Martedì 25 febbraio è iniziata martedì a Roma, presso la sede della FAO, la sessione aggiuntiva della COP16 sulla biodiversità, convocata con l’obiettivo di prendere decisioni sui temi che erano rimasti in sospeso durante i negoziati di novembre a Cali, in Colombia. Tra le questioni più importanti c’è la mobilitazione delle risorse finanziarie necessarie per l’implementazione del Global Biodiversity Framework (GBF), il Quadro Globale della Biodiversità.
A Cali erano state prese decisioni importanti, come quella di creare il Fondo Cali (Cali Fund) per i pagamenti per l’utilizzo delle informazioni genetiche e l’istituzione di un organismo permanente per la consultazione delle comunità indigene e locali in materia di biodiversità. La COP16, però, era poi stata sospesa per il mancato consenso su due temi chiave: la mobilitazione delle risorse finanziare, la misurazione dei target contenuti dell’Global Biodiversity Framework e il monitoraggio del progresso.
Tutti i temi negoziali rimasti in sospeso relativi alla finanza (mobilitazione delle risorse e meccanismo finanziario) e al monitoraggio (quadro di monitoraggio e meccanismo di pianificazione, monitoraggio, rendicontazione e revisione) verranno discussi a Roma insieme, come un unico pacchetto di decisioni: non ci saranno filoni negoziali distinti né contact group, ma solo negoziazioni in plenaria.
La Presidente della COP16, Susana Mohamed, ha ribadito che l’approccio, definito da lei stessa ambizioso, stabilisce che nulla possa considerarsi approvato finché non lo saranno tutti i temi.
Stallo sulla mobilitazione delle risorse e il quadro di monitoraggio
Martedì le prime ore di lavoro alla COP16 sono state dedicate alla discussione sul la mobilitazione delle risorse. Da diversi anni la finanza è il tema più divisivo delle COP sulla biodiversità (e non solo).
A Cali il disaccordo tra donatori e Paesi in via di sviluppo poco prima della sospensione della riunione aveva reso impossibile il compromesso. E il disaccordo è rimasto anche qui a Roma. In mattinata diversi Paesi in via di sviluppo – tra cui Brasile, Paesi africani e i Paesi del Pacifico – hanno ribadito che i Paesi sviluppati devono impegnarsi a colmare il gap finanziario della biodiversità e a mobilitare le risorse necessarie per sostenere l’attuazione delle misure a tutela della biodiversità nei Paesi più poveri, facendo più volte riferimento alla necessità di “buona fede” da parte dei Paesi sviluppati. L’Egitto ha ribadito che molti Paesi in via di sviluppo continuano ad avere problemi di accesso ai fondi disponibili, sottolineando la necessità di erogare i fondi in modo predittivo e affidabile. Qualsiasi nuovo strumento finanziario, ha evidenziato, dovrebbe essere conforme ai principi di responsabilità comune ma differenziata, equità e giustizia.
La Russia ha addirittura richiesto che il testo su cui si sta lavorando venga modificato, al paragrafo 11, da “incoraggiamento” a “obbligo” dove si esortano i Paesi sviluppati a riflettere nei loro piani finanziari nazionali o in strumenti analoghi il loro contributo finanziario all’attuazione della Convenzione nei Paesi in via di sviluppo. Ricordiamo che il target 19 del Quadro Globale della Biodiversità prevede che debbano essere stanziati a tutela della biodiversità almeno 200 miliardi di dollari all’anno entro il 2030. Inoltre, i Paesi in via sviluppo erano riusciti a ottenere che i Paesi più ricchi mobilitassero in loro favore 20 miliardi di dollari l’anno entro il 2025 e 30 miliardi di dollari all’anno entro il 2030. Ma mancano azioni concrete.
La stessa logica è stata riproposta durante la negoziazione del testo sul quadro di monitoraggio (monitoring framework), per quanto riguarda gli indicatori che consentono alle Parti di misurare i progressi rispetto ai 23 obiettivi del Quadro Globale della Biodiversità. Martedì il testo presentava tra parentesi, e quindi ancora in elaborazione, l’indicatore relativo al target 7 sulla riduzione del rischio per biodiversità derivante da pesticidi, oltre a qualche parentesi su indicatori volontari/secondari (component indicators). Tuttavia nel pomeriggio è stato impossibile trovare un accordo e la presidente Muhamad ha invitato alcuni Paesi, come Brasile e Regno Unito, a lavorare a una proposta da presentare mercoledì.
Il Fondo Cali, un passo avanti
Martedì, durante una conferenza stampa, è stato lanciato ufficialmente il “Fondo Cali”. Questo fondo mobiliterà finanziamenti privati da parte delle aziende che vorranno accedere alle informazioni genetiche provenienti dalla natura (DSI, digital sequence information). I settori più colpiti saranno quello farmaceutico, cosmetico, agroalimentare e biotecnologico.
Come ha dichiarato la Segretaria esecutiva Astrid Schomaker “ciò che viene preso dalla natura deve essere restituito”, e in modo particolare ai loro custodi. Il 50% dei proventi infatti sarà destinato alle popolazioni indigene e comunità locali, i cui territori sono spesso i luoghi da cui provengono le risorse genetiche. Le altre risorse, poi, saranno comunque utilizzate per la conservazione della biodiversità.
Il lancio del fondo rappresenta un grande successo per la COP16, e un momento importante per la giustizia climatica e per la biodiversità globale. Le risorse provenienti dalla natura sono state a lungo sfruttate dai Paesi del Nord del mondo senza un’adeguata condivisione dei profitti con le nazioni e popolazioni da cui queste risorse venivano prelevate.
Durante la plenaria di apertura, martedì mattina, la Presidente di COP16 ha ricordato che la biodiversità riguarda la vita di tutti e tutte noi. Nell’attuale contesto globale dovremmo dimostrare al mondo che il multilateralismo funziona, ha detto, e che a Roma si può trovare un accordo. La speranza ora è che la giornata di mercoledì sia più produttiva sul fronte dei negoziati per la finanza, e che si trovi una produzione condivisa su tutto entro giovedì.
Articolo a cura di Margherita Barbieri e Lorena Piccinini
Immagine di copertina: FAO/Pier Paolo Cito
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