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Hai visto un video? Hai fatto caso, dopo, ne hai trovati dieci molto simili?

Pensi di aver trascorso cinque minuti a guardare lo schermo e, invece, sono già due ore. E magari, tra un contenuto e l’altro, hai dovuto sorbire un po’ di pubblicità.

È la trappola insidiosa della modernità digitale, dove il nostro tempo, la nostra attenzione, e persino il nostro stato emotivo vengono manovrati da algoritmi progettati per intrattenerci, ma soprattutto per trattenerci.

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Questi strumenti non sono più solo una finestra sul mondo, ma anche una prigione, costruita con le fondamenta della dipendenza.

Negli Stati Uniti alcune dirigenze scolastiche hanno iniziato a intraprendere battaglie legali contro i social media, accusandoli di alimentare una forma di dipendenza che, come la nicotina, ha effetti devastanti sui giovani.

Gli algoritmi che alimentano le piattaforme non sono soltanto una macchina di intrattenimento; sono progettati per rendere ogni azione più intensa, per forzare la nostra attenzione in una spirale che diventa sempre più difficile fermare.

Le scuole, infatti, sostengono che questi algoritmi, come una droga, stimolano la mente in modo continuo e compulsivo, alterando la capacità di concentrazione, abbassando i livelli di autostima e contribuendo a fenomeni di ansia e depressione, soprattutto tra i più giovani.

Come la nicotina, anche i social, con i loro continui aggiornamenti e notifiche, ci abituano a un flusso costante di stimoli che è difficile ignorare. I contenuti non sono più solo intrattenimento, ma una merce preziosa.

Ogni like è una ricompensa, ogni scroll è un’ulteriore spinta che ci avvicina all’assuefazione. E tra una clip virale e un meme, ci ritroviamo a perdere ore senza nemmeno rendercene conto.

A tutto questo si aggiunge la pubblicità mirata, sempre più personalizzata e pervasiva, che trasforma ogni nostro gesto online in un’opportunità per il marketing, senza che ne abbiamo consapevolezza.

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I social non sono più un modo per rimanere in contatto con gli altri, ma un potente strumento di manipolazione delle nostre emozioni e decisioni. Con ogni scroll, cediamo un po’ della nostra attenzione e del nostro tempo, e se non stiamo attenti, anche la nostra capacità di riflettere e di essere veramente presenti nel momento.

La vera sfida, quindi, non è tanto la tecnologia in sé, ma come decidiamo di usarla, e come impariamo a riconoscere e a contrastare quella dipendenza che ci viene imposta, non tanto dal nostro desiderio, ma da algoritmi studiati per non farci smettere mai.

Una volta, la scelta di un film era un atto di volontà. Andavi al cinema o ti sistemavi sul divano con il telecomando in mano. Era un momento di riflessione: “Cosa voglio vedere stasera?”

Ti prendevi il tempo per scegliere cosa ti avrebbe accompagnato per quella serata. A volte, magari, passavi più tempo a scegliere il film che a vederlo. E, in qualche caso, la sorpresa era nell’imprevisto, quando qualcosa che non avevi programmato ti catturava inaspettatamente. La selezione era il tuo diritto, il tuo privilegio, e l’esperienza del guardare qualcosa era intima, se non sacra.

Ma oggi? Oggi siamo prede di un sistema che non ci chiede più cosa vogliamo vedere, ma decide per noi. Se i vecchi cataloghi di DVD imponevano una scelta consapevole, i social media entrano in casa senza bussare.

In questo mondo di flussi continui e algoritmi impazziti, non solo scegliamo passivamente, ma siamo costantemente sottoposti alla legge della casualità algoritmica. Siamo diventati spettatori di un cinema invisibile che non ci dà nemmeno il tempo di riflettere.

E mentre, un tempo, il nostro sguardo si posava su un film che avevamo scelto con cura, ora ci ritroviamo intrappolati in un circolo vizioso dove non sappiamo mai cosa arriverà dopo. Ogni video, ogni post, è un invito ad andare avanti, a scorrere, a non fermarsi mai, a non pensare mai.

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Abbiamo perso la capacità di soffermarci, di riflettere, di decidere con coscienza cosa vedere, cosa assaporare e cosa lasciar perdere. È come se, piano piano, ci fossimo abituati a subire, senza nemmeno più rendercene conto, un bombardamento di immagini, suoni e parole che ci anestetizzano, ci disorientano e ci privano della nostra autonomia di scelta.

Oggi, scegliere cosa guardare è diventato un’illusione, perché non siamo più padroni del nostro tempo. A dirlo non sono i nostalgici del passato, ma gli stessi studi psicologici che ci spiegano come questi algoritmi siano costruiti per manipolare il nostro comportamento.

Una volta c’era una regola: la scelta era tua. Oggi non è più così. Oggi, il vero problema non è tanto il tempo che perdiamo, ma come questo venga sottratto a nostra insaputa, come se, senza accorgercene, fossimo diventati parte di una gigantesca macchina che gioca con la nostra attenzione come fosse un gioco da cui non possiamo uscire. È il trionfo della passività, l’illusione della libertà, mentre la libertà stessa ci sfugge.



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