3 dissalatori contro la siccità in Sicilia: come siamo già arrivati a questi punto

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Approvati i fondi per il ripristino degli impianti di desalinizzazione di Porto Empedocle, Enna e Trapani: pregi e difetti di un’utopia che è ormai realtà.

  • Per far fronte all’emergenza siccità, via libera a 100 milioni di euro per tre dissalatori a Gela, Trapani e Porto Empedocle.
  • Per rendere l’acqua del mare potabile: in molte parti del mondo quella che sembrava utopia è già realtà.
  • Le criticità però non mancano, dai costi energetici allo smaltimento degli inquinanti.

Fino a 100 milioni di euro per il ripristino urgente di tre dissalatori, a Gela, Trapani e Porto Empedocle: è la risposta del governo, contenuta nel decreto emergenze e attuaszione del Pnrr appena convertito in legge dal Parlamento, alla crisi idrica che da mesi ormai colpisce circa 2 milioni di persone in Sicilia, con città come Palermo, Caltanissetta ed Enna soggette a razionamenti dell’acqua ormai dal 7 ottobre dello scorso anno. Anche se comunemente, e anche nelle dichiarazioni di molti politici, si parla di realizzazione di nuovi dissalatori, i tre impianti in questione in realtà esistevano già, ma da anni ormai erano stati dismessi, a causa di costi operativi eccessivi, e attualmente non funzionano. A quanto pare, però, ora si rendono nuovamente necessari: un segnale non incoraggiante sul fronte dei cambiamenti climatici. A gestire i fondi sarà il commissario straordinario alla Siccità individuato dal governo. Il suo nome è Nicola Dell’Acqua, per ironia della sorte.

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Cos’è un dissalatore: da utopia a realtà

Ma cos’è esattamente un dissalatore? Si tratta di un impianto che rimuove il sale e le impurità dall’acqua marina, rendendola potabile e utilizzabile per l’uso umano, agricolo e industriale. Il processo più comune è l’osmosi inversa, in cui l’acqua viene forzata attraverso membrane semipermeabili che separano il sale e altre sostanze nocive. Esistono anche tecniche termiche, che evaporano e condensano l’acqua per separarla dal sale, ma queste sono generalmente più energivore.

Mentre in molte parti del mondo si dibatte ancora sulla loro sostenibilità economica (come visto, i tre dissalatori siciliani costavano troppo) e ambientale, ci sono paesi dove già da tempo i dissalatori non sono più un’opzione, ma una necessità quotidiana. Israele, ad esempio, è leader mondiale in questo settore: il paese copre circa il 70 per cento del suo fabbisogno idrico domestico grazie a impianti di dissalazione avanzati, come quello di Sorek, uno dei più grandi del mondo. Qualche mese prima dello scoppio del conflitto in Medio Oriente, il governo italiano aveva ricevuto il premier israeliano Benjiamin Netanyahu a Roma e si era parlato esplicitamente di un “modello Israele” per la gestione dell’acqua, con Tel Aviv che si era detta pronta ad aiutarci a risolvere il problema della carenza idrica.

dissalazione a Ceuta
Un impianto di desalinizzazione a Ceuta, in Spagna © Xemenendura/Wikimedia commons

Anche negli Emirati Arabi Uniti, dove le risorse idriche naturali sono scarse, oltre il 90 per cento dell’acqua potabile proviene dalla desalinizzazione. Analogamente, in Arabia Saudita e in alcune regioni della California, i dissalatori sono diventati una soluzione imprescindibile per garantire l’accesso all’acqua.

Ma nella stessa Europa ci sono paesi in cui i dissalatori sono molto usati: la Spagna è uno di quelli con il maggior numero di impianti, con circa 765 installazioni attive al 2021, tra cui quelle di Barcellona, che forniscono acqua potabile a milioni di abitanti e turisti. Alcuni paesi, come le Bahamas, le Maldive e Malta, soddisfano quasi totalmente il loro fabbisogno idrico con la desalinizzazione. In Italia, un impianto è stato recentemente installato in Veneto per contrastare il fenomeno del cuneo salino che minaccia le falde acquifere del delta del Po.

È davvero questa la soluzione?

Nel nostro paese già il 4 per cento dell’acqua potabile proviene già da impianti di dissalazione, soprattutto nelle piccole isole e nelle regioni costiere dove il fenomeno del cuneo salino sta rendendo inutilizzabili molte falde acquifere. Ma i dissalatori sono davvero la soluzione definitiva? Se da un lato garantiscono acqua potabile, dall’altro sollevano problemi ambientali rilevanti: il consumo elevato di energia, spesso derivata da combustibili fossili, e lo smaltimento della salamoia, un sottoprodotto altamente salino che, se rilasciato in mare senza adeguati trattamenti, può danneggiare gli ecosistemi marini. Inoltre, la produzione di acqua dolce da dissalazione genera circa 1,5 litri di liquido inquinato da cloro e rame per ogni litro di acqua potabile ottenuta, rendendo necessarie misure adeguate per il suo smaltimento. Le associazioni ambientaliste, preoccupate per la tutela dell’ambiente marino e della qualità della balneazione, hanno anche avanzato specifici quesiti, che attendono risposte: dove verranno prelevate le acque da dissalare? E dove verranno rilasciati i reflui post trattamento?

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Motivi per cui affidarsi interamente a questa tecnologia non può essere considerata soluzione sostenibile nel lungo periodo: occorre investire in infrastrutture efficienti (a oggi gli acquedotti siciliani disperdono più della metà dell’acqua potabile trasportata, il 51,6 per cento), ridurre gli sprechi in agricoltura e in allevamento tramite tecniche di precisione e il riutilizzo delle acque reflue e adottare politiche di gestione più razionali delle risorse idriche. Ma soprattutto, se siamo giunti a dover trasformare il mare in acqua potabile per sopravvivere, forse è giunto il momento di chiederci cosa possiamo fare per evitare che questa diventi l’unica alternativa possibile.

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