Olio, le esportazioni crescono, ma in Italia arriva sempre più olio dall’estero

Effettua la tua ricerca

More results...

Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors
Filter by Categories
#finsubito

Cessione crediti fiscali

procedure celeri

 


Il comparto dell’olio d’oliva in Italia sta attraversando un periodo di difficoltà, con una riduzione significativa della produzione e un aumento delle importazioni. Sebbene l’olio extravergine di oliva (evo) continui a essere simbolo della Dieta Mediterranea e a registrare buoni risultati nelle esportazioni, le sfide legate ai cambiamenti climatici, alla frammentazione delle aziende e alla scarsa consapevolezza dei consumatori stanno mettendo a dura prova la competitività del prodotto italiano, tanto che nel nostro Paese si importa sempre più soprattutto da Spagna e Tunisia.

Olio, una produzione in calo

Le stime per il periodo 2024-25 indicano una significativa riduzione della produzione di olio d’oliva in Italia, che non supererà le 244mila tonnellate, con un calo del 26% rispetto all’anno precedente. Questo declino porterà il Paese al quinto posto tra i principali produttori mondiali, con possibili ripercussioni sul settore olivicolo nazionale. Secondo il report ISMEA, il calo produttivo è legato a diversi fattori, tra cui il cambiamento climatico, l’aumento dei costi di produzione e la siccità. Queste difficoltà stanno incidendo non solo sulla quantità, ma anche sulla qualità dell’olio prodotto.

 

Finanziamo agevolati

Contributi per le imprese

 

Andrea Tiso, presidente di Confeuro, ha evidenziato come la scarsità d’acqua renda sempre più difficile la gestione degli oliveti, mettendo a rischio la sostenibilità delle coltivazioni e l’economia delle aree rurali. Se questa tendenza dovesse continuare, potrebbero verificarsi ulteriori conseguenze sull’occupazione e sulla competitività del settore a livello internazionale.

Olio, il quadro della produzione

L’aggiornamento sulla produzione di olio d’oliva in Italia, basato sui dati ufficiali del Sian, conferma le previsioni di una campagna complessa. A fine gennaio, la produzione registrata è di 219.920 tonnellate, a cui si aggiunge un 10% di olio non inserito nel registro telematico, come indicato da Ismea. Il totale stimato per la campagna 2024/2025 si attesta quindi intorno a 240mila tonnellate, con una riduzione di 90mila tonnellate rispetto all’annata precedente.

Nonostante una produzione inferiore rispetto all’anno scorso, la Puglia rimane la principale regione produttrice, con circa 100mila tonnellate (rispetto alle 201mila del 2023/2024). Segue la Sicilia, che registra 24mila tonnellate, in calo rispetto alle 37mila dello scorso anno, a causa della siccità. Anche la Calabria ha subito una contrazione della produzione, fermandosi a 20mila tonnellate (contro 33mila dell’annata precedente), mentre la Toscana segna un incremento, superando le 18mila tonnellate rispetto alle 10mila dello scorso anno. Il Lazio ha raggiunto 15mila tonnellate, raddoppiando la produzione rispetto all’anno precedente, mentre la Campania si attesta a 11mila tonnellate. L’Abruzzo registra un calo significativo, risultando inferiore persino all’Umbria, che ha migliorato la sua produzione rispetto all’anno scorso. Nel complesso, sono state raccolte 1,5 milioni di tonnellate di olive, con una resa media nazionale del 14,23%. I valori variano dall’8,37% del Piemonte al 16,37% della Puglia.

Olio, le importazioni da Spagna e Tunisia

L’Italia importerà circa 25mila tonnellate di olio d’oliva al mese dalla Spagna, un quantitativo superiore del 60% rispetto a quello importato lo scorso anno. L’incremento è legato all’aumento della produzione olearia spagnola, che è tornata ai livelli abituali con 1,4 milioni di tonnellate, mentre la produzione italiana si è fermata a 240mila tonnellate, a fronte di un consumo nazionale annuo doppio rispetto a questa cifra. L’analisi proviene dalla testata spagnola Olimerca ed è stata diffusa in seguito alla pubblicazione dei dati del Ministero dell’Agricoltura spagnolo relativi all’andamento del mercato dell’olio d’oliva nel mese di dicembre 2024. Senza contare che il nostro Paese è inoltre il principale importatore di olio d’oliva tunisino, con il 33,8% delle esportazioni complessive del Paese nordafricano. Seguono la Spagna con il 22,7% e gli Stati Uniti con il 17,2%, secondo il rapporto dell’Osservatorio nazionale dell’agricoltura tunisino (Onagri), che analizza i dati dei primi tre mesi della stagione 2024/2025.

Olio, un trend preoccupante

La produzione nazionale di olio d’oliva sta attraversando una fase complessa. Negli ultimi 15 anni, l’Italia ha perso oltre il 30% del raccolto e il 38% della produzione, scivolando all’ultimo posto tra i principali produttori del Mediterraneo. Il settore deve affrontare sfide legate ai cambiamenti climatici, alla frammentazione delle aziende (il 40% ha meno di 2 ettari di oliveto), alla volatilità dei prezzi e a un modello produttivo che fatica a competere con altri Paesi. Negli ultimi vent’anni, le superfici coltivate sono diminuite solo del 3%, ma la produzione ha subito un calo significativo. Questa tendenza preoccupa gli operatori del settore e rende necessaria una risposta concreta per garantire la competitività dell’olio d’oliva italiano sui mercati globali. Eppure l’olio d’oliva ha registrato un aumento significativo nelle esportazioni, con un incremento del 42,6% nell’ultimo anno. Si conferma così tra i prodotti più rappresentativi del made in Italy, contribuendo alla crescita del settore agroalimentare. Secondo il ministro dell’Agricoltura e della sovranità alimentare Francesco Lollobrigida, questi dati dimostrano come la qualità e la tipicità dei prodotti italiani siano un elemento chiave per la competitività sui mercati internazionali.

Olio, la cultura per superare le contraddizioni

Una contraddizione – quella di esportare molto importando altrettanto – che può essere spiegata anche con una carenza di conoscenza dell’olio e delle sue proprietà. Un’indagine condotta dall’Istituto nutrizionale Carapelli-Fondazione Ets, presentata presso l’Università degli Studi di Milano, ha rivelato che il 46% degli italiani non è a conoscenza dei benefici dell’olio extravergine di oliva (evo). Nonostante faccia parte integrante della Dieta mediterranea, il 35% degli intervistati utilizza meno di due cucchiai al giorno, una quantità inferiore rispetto ai 3-4 cucchiai raccomandati dagli esperti per garantire un apporto ottimale di nutrienti.

E poi c’è la questione aperta relativa al canale Horeca. Se il consumatore non è cosciente del valore dell’olio, spesso i ristoratori decidono di non investire in uno o più oli da inserire in una carta dell’olio o da mettere in tavola, perché ritenuto un costo e non una carta in più da giocare. In questo senso, il Maestrod’olio Fausto Borella si augurava, tra i buoni propositi del 2025, che ci fosse «davvero una maggiore attenzione da parte del cliente, che deve riconoscere prima ed esigere dopo un grande olio, e speriamo di cuore che la ristorazione tutta, dalle trattorie alle pizzerie, voglia far conoscere il vero olio Evo artigianale italiano meglio se monocultivar, per dare un plus al suo locale e magari aumentare i propri introiti, vendendo l’olio buono, fatto assaggiare pochi minuti prima». 

Microcredito

per le aziende

 

Tuttavia la sola cultura non può bastare. Appare evidente che se crescono sia le esportazioni che le importazioni di olio, significa che quello estero rimane il canale privilegiato per le vendite con margini difficilmente replicabili in Italia, con quest’ultima che, alle prese con i cali di produzione esaminati, si trova quindi costretta a comprare dall’estero, diventando, di fatto, un mercato secondario per i propri stessi produttori.



Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link