sanamente” come auspica D’Augusta ora è molto alto”.

Lei conosce Rimini, da anni insegna anche nel campus riminese. Prendiamo il tema cultura da lontano. Negli ultimi trent’anni abbiamo assistito a significativi passi avanti del Polo universitario riminese e quello che era poco più di un ufficio in Piazza Tripoli è diventato un vero e proprio Campus in pieno centro storico, frequentato da tanti studenti provenienti da ogni parte del mondo. Ma il sapere universitario è penetrato nella Città? Lei è già più volte intervenuto negli ultimi anni proponendo innovazioni, collegamenti con il mondo produttivo e con la Città. Non mi sembra però che questi suoi messaggi siano stati raccolti. Mi sbaglio?

“Sicuramente sono stati fatti passi avanti significativi tuttavia, per guardare al futuro, dobbiamo essere leali ammettere che altri, penso Forlì e Cesena, sono stati più bravi. Non dico questo solo in termini di numero di studenti, che è solo uno degli indicatori. Rimini è nota a livello internazionale, abbiamo tanto spazio libero nel centro storico (edifici e negozi da utilizzare) ed un tessuto economico che vanta alcuni attori di dimensione globale e questi potrebbero essere gli ingredienti su cui rilanciare la presenza universitaria. Giovani colleghi molto capaci si sono trasferiti a Rimini con le famiglie perché qua si vive bene ma devono essere messi in condizione di esprimere tutte le loro potenzialità; se questo non verrà fatto se ne andranno perché ricevono offerte più allettanti da altri centri di ricerca. Non mi aspetto che raccolgano i miei messaggi, sono uno tra i tanti, ma che non si accontentino dell’esistente. Il mondo vive una costante instabilità e basta un attimo per perdere posizione”.

Cosa ne pensa della facoltà di turismo a Rimini? Serve alla Città, fornisce personale di qualità alla nostra industria turistica? Eleva le capacità del management turistico riminese per le sfide del prossimo futuro?

“Un paio di anni fa è stata fatta la scelta coraggiosa di trasformare un Corso di laurea tradizionale in Economia del turismo con insegnamenti in italiano, in un nuovo Corso in inglese Economics of Tourism and Cities che inserisce gli studi sul turismo in quelli più ampi dello sviluppo locale e delle città. Questa scelta è stata molto criticata, si diceva che non ci sarebbero stati iscritti e persino le testate giornalistiche nazionali si sono occupate di noi perché qualcuno sosteneva che lo studio in inglese danneggia le imprese locali. Critica che ovviamente si commenta da sola”.

“Quel Corso, ora vede la presenza di studenti italiani insieme a coetanei internazionali e pare soddisfare molto gli iscritti. Racconto questo piccolo aneddoto non per difendere il nostro operato, sempre correggibile, ma per invitare tutti a non essere solo reattivi, com’è nel nostro temperamento, ma lasciare spazio ai tentativi di innovare anche se diversi da come avremmo fatto.
Potrà sembrare che le figure professionali che formiamo non sono quelle che servono al territorio; io sono tra quelli che non pensano questo. Sicuramente i nostri corsi devono essere molto più attenti ai fabbisogni ma, come si suol dire, non c’è niente di più pratico di una buona teoria. Poi ci sono anche altre agenzie formative che possono coprire la formazione in quelle aree professionali non coperte dall’Università; in questo senso penso che la scuola alberghiera di Rimini e gli Its andrebbero completamente riformati. Gli insegnanti della scuola alberghiera sono degli eroi mandati sul fronte senza possibilità di azione reale, penso a strumenti innovativi o anche provvedimenti disciplinari”.

E proseguendo, legandoci al tema del nostro colloquio, il binomio turismo e cultura va ancora perseguito e come?

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“Se accettiamo l’estensione del concetto di cultura che ho proposto in apertura, il legame cultura e turismo è imprescindibile. È stato fatto tanto dalle istituzioni locali per arricchire l’offerta culturale locale, in termini di eventi e di siti ma occorre una comunità che viva in prima persona la gratitudine per la tradizione, per quello che ci è stato consegnato e la faccia sperimentare anche a chi viene a Rimini per qualche giorno. Turismo non è tempo perso ma tempo impiegato per ciò che ci interessa, compreso vedere una mostra o passeggiare per piazza Malatesta. In questo senso forse sarebbe più chiaro parlare di ospitalità più che di turismo, per l’accezione che spesso si dà al turismo”.

“A Rimini ci sono iniziative di caratura internazionale e si possono incontrare personalità difficilmente incontrabili altrove. Penso al Meeting o certi eventi fieristici. Secondo me, alle turistiche imprese locali serve proprio questo, personale in grado di comprendere i cambiamenti in corso e ciò che abbiamo tra le mani. Da ultimo, forse è arrivato il tempo di prendere atto che Rimini non è solo turismo ma anche (soprattutto) industria, servizi ad alto contenuto di conoscenza e imprese agricole che offrono prodotti straordinari”.

A Rimini ci sono 19 corsi di laurea con oltre 6.000 studenti, alcuni estremamente innovativi (sto pensando in particolare a quelli del Tecnopolo). Qui probabilmente si sta lavorando, come in tante altre parti del mondo, sulla intelligenza artificiale. La nuova frontiera dell’informatica al servizio dell’industria, ma anche del giornalismo, dell’arte, della cultura, della scienza. Grandi opportunità, ma anche terribili paure per le conseguenze sull’umanità. Lei che insegna marketing, anche per le aziende pubbliche, cosa ne pensa?

“Quando la macchina a vapore entrò nello scenario della storia si temeva che solo alcuni avrebbero beneficiato della produzione industriale. Per certi aspetti così è stato ma occorre anche ammettere che la società nel suo complesso si è sviluppata e i beneficiari sono stati molto di più di quanto si credeva.
Oggi siamo ad un passaggio altrettanto critico per fasce intere di lavoratori quindi è necessario innanzitutto capire di cosa si sta parlando e capirne la direzione. Chiarire qual è il significato del lavoro che si fa. Anche in questo gli studi universitari, insieme con le altre organizzazioni possono e devono essere di aiuto. Quando nel 2020 l’emergenza sanitaria ha bloccato tutte le attività colpendo soprattutto quelle a contatto con il pubblico, come quelle dell’ospitalità, vedendo le reazioni degli imprenditori abbiamo condotto una ricerca che è poi stata pubblicata su una prestigiosa rivista internazionale. I risultati documentavano che gli imprenditori che non riuscivano a dare un significato (sensemaking), una direzione a quanto succedeva, sono quelli che hanno performato peggio. Al contrario quelli che avevano rapporti anche fuori dal network abituale hanno risentito molto meno, qualcuno ha anche beneficiato della situazione. Dall’introduzione delle nuove tecnologie è necessario capirne il senso, che appunto significa direzione, e qual è il posto per la persona. Per questo io preferisco parlare di intelligenza aumentata più che artificiale perché può essere un grande aumento delle capacità umane, se non abdichiamo al pensiero.
D’altro canto la letteratura ha ampiamente dimostrato che le città in cui ci sono centri di ricerca attivi c’è più innovazione e benessere”.

Infine vorrei chiederle una sua valutazione sullo stato delle iniziative culturali riminesi, delle sue istituzioni culturali e su come queste interagiscono, se lo fanno, con il mondo universitario della nostra Città?

“Alcune iniziative culturali vengono apprezzate a livello internazionale, non c’è dubbio. Allo stesso tempo ritenere, come ogni tanto si tende a fare, che non ci sia luogo al mondo migliore di Rimini risulta quantomeno provinciale.
Quanto alla relazione con il mondo universitario mi pare che il più delle volte si cerchi un professore qualsiasi per nobilitare il programma di un evento o un consiglio di amministrazione più che le specifiche competenze. Occorre tempo e bisogna dire che la stima va guadagnata, non deriva dal biglietto da visita”.

Per chiudere ci potrebbe dire quale sarebbe la sua speranza più rilevante da mettere in campo, da costruire per la cultura riminese?

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“Mi piacerebbe una ripartenza reale del piano strategico. Io all’inizio, tanti anni fa, non ne avevo capito l’importanza ma poi quando ho visto lavorare insieme decine e decine di persone mi si è chiarito che la vera ricchezza è questa: idee in movimento dal basso e relazioni trasversali. Idee antiche e nuove di lavoro e al tempo stesso di costruzione per tutti. Anche altri che sono intervenuti nel dibattito lo hanno segnalato. La politica, per come viene vissuta in Italia in questo momento raramente consente di andare oltre gli steccati.
Un gruppo di giovani che riprende in mano la progettualità per la città sarebbe una spinta per tutti e quindi grande novità culturale”.

Paolo Zaghini

Giuseppe Cappiello
Nato a Rimini nel 1968. È Professore Associato di Economia e Gestione delle imprese presso il Dipartimento di Scienze Aziendali dell’Università di Bologna.
Dopo aver conseguito il Dottorato di Ricerca in “Gestione, Strategia e metodi quantitativi di impresa” all’Università degli Studi di Milano ed essere stato Visiting Scholar alla Kellog School of Management (Northwester University – Illinois), dal novembre 2024 è Coordinatore del Corso di Laurea Magistrale in Amministrazione e gestione d’impresa.
I principali interessi di ricerca riguardano il management dei servizi e la gestione della conoscenza nelle imprese.
Ha svolto l’attività di ricerca, soprattutto in una prospettiva di marketing, in ambito dei servizi pubblici, dei servizi ad alta intensità di conoscenza (Kibs), dell’hospitality e dello sport.
È membro del Collegio dei docenti del Dottorato in Public Governance, Management e Policy.
Ha pubblicato su importanti riviste internazionali.



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