Ormai non si può più far finta di niente. Il numero di studenti universitari che decidono di togliersi la vita dopo aver percepito, o temuto, di aver fallito il loro percorso accademico è in drammatico aumento. Un fenomeno che sta diventando una vera e propria piaga sociale, e che non può essere ignorato. Spesso questi giovani portano avanti un progetto di vita che non hanno scelto liberamente, ma che è stato imposto da pressioni familiari o dal contesto sociale. E quando la realtà si discosta dalle aspettative, il senso di inadeguatezza diventa insostenibile.
Un sistema che schiaccia, un peso che diventa insostenibile
Negli ultimi anni, il fenomeno dei suicidi tra gli studenti universitari in Italia ha assunto proporzioni allarmanti. Secondo i dati più recenti dell’Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT), ogni anno si registrano circa 4.000 suicidi nel Paese, di cui il 5% riguarda giovani sotto i 24 anni. Questo significa che annualmente, circa 200 giovani in questa fascia d’età decidono di togliersi la vita, molti dei quali sono studenti universitari. Nel 2021, ISTAT ha rilevato un aumento del 16% dei suicidi tra i giovani tra i 15 e i 34 anni rispetto all’anno precedente. Numeri che non possono essere ignorati e che richiedono un’azione immediata da parte delle Istituzioni.
Suicidi studenti universitari, numerosi i casi in Italia: colpevoli anche i media – LiveUnict)
Per sfuggire a domande scomode e per allontanare la pressione, molti studenti adottano la strategia della menzogna. Mentono sui voti, sugli esami, sulle scadenze, sperando di guadagnare tempo o di alleviare il giudizio altrui. Ma il peso di queste bugie diventa un macigno. Quando la verità emerge, l’angoscia può diventare letale. Troppe storie recenti dimostrano quanto questa dinamica sia diffusa e pericolosa.
Un sistema universitario incapace di supportare
“Negli ultimi anni abbiamo assistito a un progressivo deterioramento della salute mentale degli studenti universitari”
Denunciano esperti e associazioni. La pressione sociale impone un modello sempre più performativo, mentre il sistema universitario non solo non offre supporto adeguato, ma contribuisce ad alimentare ansia e stress. I servizi di counseling sono insufficienti e non riescono a rispondere alle reali esigenze psicologiche dei giovani.
Ogni persona ha un percorso di vita unico, influenzato da esperienze, sfide e opportunità diverse. Imporre un unico standard di successo è non solo ingiusto, ma profondamente dannoso. Il vero obiettivo non dovrebbe essere il tempo impiegato per raggiungere un traguardo, ma la soddisfazione e la realizzazione personale nel farlo.
Dovremmo cambiare il modo in cui parliamo del successo, della crescita e dell’autorealizzazione. Dovremmo smettere di vedere la vita come una corsa contro il tempo e iniziare a valorizzare le persone per chi sono, per le loro sfumature e non per quanto velocemente raggiungono un traguardo.
Un grido di aiuto inascoltato
Dopo la tragedia della studentessa morta a Milano nel 2023, alcune sue colleghe hanno scritto una lettera accorata:
“Ci viene chiesto perennemente di ambire all’eccellenza, ci viene insegnato che il nostro valore dipende solo ed esclusivamente dai nostri voti. Questo sistema universitario continua e continuerà ad uccidere. Serve prevenzione, serve costruire un sistema accademico in grado di insegnarci che non siamo numeri, ma persone”.
Parole dure, che dovrebbero far riflettere. Ma, ancora una volta, il dibattito rischia di essere dimenticato troppo in fretta.
I suicidi in ambito universitario sono spesso il risultato di una combinazione di fattori; il carico di studio, le scadenze e la paura di non riuscire a laurearsi in tempo generano ansia e stress in molti studenti. Il timore di deludere la famiglia o di non essere all’altezza delle aspettative può diventare insostenibile. Inoltre, molti studenti, soprattutto fuori sede, vivono lontano dalla propria famiglia e dai propri amici, senza un adeguato supporto emotivo.
Le difficoltà finanziarie rappresentano un ulteriore peso. Il costo degli studi, l’affitto e la necessità di lavorare mentre si studia creano una condizione di stress costante. Il mercato del lavoro sempre più precario e la mancanza di prospettive concrete dopo la laurea generano un senso di impotenza e frustrazione. Tutto ciò causa depressione, ansia e altri disturbi psicologici che spesso non vengono riconosciuti o affrontati in tempo.
Il falso mito del successo a tutti i costi
La competitività esasperata e la pressione sociale stanno trasformando l’università in un ambiente tossico, un luogo dove si insegna il valore della perfezione piuttosto che quello della crescita personale. Gli studenti non sono numeri, non sono matricole da giudicare in base ai voti o alla velocità con cui completano il percorso accademico. Ognuno ha i propri tempi, le proprie difficoltà, e questo dovrebbe essere rispettato.
“A te quanto manca alla laurea?“. Una domanda apparentemente innocua, che si trasforma in una sentenza per chi sente di non essere in linea con le aspettative. Nella nostra società ci insegnano che il successo significa laurearsi in tempo, con il massimo dei voti, trovare un buon lavoro entro i 30 anni, costruire una famiglia, avere una casa e uno stipendio sopra la media entro i 40. Ma questa è solo un’illusione.
La verità è che il successo non è una linea retta e uguale per tutti. Il successo è ciò che accade ogni giorno, è resistere anche quando il mondo ci schiaccia. Ma il mondo non dovrebbe schiacciarci.
Serve un cambiamento, ora
La salute mentale degli studenti deve diventare una priorità. Le università devono trasformarsi in luoghi di supporto e comprensione, non di giudizio e competizione spietata. Bisogna investire in servizi psicologici reali, cambiare la narrazione del successo e smettere di considerare la laurea come una corsa contro il tempo, è un dovere collettivo in quanto tale sistema rappresenta una piaga della società Italiana.
” Non siamo solo numeri. Siamo esseri umani, e meritiamo di essere trattati come tali.”
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