Il Fisco può sequestrare bitcoin? La Cassazione fa chiarezza

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Il tema della tassazione delle criptovalute e delle relative conseguenze giuridiche ha assunto un ruolo sempre più rilevante nel contesto italiano. Soprattutto in relazione ai sequestri probatori in ambito tributario.

Una recente pronuncia della Corte di Cassazione ha affrontato un caso emblematico riguardante il sequestro di Bitcoin nell’ambito di un’indagine per dichiarazione infedele, sollevando questioni di grande rilevanza giuridica ed economica.

Sequestro bitcoin: il contesto decisionale della Cassazione

Con la sentenza n. 1760 del 15 gennaio 2025, la terza sezione penale della Corte di Cassazione ha chiarito un aspetto fondamentale nel campo del diritto tributario e della gestione delle criptovalute. La questione verteva sulla possibilità di sequestrare Bitcoin per un valore equivalente all’ammontare di imposte non versate, derivanti da attività di trading online su valute digitali.

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L’organo giudiziario ha stabilito che il sequestro probatorio, nell’ambito di un processo tributario, deve riguardare l’ammontare dell’imposta evasa, considerato come profitto del reato fiscale, e non il valore equivalente in Bitcoin. In caso contrario, il sequestro si configurerebbe come una misura equivalente a un sequestro per equivalente, pratica non consentita in questa fattispecie.

Il caso specifico e l’intervento del tribunale

L’origine della vicenda risale a un’indagine condotta dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Firenze, che aveva emesso un decreto di sequestro nei confronti di un contribuente accusato di aver presentato dichiarazioni fiscali infedeli per un valore di oltre 120.000 euro. In risposta, il provvedimento disponeva il sequestro di 1,88 Bitcoin, ritenuti il controvalore della somma evasa.

Il contribuente, ritenendo ingiustificato il sequestro della criptovaluta, aveva presentato ricorso al Tribunale di Firenze per ottenere il riesame della misura cautelare.

Tuttavia, il tribunale aveva confermato la legittimità del provvedimento, sostenendo la correttezza della decisione della procura.

Il ricorso in Cassazione

Non soddisfatto dall’esito del riesame, il contribuente ha deciso di ricorrere in ultima istanza alla Corte di Cassazione, sollevando una serie di questioni di diritto. In particolare, la difesa ha contestato il fatto che il sequestro di Bitcoin fosse stato giustificato sulla base della loro equiparazione al profitto dell’illecito tributario.

Secondo i legali del ricorrente, il profitto del reato, ai sensi dell’articolo 4 del D.Lgs. 74/2000, deve essere identificato esclusivamente con l’ammontare dell’imposta evasa, che in questo caso corrispondeva a 120.638,20 euro. Pertanto, il sequestro probatorio, per essere legittimo, avrebbe dovuto riguardare esclusivamente tale somma e non il suo corrispettivo in Bitcoin.

Sequestro bitcoin: le motivazioni al no della Cassazione

Esaminando la questione, la Corte di Cassazione ha accolto la tesi del ricorrente, sottolineando due aspetti cruciali:

  • natura giuridica del Bitcoin: la criptovaluta non ha corso legale in Italia e non può essere equiparata alla moneta ufficiale dello Stato. Di conseguenza, il suo valore non può essere considerato automaticamente come il profitto di un reato tributario;
  • oscillazione del valore delle criptovalute: il valore del Bitcoin è soggetto a continue fluttuazioni, il che renderebbe arbitrario e potenzialmente ingiusto il sequestro di una quantità fissa di criptovaluta a fronte di un debito fiscale espresso in euro.

La Corte ha quindi concluso che il sequestro di Bitcoin, in luogo della somma corrispondente in euro, non è giuridicamente corretto. Una simile misura si configurerebbe come un sequestro per equivalente, applicabile solo in specifici casi previsti dalla legge. E non in relazione alla fattispecie di dichiarazione infedele.

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Conseguenze della sentenza sul sequestro bitcoin

Questa pronuncia della Cassazione ha importanti ripercussioni non solo per i contribuenti coinvolti in indagini fiscali, ma anche per le autorità giudiziarie e gli operatori del settore finanziario. Tra le principali implicazioni vi sono:

Chiarezza sulla natura delle criptovalute: La decisione ribadisce che il Bitcoin non è equiparabile a una valuta legale e non può essere considerato automaticamente come profitto di un illecito tributario.

  • impatto sulle future indagini fiscali: le autorità dovranno adeguare le loro strategie di sequestro, limitandosi a colpire le somme in euro derivanti dall’evasione fiscale senza poter convertire arbitrariamente il valore in criptovalute.
  • tutela dei detentori di Bitcoin: la sentenza rappresenta un precedente importante per chi possiede e utilizza Bitcoin, garantendo una maggiore certezza giuridica rispetto alle possibili misure cautelari applicabili alle criptovalute.

Riassumendo

  • La Cassazione stabilisce che il sequestro deve riguardare solo l’ammontare dell’imposta evasa.
  • Il Bitcoin (criptovalute) non è moneta legale e non può essere considerato profitto di un reato tributario.
  • La Procura di Firenze aveva sequestrato Bitcoin equivalenti all’importo dell’imposta non versata.
  • Il contribuente ha contestato il sequestro, ottenendo l’annullamento dalla Cassazione.
  • La decisione chiarisce che le criptovalute non possono essere sequestrate in sostituzione di euro.
  • La sentenza tutela i detentori di Bitcoin, limitando i sequestri arbitrari in ambito fiscale.



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