Vivere in guerra a Leopoli: fra speranza e conflitto

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Viviana Calmasini, operatrice Caritas Italiana in Ucraina (seconda da sinistra), con operatori della Caritas Ucraina

A Leopoli siamo lontani dalla linea del fronte, a oltre mille chilometri di distanza. Quando si arriva in città la vita sembra quasi normale. La quotidianità scorre: le persone vanno al lavoro, i bambini frequentano la scuola, i ristoranti sono aperti. Chi visita Leopoli per pochi giorni potrebbe non accorgersi subito che ci troviamo in un paese in guerra.

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Tuttavia, se si osserva più da vicino, se si vive qui, se si parla con le persone, l’impatto del conflitto è immediatamente evidente. La guerra in Ucraina è un’ingiustizia che travolge l’intera popolazione, ma accentua in modo drammatico le disuguaglianze preesistenti nella società. Le persone più vulnerabili sono quelle che soffrono di più: anziani, disabili, famiglie povere.

Foto credits: Caritas Internationalis

Olga, una donna di 75 anni originaria di Donetsk, è arrivata nella regione di Leopoli con i suoi due figli e cinque nipoti, tutti in fuga dal conflitto. «Non avevamo nulla, se non la speranza di trovare un posto sicuro dove vivere», mi racconta. «Ma anche qui, la paura non ci lascia mai. Ogni volta che sento l’allarme missilistico, il cuore mi si ferma. Penso a mia sorella che è rimasta a casa.»

Come Olga, migliaia di persone hanno dovuto affrontare l’incertezza, cercando di ricostruire una vita lontano dalle zone di guerra. Da quando è scoppiato il conflitto, la popolazione di Leopoli è praticamente raddoppiata, con l’arrivo di migliaia di sfollati provenienti dalle zone più colpite. Molti di loro sono arrivati senza nulla e ora vivono in centri di accoglienza temporanei, spesso nella periferia della città.

«Ma anche qui, la paura non ci lascia mai. Ogni volta che sento l’allarme missilistico, il cuore mi si ferma»

Molte famiglie sono state spezzate dalla guerra. Mentre numerose donne si sono spostate con i figli verso regioni più sicure dell’Ucraina o hanno cercato rifugio in Europa, migliaia di uomini sono stati chiamati a combattere e sono partiti per il fronte. Molti di loro non faranno mai ritorno. Ogni giorno, migliaia di famiglie vivono nel timore costante di perdere i loro cari in guerra. Gli uomini che hanno la fortuna di rientrare a casa portano con sé profonde cicatrici fisiche e psicologiche.

Andriy, un uomo di 38 anni, è tornato dal servizio militare dopo essere stato ferito in combattimento. Ora si trova in un centro di recupero per tossicodipendenti. Non aveva mai avuto problemi con le droghe prima della guerra. Ma, dopo aver visto l’orrore del fronte, dopo aver usato sostanze per sopravvivere durante gli anni di combattimento, non riesce più a smettere.

La guerra ha avuto anche un impatto devastante sull’economia. Molti lottano per coprire i costi di base. Un salario medio non basta nemmeno a coprire le spese quotidiane di una famiglia. Per finanziare il conflitto, il governo centrale non riesce più a garantire alcuni servizi essenziali, e le pensioni e i sussidi non sono sufficienti. Oksana, una donna di 68 anni proveniente da Dnipro, che soffre di crisi epilettiche e ha bisogno di farmaci regolari, mi dice: «Il farmaco, anche con prescrizione, costerebbe circa 1200 grivnie (30 Euro) al mese, ma io, con la mia pensione da 3000 grivnie (70 Euro) Euro, non posso permettermelo.» E aggiunge: «È una scelta tra comprare da mangiare e comprare il farmaco. Spesso, per comprare il farmaco, preferisco non mangiare.»

La difficoltà più grande, forse, è la paura. Dopo tre anni dall’inizio dell’invasione su larga scala, ansia e stress sono diventati compagni quotidiani, come il suono degli allarmi, al quale ormai molti non fanno più caso. Le persone vivono costantemente esposte a paura e incertezza per il futuro, con effetti psicologici che influenzano anche la loro salute, generando stress, disagio psicologico e malattie mentali. Si sopravvive, si tira avanti, ma molti temono che una crisi psicologica esploderà quando la guerra finirà.

La difficoltà più grande, forse, è la paura. Dopo tre anni dall’inizio dell’invasione su larga scala, ansia e stress sono diventati compagni quotidiani, come il suono degli allarmi, al quale ormai molti non fanno più caso.

In questo scenario complesso, Caritas Italiana è impegnata in vari progetti di supporto, offrendo assistenza materiale, supporto psicologico e servizi sanitari a chi ne ha bisogno. Una delle attività principali riguarda la distribuzione di viveri e beni di prima necessità nei centri di accoglienza, ma anche iniziative di assistenza sanitaria, come il supporto psicologico e l’accesso a cure mediche. In particolare, uno dei progetti che coordiniamo prevede l’utilizzo di ambulanze mobili che raggiungono le zone rurali e isolate, dove gli sfollati non avrebbero altrimenti accesso a servizi sanitari adeguati.

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Foto credits: Caritas Internationalis

Halyna, una signora di 50 anni che vive con il figlio disabile in una struttura di accoglienza, racconta: «Mio marito è in guerra. Io sono qui da sola, non posso permettermi un’automobile. Mio figlio ha bisogno di fisioterapia ogni settimana e per me raggiungere l’ospedale era impossibile.»

Caritas Italiana è impegnata in vari progetti di supporto, offrendo assistenza materiale, supporto psicologico e servizi sanitari a chi ne ha bisogno. Una delle attività principali riguarda la distribuzione di viveri e beni di prima necessità nei centri di accoglienza, ma anche iniziative di assistenza sanitaria, come il supporto psicologico e l’accesso a cure mediche

Come operatore di Caritas, ogni giorno ci troviamo di fronte a situazioni complesse che richiedono risposte rapide ed efficaci. Le necessità sono enormi, e i nostri progetti sono costantemente orientati a rispondere ai bisogni primari delle persone: cibo, salute, rifugio, supporto psicologico. Ma, oltre all’assistenza materiale, ciò che fa davvero la differenza è la presenza. Essere qui, ascoltare le storie delle persone, far loro capire che non sono sole, è ciò che rende il nostro lavoro significativo.

Ci sono storie che ci toccano profondamente, storie di resistenza e speranza. Un esempio di questa forza è la storia di Natalia, una giovane di soli trent’anni, direttrice di una piccola Caritas parrocchiale situata a breve distanza da Leopoli. «Nel 2022 sono arrivati nel nostro paesino centinaia di sfollati, che avevano bisogno di qualsiasi cosa», racconta Natalia. «All’inizio sembrava una sfida impossibile: non avevamo risorse, e il bisogno era immenso. Ma non ci siamo dati per vinti. La comunità si è unita, chi faceva una donazione, chi si rendeva disponibile come volontario. E poi abbiamo trovato il supporto esterno, compreso quello di Caritas Italiana, che ci ha permesso di finanziare la distribuzione di viveri e prodotti sanitari.»

L’impegno di Caritas Italiana in Ucraina è fondamentale per sostenere chi vive nel dolore e nell’incertezza, offrendo aiuto concreto in un momento di grande difficoltà, al fianco delle persone e delle comunità, con particolare attenzione ai più fragili, spesso vittime silenziose del conflitto. Ma il nostro lavoro come operatori Caritas non si limita a rispondere ai bisogni materiali: ciò che davvero fa la differenza è la presenza, la testimonianza e la speranza che possiamo offrire. In un contesto così drammatico, la solidarietà e la comunità diventano strumenti essenziali per costruire un futuro di speranza e dignità.

Foto credits: Caritas Internationalis


Aggiornato il 24/02/25 alle ore 16:41



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