Il compenso degli amministratori degli enti sportivi deve essere proporzionato

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Uno dei requisiti fondamentali per ottenere la qualifica di ente sportivo dilettantistico è costituito dall’assenza dello scopo di lucro; secondo quanto richiesto dall’art. 8 del DLgs. 36/2021, infatti, le associazioni e le società sportive dilettantistiche devono destinare eventuali utili e avanzi di gestione allo svolgimento dell’attività statutaria o all’incremento del proprio patrimonio.

A tal fine, è inoltre vietata, tra l’altro, “la distribuzione, anche indiretta, di utili ed avanzi di gestione, fondi e riserve comunque denominati, a soci o associati, lavoratori e collaboratori, amministratori ed altri componenti degli organi sociali”.

Prima della riforma dello sport, in assenza di una disposizione specifica, le ipotesi che configuravano violazione del divieto di distribuzione degli utili erano ricavate dalla normativa sulle ONLUS (operative fino al periodo d’imposta successivo a quello in cui perverrà l’autorizzazione della Commissione europea di cui all’art. 104 comma 2 del DLgs. 117/2017); tra i numerosi documenti di prassi in merito, si segnalano la C.M. 12 maggio 1998 n. 124/E, § 5.3, la ris. Agenzia delle Entrate 25 gennaio 2007 n. 9 e la risposta a interpello Agenzia delle Entrate 30 ottobre 2019 n. 452.

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Tuttavia, tali chiarimenti di prassi sono da ritenersi superati per effetto delle modifiche normative successivamente intervenute; infatti, in ordine all’individuazione delle fattispecie che costituiscono distribuzione indiretta di utili, l’art. 8 comma 2 ultimo periodo del DLgs. 36/2021 rinvia esplicitamente alla disciplina dell’impresa sociale, in particolare all’art. 3 comma 2 ultimo periodo e comma 2-bis del DLgs. 112/2017.
Di conseguenza, a partire dal 1° luglio 2023 (data di entrata in vigore della riforma dello sport) ai fini del rispetto del divieto di distribuzione indiretta di utili non vanno più considerati i criteri previsti dalla disciplina ONLUS, applicandosi direttamente l’art. 3 comma 2 ultimo periodo e comma 2-bis del DLgs. 112/2017.

Secondo tale disposizione, si considerano in ogni caso distribuzioni indirette di utili, tra l’altro:
– la corresponsione ad amministratori, sindaci e a chiunque rivesta cariche sociali di compensi individuali non proporzionati all’attività svolta, alle responsabilità assunte e alle specifiche competenze o comunque superiori a quelli previsti in enti che operano nei medesimi o analoghi settori e condizioni;
– la corresponsione ai lavoratori subordinati o autonomi di retribuzioni o compensi superiori del 40% rispetto a quelli previsti, per le medesime qualifiche, dai contratti collettivi, salvo comprovate esigenze attinenti alla necessità di acquisire specifiche competenze ai fini dello svolgimento delle attività di interesse generale;
– le cessioni di beni e le prestazioni di servizi, a condizioni più favorevoli di quelle di mercato, a soci, associati o partecipanti, ai fondatori, ai componenti gli organi amministrativi e di controllo, a coloro che a qualsiasi titolo operino per l’organizzazione o ne facciano parte, ai soggetti che effettuano erogazioni liberali a favore dell’organizzazione, ai loro parenti entro il terzo grado e ai loro affini entro il secondo grado, nonché alle società da questi direttamente o indirettamente controllate o collegate, esclusivamente in ragione della loro qualità;
– la corresponsione a soggetti diversi dalle banche e dagli intermediari finanziari autorizzati, di interessi passivi, in dipendenza di prestiti di ogni specie, superiori di quattro punti al tasso annuo di riferimento (il limite può essere aggiornato con decreto ministeriale).

La disciplina sopra descritta permette di ricavare, in linea generale, anche i limiti entro cui i compensi agli amministratori sono considerati ammessi, in quanto non costituenti una distribuzione indiretta di utili; in merito, si osserva che il legislatore ha preferito non individuare parametri numerici espliciti, limitandosi a richiedere che tali somme siano:
– proporzionate all’attività svolta, alle responsabilità assunte e alle specifiche competenze;
– non superiori a quelle previste in enti che operano nei medesimi settori.

Non previsti parametri fissi

Si tratta, in tutta evidenza, di criteri molto generali, che pongono in capo alle singole realtà sportive l’onere di stabilire un compenso che possa essere considerato, da un lato, proporzionato all’attività svolta, e dall’altro lato nei limiti dei compensi previsti per gli amministratori di analoghi enti sportivi.

In assenza di criteri puntuali individuati a livello legislativo, sarà quindi necessaria un’analisi caso per caso, tale da poter dimostrare che i compensi in esame non integrano una distribuzione indiretta di utili; eventuali contestazioni in merito potrebbero infatti portare al disconoscimento del carattere non lucrativo dell’attività svolta, con conseguente perdita dello status di ente sportivo dilettantistico e delle agevolazioni fiscali a esso collegate.



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