Autofinanziamento e calo del credito: la svolta delle imprese italiane

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Con l’aumento dei risparmi aziendali e la contrazione dei prestiti bancari, le imprese italiane puntano sempre più sull’autofinanziamento per sostenere spese e investimenti

Nel contesto economico italiano si è affermato un modello nuovo, rispetto a quello tradizionale improntato sul doppio binario dell’affiancamento al mondo produttivo del canale finanziario delle banche.
La nuova parola d’ordine degli imprenditori per affrontare spese e investimenti, negli ultimi anni, è diventata “autofinanziamento”.
Lo evidenzia una ricerca svolta dall’Ufficio studi della Cgia, che esordisce ammettendo: “Forse ci siamo sbagliati. Pensavamo che in questi ultimi 15 anni fossero state le banche ad aver chiuso i rubinetti del credito alle aziende italiane, invece pare sia avvenuto l’esatto contrario”.
Una tendenza dall’impatto diverso (anche sul fronte del risparmio) a seconda dei macro contesti territoriali italiani. E che differenzia il nostro Paese da altri importanti grandi player europei, a partire da Francia e Germania, accomunandoci invece alla Spagna, dove il fenomeno è addirittura più marcato.

Imprese: prestiti giù, risparmi su

Il tema alla base della necessità di ricorrere al credito bancario è quello, storico, della mancanza di liquidità in azienda, che non necessariamente è segnale di una situazione di difficoltà.
Come sottolinea la stessa analisi della Cgia, infatti, nel quadro macroeconomico “a seguito anche dei buoni risultati economici ottenuti, molte attività rimaste sul mercato hanno aumentato i risparmi e conseguentemente il loro utilizzo per far fronte alle spese correnti e agli investimenti”.


Proprio partendo da qui, allora, trae forza la chiave di lettura proposta, che lega a scelte discrezionali il nuovo orientamento da parte quelle imprese italiane che non si sono trovate ad affrontare un progressivo deterioramento economico-finanziario, come invece verosimilmente accaduto per molte micro imprese che hanno contratto la richiesta di prestiti. Le imprese in salute, insomma, hanno preferito puntare sull’apporto di capitali propri di imprenditori e soci oppure sul coinvolgimento di terzi attraverso azionariato diffuso e mercato dei capitali.
Entrando nel dettaglio, lo studio ricorda che a fine dicembre 2011, quando iniziò la fase di crisi dei debiti sovrani, i prestiti bancari alle imprese italiane ammontavano a 995 miliardi di euro, mentre verso la fine del 2024 la quota si era contratta del -33%, ovvero di 329 miliardi, scendendo a 666. Nello stesso periodo, i depositi bancari delle aziende sono però aumentati di 300 miliardi, passando da 219 miliardi a 519, con un incremento del +137%.

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L’evoluzione del mercato del credito

Il fenomeno della contrazione del credito alle imprese in atto dal 2023 non è una novità degli ultimi 13 anni, visto che si era registrato un andamento simile anche nel periodo tra il 2012 e il 2015 e tra il 2019 e la prima parte del 2020, prima dell’introduzione di provvedimenti a sostegno del credito legati alle misure adottate per fronteggiare la crisi dovuta all’esplosione della pandemia. Sono infatti molti i fattori, sottolineati dalla Cgia, che incidono su questo fronte.
Tra questi si indicano soprattutto le importanti trasformazioni imposte, dopo le crisi finanziarie degli ultimi decenni, dalla Banca Centrale Europea al sistema bancario, in particolare attraverso l’introduzione di parametri molto stringenti nella valutazione del merito e del rischio di credito o elevando notevolmente il livello di patrimonializzazione. A incidere, inoltre, è stata anche la riduzione delle sofferenze bancarie, che nel 2015/16 avevano raggiunto la cifra record di 160 miliardi in capo alle imprese.

imprese
BCE

Infine, si fa notare che il ricorso a canali alternativi al credito è evidente anche nei dati Istat/Banca d’Italia sulla ricchezza delle società non finanziarie con più di 5 addetti. Dal 2011 al 2023, il canale di finanziamento tramite l’azionariato è infatti salito di 930 miliardi di euro, +86%, toccando i 2.592 miliardi di euro e incidendo sulle passività totali per il 54% contro l’iniziale 40%, con un parallelo calo del peso dei prestiti dal 35% al 23%.

Le differenze territoriali, in Europa e tra i confini nazionali

Come anticipato, la situazione europea relativamente al ricorso delle imprese al credito bancario presenta trend molto differenziati da Paese e Paese. Il confronto condotto dalla Cgia, in questo caso, si incentra sulle variazioni tra il 2011 e il 2023, in quanto è questo l’ultimo anno per cui sono disponibili i dati ufficiali della Vce.
Il dato medio dell’Area-Euro fa segnare un +4,3% (+188,6 miliardi di euro), con le punte del +61,4% in Francia e del +46% in Germania.
Per contro, la Spagna si attesta al -46,7% (l’Italia in quell’anno era al -30,9%) e frena anche l’Olanda (-8,1%).
Tornando all’Italia, la frenata del ricorso delle imprese al credito bancario tra il 2011 e il 2024 è più marcata nelle regioni del Centro (-42,6%) e del Sud (-42,4% e il più alto calo in valori assoluti: -118,1 miliardi). Tra le province, il dato negativo più significativo è quello di Siena (-59,1%, seguita da Savona (-58,9%), Siracusa (-56,8%), Novara (-53,8%) e Rovigo (-52,4%), con una media nazionale del -34,9% e segni “più” solo a Trieste (+1,4%) e Bolzano (+1,5%).

Dove le imprese risparmiano di più

Quanto ai risparmi delle imprese, la marcoarea che ha fatto segnare il maggior incremento tra novembre 2011 e novembre 2024 è stato il Nord-Est con il +178%.
Il record è della provincia di Cremona (+298,3%), seguita da Bolzano (+281,6%), Enna (+278,9%), Salerno (+270%) e Potenza (+257,7%). In questo caso, c’è una sola eccezione in negativo: la provincia di Siena, che ha visto diminuire i risparmi del -20,1%.

Alberto Minazzi



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