Articolo di Matteo Hallissey
Sono passati tre anni dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina. Quando il 24 febbraio 2022 ci svegliammo attoniti di fronte alle armate di Putin che penetravano nel territorio ucraino, avevamo ancora negli occhi le immagini della caduta di Kabul: anni di guerra, miliardi di dollari investiti per costruire una democrazia troppo acerba per resistere al peso della corruzione, del malgoverno, delle divisioni. Poi, in poche ore, quello Stato illusorio evapora, i talebani prendono il potere e il presidente scappa all’Estero.
È un’immagine che abbiamo visto tante volte in quel mezzo secolo di rivoluzioni e controrivoluzione che è stato la Guerra Fredda: regimi amici e nemici che crollano, presidenti fantoccio in fuga su aerei gravidi di diamanti, lasciandosi alle spalle Paesi in rovina e folle pronte a spellarsi le mani per l’interprete successivo di questo triste copione. Diciamolo: molti immaginavano lo stesso epilogo per l’Ucraina.
Troppo convinti di essere il centro del mondo, troppo immersi in questa narrazione novecentesca, ci siamo lasciati cullare dall’idea che l’Ucraina fosse solo un’altra pedina destinata a cadere. Eravamo forse anche assuefatti da quella propaganda che Mosca ha sparso in questi anni, raccontandoci quanto fosse patetico il nostro tentativo di immaginare un mondo popolato da democrazie, quanto fragili e deboli fossero quei governi che avevano rinnegato lo “straordinario” mondo bipolare caduto insieme al muro di Berlino, tradendo la loro naturale collocazione sotto l’ombrello russo per arricchirsi coi soldi sporchi del capitalismo occidentale.
E invece, il mondo intero, prigioniero di questa menzogna, si è trovato di fronte a una realtà capace di spazzare via ogni cinismo: un Paese, un popolo, disposto a tutto pur di difendere la sua libertà e il diritto di scegliere il proprio futuro. Con grande sforzo le truppe ucraine sono riuscite nell’impossibile: respingendo l’avanzata di quelle “Z” dipinte sulle fiancate dei carri armati russi, impegnando Mosca in una interminabile guerra di logoramento. Davide contro Golia.
Certo, fondamentale è stato l’aiuto fornito dai paesi europei e dagli Stati Uniti, ma la resistenza ucraina, la sua incrollabile volontà di sfidare un destino che molti davano per scontato, ha dimostrato che c’è ancora chi è pronto a versare il sangue per quei principi su cui abbiamo costruito le società libere dopo la Seconda guerra mondiale, ma che troppe volte abbiamo tradito.
Dobbiamo avere il coraggio di dirlo: gli Stati Uniti, dopo aver sconfitto prima il nazismo e poi il comunismo, non hanno saputo reggere il peso della guida del mondo libero. Oggi, tra contraddizioni e fragilità, non solo stanno perdendo quel ruolo, ma sono diventati la culla di un nuovo autoritarismo, che, insieme ai suoi nemici storici Russia e Cina, minaccia di divorare la democrazia liberale.
Questa rivoluzione reazionaria è un’ombra nera che avanza sull’Europa. Non intesa solo come continente, ma come orizzonte, come simbolo, come idea di governo sovranazionale capace di opporsi alla tirannia, alla politica di potenza, alla violenza come strumento di dominio.
“Il liberalismo è obsoleto.” Così parlava Vladimir Putin in una storica intervista al Financial Times nel 2019, tratteggiando un mondo capovolto, dove la democrazia liberale è destinata a soccombere perché debole, lassista, incapace di competere con l’autoritarismo. La vittoria sul totalitarismo sovietico? Solo un incidente della storia.
Oggi stiamo vivendo l’anno zero di quel mondo. E forse, leggendo le parole di Putin, qualcuno avrà avuto un pensiero inquietante, eppure ormai per nulla sorprendente: quelle stesse parole le avrebbe potuto pronunciare il presidente degli Stati Uniti d’America.
Dopo la vittoria di Trump nel 2016, la società americana reagì con vigore ai suoi continui attentati alla democrazia e allo stato di diritto, oggi invece i media e la politica sembrano totalmente impreparati a rispondere. Le fondamenta della più antica democrazia moderna tremano. Dal 2014 al 2021, Freedom House ha declassato gli Stati Uniti nella libertà globale, scivolati sotto l’Argentina, a pari con Panama e Romania. L’illusione della stabilità si sgretola. Trump non è più un outsider. Ha un piano, un partito epurato dai dissidenti e una base pronta a sostenerlo in ogni abuso di potere.
Ma la democrazia non muore all’improvviso. Si spegne poco a poco, corrosa dall’interno, venduta a chi può permettersela. Putin lo sapeva bene quando offrì agli oligarchi di depredare la Russia in cambio del potere assoluto. Trump segue lo stesso copione. Musk, l’uomo che controlla Tesla, X (ex Twitter) e Starlink, è già diventato il suo megafono. Ha trasformato la sua piattaforma in un laboratorio di disinformazione, un arsenale per diffondere teorie complottiste e screditare chiunque osi sfidare il nuovo ordine trumpiano. Ma non è solo: un’élite di miliardari americani, da Peter Thiel ai fratelli Koch, sta comprando pezzo dopo pezzo le istituzioni, i media, il dibattito pubblico. In cambio, ottengono meno regole, meno tasse, più potere. Se la democrazia americana crolla, l’Unione Europea resterà l’ultimo baluardo del mondo libero. Ma siamo pronti?
Non possiamo più permetterci di restare divisi. L’Europa ha una sola possibilità per sopravvivere: unirsi. Gli Stati Uniti d’Europa non sono più un sogno, ma una necessità. Se l’America abdica al suo ruolo di difensore della democrazia, l’Europa deve colmare quel vuoto. Ma non può farlo come un mosaico di nazioni fragili e divise. Deve agire come una potenza unitaria, capace di difendere la libertà e la pace.
L’Ucraina deve essere parte di questo progetto. Ha guadagnato il suo posto in Europa con il sangue, con il sacrificio, con il coraggio. Ha ricordato a tutti cosa significa lottare per la democrazia mentre altri la svendono per opportunismo e paura. Se c’è un cuore pulsante dell’Europa di domani, è Kyiv. Non solo deve entrare nell’Unione Europea, ma deve far parte della sua rinascita come federazione di stati, come incubatrice di una nuova democrazia sovranazionale.
Il tempo delle illusioni è finito. Nel 1939 Hitler e Stalin firmarono il patto Molotov-Ribbentrop per spartirsi l’Europa. Oggi Trump e Putin stanno facendo lo stesso, con un obiettivo ancora più ambizioso: il controllo globale. L’America di Trump non è più un baluardo contro la tirannia, ma un suo alleato, e l’Ucraina è la merce di questo ignobile scambio: l’ordine nato dopo il 1945 morirà definitivamente con la stretta di mano tra Putin e Trump, che suggellerà l’alleanza tra chi ha sempre voluto distruggere la democrazia e chi, invece, avrebbe dovuto difenderla.
Possiamo ancora ribellarci a tutto questo, ma dobbiamo lottare per costruire una nuova Europa, più forte, più unita, finalmente capace di difendersi. Se scegliamo questa strada, non possiamo più esitare. Gli Stati Uniti d’Europa devono nascere ora, prima che sia troppo tardi. Questo 24 febbraio non è solo l’anniversario dell’invasione che ha segnato lo spartiacque tra il mondo di ieri e quello di oggi, ma un monito: oggi più che mai serve dire, uniti davvero, Slava Ukraini!
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