Un Pnrr per pochi beneficiari e il Sud resta più penalizzato

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L’avete notato? Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) è sparito dal dibattito pubblico. L’ex ministro Raffaele Fitto si è insabbiato a Bruxelles lasciando al neo-ministro Tommaso Foti il difficile compito di gestire un dossier che, al di là della retorica di governo, non sta procedendo come ci si aspetterebbe. Almeno a leggere i dati di Openpolis: la nuova analisi aggiornata al 30 novembre 2024 conferma che l’attuazione del Piano concentra le risorse su un numero ristretto di beneficiari, mentre il Mezzogiorno continua a incontrare difficoltà maggiori rispetto al Nord.

Un piano per pochi: chi si arricchisce con i fondi Ue?

I fondi del Pnrr, che sulla carta avrebbero dovuto incentivare una ripartenza equa, sono stati in realtà distribuiti in maniera squilibrata. Dei 269.299 progetti finanziati, il 34,3% delle risorse, pari a 66,6 miliardi di euro, è stato destinato a soli 100 soggetti. Tra questi, i principali beneficiari sono enti pubblici o società a partecipazione pubblica, come Rete Ferroviaria Italiana, che ha ricevuto la quota più alta di finanziamenti con 22,4 miliardi di euro, seguita da E-Distribuzione con 3,5 miliardi e dal Ministero della Giustizia con 2,4 miliardi. La Campania si conferma la regione più finanziata con 1,7 miliardi, mentre Roma è il comune che ha ottenuto più risorse con 1,1 miliardi. Questa concentrazione delle risorse evidenzia inevitabilmente il rischio di monopolizzazione degli investimenti da parte di grandi soggetti pubblici e privati, mentre gli enti locali più piccoli e il Sud del Paese continuano a incontrare ostacoli nella capacità di accesso e utilizzo dei fondi.

Analizzando i settori di destinazione, emerge come le infrastrutture assorbano una fetta rilevante delle risorse già assegnate, con il 35,4% dei fondi, pari a circa 50 miliardi di euro. Seguono gli interventi per l’istruzione e la ricerca, con 25,2 miliardi di euro, e quelli per la transizione ecologica, che ammontano a 18,4 miliardi. Nonostante il numero complessivo di progetti attivi sia aumentato negli ultimi mesi di 6.868 unità, alcune aree hanno subito riduzioni importanti. La transizione ecologica ha visto un calo di 1.810 progetti, mentre nel settore delle infrastrutture sono state tagliate 1.049 opere, nonostante l’aumento dei fondi assegnati di 1,4 miliardi. La capacità di spendere concretamente i fondi rimane un nodo critico: al 30 novembre 2024 risulta speso solo poco più del 30% del totale, ovvero 59 miliardi di euro, un dato che riflette l’incapacità di trasformare i finanziamenti in opere tangibili. Il settore delle infrastrutture risulta quello con il più alto avanzamento nei pagamenti, mentre le risorse dedicate alla pubblica amministrazione, alla transizione ecologica e alla cultura rimangono largamente inutilizzate.

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Il Sud dimenticato: la frattura che il Pnrr non sanerà

Il divario tra Nord e Sud si manifesta chiaramente anche nella capacità di realizzazione. La Lombardia ospita il maggior numero di progetti, 41.290, con 18,9 miliardi di euro assegnati, seguita da Campania con 15,9 miliardi e Veneto con 13,5 miliardi. Ma se al Nord l’attuazione procede più spedita, al Sud la situazione è ben diversa. La Calabria ha raggiunto appena il 10% delle risorse già erogate, mentre Campania, Sicilia e Sardegna si attestano su percentuali tra il 13% e il 14%. In confronto, il Veneto è la regione più avanti, con il 28% delle risorse già erogate, seguito da Trentino-Alto Adige con il 24% e Liguria con il 22%. Le regioni meridionali si trovano in difficoltà a gestire i fondi e portare a termine i progetti, a causa di una combinazione di fattori che vanno dalla burocrazia alle carenze amministrative, fino alla difficoltà di attrarre investimenti e competenze. Il Mezzogiorno, che avrebbe dovuto essere il principale beneficiario del Pnrr per ridurre i divari storici con il Nord, si ritrova invece a subire ulteriori rallentamenti.

La questione delle scadenze aggiunge ulteriore pressione. Il tempo stringe e i progetti dovranno essere completati entro il 2026, ma il numero di obiettivi ancora da raggiungere è elevato. Restano 237 scadenze da rispettare tra il 2025 e il 2026, pari al 41% del totale, ma alcuni traguardi già previsti non sono stati completati nei tempi stabiliti e il rischio di perdere parte dei fondi europei diventa sempre più concreto. Il governo ha più volte sottolineato la necessità di accelerare l’attuazione del piano, ma i ritardi accumulati rendono incerta la possibilità di completare tutte le opere entro la scadenza stabilita dall’Unione europea.

I dati di Openpolis restituiscono ancora una volta un Pnrr inefficace e sbilanciato. Le risorse rimangono concentrate nelle mani di pochi grandi attuatori, mentre il Sud, che avrebbe dovuto beneficiare maggiormente di questi investimenti, resta indietro. Più che un piano di ripresa e resilienza, il Pnrr somiglia sempre più a un labirinto burocratico in cui a vincere sono sempre gli stessi, mentre chi ne avrebbe più bisogno rimane escluso.



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