La guerra di Trump alla scienza

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Dopo lo smantellamento brutale del sistema pubblico della ricerca e il drastico ridimensionamento del dipartimento dell’istruzione, è iniziato il definanziamento delle università private americane.

Il mezzo scelto dall’amministrazione per ridimensionare le università è sconosciuto ai più e si chiama “overheads”. Vediamo come funziona.

I research grants (cioè i finanziamenti di specifici progetti di ricerca) sono ripartiti in due voci principali: i costi “diretti” della realizzazione dei progetti – per esempio, gli stipendi del personale di ricerca e i costi della realizzazione degli esperimenti – e i costi “indiretti”, detti anche overheads, che riguardano le infrastrutture in cui i progetti di ricerca si svolgono, cioè le università. Senza infrastrutture adeguate – per esempio, edifici, laboratori, reparti ospedalieri e uffici amministrativi – nessuna ricerca potrebbe effettivamente svolgersi.

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La parte dei finanziamenti pubblici dedicata ai costi indiretti costituisce una delle principali fonti di finanziamento delle università. Negli Stati Uniti, la quota per gli overheads oscilla tra il 50 e il 70% da almeno 70 anni. L’amministrazione Trump adesso ha stabilito che la quota dei costi indiretti non potrà superare il 15%.

Sembra un cavillo, invece è un cataclisma per le università americane. Per dare un’idea delle proporzioni, un ateneo abituato a ricevere ogni anno 500 milioni di dollari in fondi di ricerca con overheads al 55% si troverebbe a perdere 200 milioni l’anno. Gli atenei non potranno ristrutturare il proprio budget per sostenere i costi amministrativi e infrastrutturali, perché la maggior parte delle disponibilità finanziarie derivano da donazioni vincolate a usi specifici.

Molte istituzioni non riusciranno a compensare la perdita, che avrà un impatto dirompente sulla ricerca e, a ricaduta, sulle economie locali. La prima reazione sarà la riduzione dei costi, con il licenziamento di ricercatori e docenti e il congelamento delle assunzioni, la diminuzione degli investimenti in nuove infrastrutture e delle spese di manutenzione, l’eliminazione dei corsi di laurea e dottorato meno popolari (e redditizi) e il ridimensionamento dei servizi agli studenti.

Per esempio, l’Università di Pittsburgh ha sospeso le ammissioni a tutti i suoi dottorati e plausibilmente molti altri atenei seguiranno. Di fatto una cancellazione dell’istruzione post-lauream, ciò che ha reso gli Stati Uniti paese leader nella ricerca a livello globale.

La ricerca biomedica soffrirà più di altri settori, perché richiede le attrezzature più costose e dipende fortemente dai finanziamenti del NIH (National Institutes of Health), il primo ente per il quale l’amministrazione ha reso operativo il taglio degli overheads. Le economie locali ne risentiranno perché le istituzioni di ricerca sono datori di lavoro di dimensioni spesso rilevanti. Per esempio, l’Università della Pennsylvania, primo datore di lavoro di Philadelphia e terzo ateneo americano in termini di spesa per la ricerca, sarà costretta a tagliare posti di lavoro non solo nel personale scientifico e sanitario ma anche in ambiti collaterali come le costruzioni e i servizi di mensa e pulizia.

Nel lungo periodo, il definanziamento rallenterà il progresso della ricerca di base e in campo biomedico, come quella sul cancro, l’Alzheimer e il diabete. Considerato il ruolo fondamentale degli ospedali universitari, anche l’offerta di servizi sanitari ne risentirà. Le comunità rurali dipendono spesso dagli ospedali universitari per la cura delle malattie croniche e servizi essenziali come l’ostetricia. Il depotenziamento e la prevedibile chiusura di molte strutture ridurrà l’accesso ai servizi sanitari negli stati americani meno urbanizzati.

A livello sistemico, gli Stati Uniti rischiano di perdere la leadership globale nella ricerca scientifica. Questo attacco autolesionista dell’amministrazione Trump alle istituzioni di ricerca, tradizionalmente uno dei punti di forza del modello di sviluppo americano, non risponde ad alcun criterio di efficienza economica. L’obiettivo sembra invece esclusivamente politico. Per interpretarlo, bisogna tenere a mente gli slogan del vicepresidente Jack D. Vance, “Le università sono il nemico”, “I professori sono il nemico”, “Dobbiamo attaccare aggressivamente le università.”

Gli accademici sono fonte di pensiero critico, e intimidirli è funzionale a indebolire l’opposizione alla costruzione dello Stato autoritario in corso. Più in generale, l’oscurantismo antiscientifico è un passaggio cruciale dell’affermazione delle autocrazie, perché, se gli esperti sono screditati e scoraggiati, e i dati che servono per descrivere la realtà dei fatti e valutare l’efficacia delle politiche vengono meno, allora si possono manipolare a piacimento i fatti e i dati. La realtà, in una parola. Specie se si controllano gli strumenti di disinformazione più efficaci, a partire dai social media.

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All’Europa, nel frattempo, si presenterà l’opportunità inattesa di assumere la leadership globale nella ricerca e attrarre i migliori scienziati, qualificandosi come un ambiente favorevole e sicuro in cui svolgere attività di ricerca ben finanziate senza alcun vincolo di carattere ideologico e politico. Può sembrare un obiettivo secondario, considerato che la priorità del vecchio continente è resistere al contagio populista e sopravvivere alla minaccia esistenziale posta dalla nuova alleanza tra Russia e Stati Uniti. Il progetto eversivo di Musk e Trump ha tra i suoi obiettivi la disgregazione delle istituzioni europee (compresa l’unione monetaria) e la spartizione dell’Europa in zone di influenza. Tuttavia, il potenziamento della ricerca scientifica può rivelarsi volano di progresso economico, culturale e sociale in grado di rafforzare gli argini che difendono la democrazia liberale dal populismo e l’autoritarismo.



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