la paura delle indagini tra gli indagati (I RUOLI)

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  27 febbraio 2025 12:08

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di TERESA ALOI

Non bisognava usare il telefono. E in più c’era il timore di essere controllati anche nelle auto sicuri che c’era qualche cimice. Emerge dalle intercettazioni contenute nell’ordinanza che stamattina ha portato a Catanzaro e nelle province di Monza Brianza e Arezzo, i Carabinieri del Comando Provinciale di Catanzaro, a dare  esecuzione a un provvedimento cautelare emesso dal G.I.P. presso il Tribunale di Catanzaro, su richiesta della Procura della Repubblica – Direzione Distrettuale Antimafia, nei confronti di 22 indagati (12 in carcere, 10 agli arresti domiciliari con braccialetto elettronico), sulla base della ritenuta sussistenza di gravi indizi in ordine ai delitti, a vario titolo ipotizzati, tra cui, associazione di tipo ‘ndranghetistico, associazione per delinquere, plurimi reati contro la persona e il patrimonio, anche aggravati dalle finalità e/o modalità mafiose.

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E così mentre qualcuno parla al telefono seppure in maniera criptica altri mettono in guardia proprio perché un linguaggio troppo stringente sarebbe potuto risultare sospetto, sicuri che all’altra parte c’era chi “era più furbo”. Preoccupati tanto. Di essere scoperti. Tanto da interrompere i discorsi e scendere dall’auto per poter continuare a parlare. Preoccupati anche- succede a dicembre 2014 – di fare avere qualcosa ai carcerati  proprio con l’avvicinarsi delle festività natalizie. 

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A svolgere il ruolo di raccordo è da sempre Cosimo Abbruzzese alias “U Tubu”, classe 1955. Lui, che all’interno della comunità rom, si era guadagnato, secondo gli inquirenti un’autorevolezza non da poco. Partecipa alle estorsioni  sul quartiere di Santa Maria, risolve problematiche  che venivano fuori da furti e in più occasioni avrebbe anche manifestato la sua autorevolezza per ribadire il controllo del territorio.

Lorenzo Iiritano, promotore capo e organizzatore, punto di riferimento e riferimento del clan. Partecipa alla riunioni e mantiene i rapporti con le altre cosche.

Pietro Procopio, capo storico del Clan di Gagliano dirige il programma criminale del gruppo, uomo di riferimento su Catanzaro delle altre cosche calabresi. Lui che smorza le liti e che provvede a ciò da mandare ai carcerati. Lui che prende soldi per affiggere manifesti elettorali. 

Vincenzo Graziano Santoro è vicino a Procopio di cui era l’autista e coordina uomini di fiducia. Partecipa con ruoli direttivi ad attività di usure, estorsioni, truffe e rapine. Non usa telefoni per eludere le indagini.

Tommaso Patrizio Aprile fa da tramite con la cosca Arena di Isola Capo Rizzuto e  partecipa alle riunioni del clan anche da sorvegliato speciale e anche dal carcere ha un suo ruolo.

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Ercole Zirpoli “braccio destro” di Lorenzo Iiritano di cui fa le veci quando quest’ultimo è in carcere. 

Alessandro Basile  Uomo di fiducia di Lorenzo Iiritano e Tommaso Patrizio Aprile. Partecipa alle attività estorsive della cosca e si interessa delle detenzioni.

Roberto Corapi, una volta uscito dal carcere ribadiva la sua operatività nel clan e faceva valere il suo peso criminale per risolvere liti. 

Francescopaolo Morabito condivideva i programmi del clan di cui era a disposizione.

Manuel Pinto organizzatore del clan uomo di fiducia di Vincenzo Graziano Santoro.

Emanuele Riccelli  disponibile con i clan. Tra i suoi ruoli, la consegna dei regali di Natale ai partecipanti alla cosca di cui deteneva armi

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Domenico Rizza  contribuiva al sostentamento dei detenuti. Punto di riferimento a Catanzaro per conoscere fatti e misfatti.

Vitaliano Cannistrà raccoglie le estorsioni su Catanzaro, è un luogotenente di Pietro Procopio a Catanzaro sud.

Michele Maruca, uomo di fiducia di Tommaso Patrizio Aprile di cui era autista.

Antonio Anello  partecipano alla creazione di Alipadania srl prodigandosi a reperire  una persona a cui interstarla

Salvatore Corea, amministratore di fatto di Alipadania srl

Michele Maccherone amministratore di Alipadania srl

Fortunato Mesiano coinvolto nella società Alipadania gestendo un supermercato

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Giuseppe Procopio braccio destro del padre Pietro si occupa dell’emissione di false fatture per giustificare i trasferimenti di merce dal magazzino di Alipadania srl a Catanzaro

Giuseppe Rijtano agisce in veste di amministratore di fatto della Alipadania srl 

Francesco Mancuso  e Chris Squillacioti  in concorso per un episodio di violenza  avvenuto lo scorso anno.

 Le truffe dei “gaglianesi” alle imprese del nord

Le truffe ruotavano intorno alla costituzione di una società, la Alipadania srl,   sede in Borgo Ticino, provincia di Novara. Era attraverso questa che erano stati avviati reali e fattivi rapporti commerciali con varie ditte, finché, dopo aver trattenuto un ingente quantitativo di merce consegnata dai vari fornitori, venivano interrotti i pagamenti e si portava strumentalmente e fraudolentemente la società al fallimento.

“Se la visione degli atti potrebbe far ipotizzare una mera ipotesi di crisi imprenditoriale rilevante sul piano civilistico contrattuale, con le dovute ricadute sul piano imprenditoriale – scrive il gip Gilda Romano – la valutazione dell’operato degli indagati dalla genesi della società e dalla delineazione poi della concreta attività imprenditoriale porta a scartare l’ipotesi di una crisi economica come fondamento di quanto accaduto e a riportare al giusto significato le sorti della Alipadania e dei rapporti avviati”. “È risultato chiaro – spiega il giudice – che è stata concepita la costituzione di “una società vuota e fittizia, pensando a chi potesse rivestire la carica formale di una articolata realtà di impresa, per poi individuare il settore di azione, ovvero l’apertura di un supermercato che fungesse da soggetto giuridico ordinante i beni di più disparata varietà, che venivano poi trasportati in Calabria e reimmessi in vendita nelle loro aziende, destreggiandosi fra fatturazioni pilotate, pagamenti posticipati, poi mai effettuati, e poi sviando le richieste dei pagamenti ai primi ritardi”.
 

 



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