Le manovre per introdurre un nuovo sistema vanno in controtendenza rispetto al gradimento degli elettori, dice il sondaggista Noto. Il no di Segni e Pasquino
Nel momento in cui attraversiamo la fase di transizione più feroce e pericolosa degli ultimi decenni per la situazione mondiale, tornare al sistema proporzionale significa solo indebolire le istituzioni italiane. Non ce lo possiamo permettere. Le riforme istituzionali vanno bene se rafforzano la possibilità di governare». Mario Segni, promotore allora vincente della “rivoluzione referendaria” che nel 1993 condusse al maggioritario, da tempo non è più impegnato nella politica attiva. Ma in questi anni, il Professore ne ha viste tante. Prima il Mattarellum che recepiva il referendum con un sistema misto a prevalenza maggioritaria, poi il Porcellum che virava verso il proporzionale ma con un premio di maggioranza ritenuto incostituzionale dalla Consulta, poi il Rosatellum con un mix proporzionale-maggioritario. E ora c’è il progetto del centro-destra di tornare sostanzialmente al Porcellum anche per introdurre l’indicazione del presidente del Consiglio, in sostituzione del premierato, la “madre di tutte riforme” che la stessa maggioranza ha deciso di fermare in Parlamento per i problemi politico-costituzionali ancora da risolvere e per i rischi di un referendum confermativo da affrontare prima delle elezioni politiche.
Meglio rivalutare il proporzionale? «Il maggioritario piace alla gente». La convinzione di Segni è confermata dal sondaggista Antonio Noto. «Ormai – osserva – gli italiani si sono abituati al sistema bipolare, per cui se chiedo per quali partito intendono votare, loro sanno, ad esempio, che se scelgono Forza Italia si pronunciano conseguentemente per la coalizione di centro-destra. Se optano per il Pd sono favorevoli a quella di centro-sinistra. Inoltre, gli elettori preferiscono il collegio uninominale perché consente di conoscere chi è esattamente il candidato. Ma è il sistema elettorale che i partiti sostanzialmente non vogliono».
In queste settimane, il centro-destra ha ipotizzato una nuova legge elettorale proporzionale con un premio di maggioranza che assicuri alla coalizione vincente il 55 per cento dei seggi dopo aver superato la soglia del 40 per cento. In più, l’indicazione del candidato premier: elemento, soprattutto quest’ultimo, che comporterebbe un patto di coalizione fra i partiti uniti nella stessa scelta per Palazzo Chigi. Proporzionale sì (con l’abbandono completo dei collegi uninominali) ma prevedendo le alleanze prima del voto. Uno schema che, pur nello stesso spirito proporzionalistico, non è lo stesso della “proposta Franceschini”, rivolta politicamente al centro-sinistra con la scelta di privilegiare la quota proporzionale dell’attuale legge elettorale (61 per cento dei seggi) per consentire a ciascuna forza politica di correre da sola senza vincoli di coalizione, e utilizzando la quota maggioritaria (37 per cento dei seggi) solo per stipulare (anche se Franceschini non lo dice in modo esplicito) i patti di desistenza, candidando in ogni collegio un esponente di partito che verrebbe appoggiato anche dalle altre forze politiche dello stesso schieramento sulla base di pochi punti programmatici comuni dell’intero centro-sinistra. A differenza di quella del centro-destra, la proposta lanciata dall’ex segretario del Pd, “grande elettore” di Schlein nelle primarie di due anni fa, non implicherebbe, una nuova legge elettorale ma, curiosamente, è stata illustrata ed argomentata, in una intervista a Repubblica, negli stessi giorni della virata proporzionalista del centro-destra , cioè nel momento in cui chi è al governo ha cominciato a progettare il superamento del Rosatellum.
Maggioritario addio? È questa la prospettiva? Gianfranco Pasquino invita a evitare confusioni. «In Italia, il maggioritario – ricorda il professore emerito di Scienza Politica – non c’è più, è stato già abbandonato con la cancellazione della legge Mattarella che era per 3/4 maggioritaria e per 1/4 proporzionale. Poi abbiamo avuto solo stravolgimenti del sistema elettorale per fini essenzialmente partitici. Neppure il Rosatellum è una legge maggioritaria. Perciò chiariamo ancora una volta: il sistema maggioritario è quello inglese, fondato sui collegi uninominali che non c’entrano nulla con le coalizioni e quello francese che favorisce le coalizioni solo indirettamente. Ora ci dirigiamo nuovamente in una direzione sbagliata, per le convenienze di alcuni partiti. Se vogliamo una buona legge elettorale, invece, dobbiamo guardare ai due sistemi elettorali che funzionano meglio in Europa, quello tedesco ma nella sua interezza e quello francese con alcuni eventuali piccoli aggiustamenti che non devono però riproporre il proporzionale. Qualsiasi altra legge elettorale sarebbe un trucco nell’interesse di alcuni partiti, non degli elettori».
I giochi sono ancora aperti. Il testo del centro-destra non ha ancora ottenuto il via libera di Matteo Salvini. La Lega, prima di sottoscrivere nuovi impegni di maggioranza per la seconda parte della legislatura, aspetta che sia sciolto il nodo del Veneto con la candidatura alle prossime elezioni regionali di un proprio esponente, preferibilmente lo stesso Zaia. Inoltre, l’abolizione dei collegi uninominali potrebbe danneggiarla, considerando che nelle ultime elezioni politiche, grazie al Rosatellum e agli accordi con gli alleati, su 66 deputati leghisti 42 sono stati eletti proprio nella quota maggioritaria. Quanto alla proposta di Franceschini, vedremo se conterà più, nel centro-sinistra, il no di Romano Prodi oppure il sì di Giuseppe Conte, che non esclude un’intesa con il centro-destra su una legge elettorale proporzionale.
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link