Il romanzo di Saitō Kōhei: Il Capitale nell’Antropocene

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Se siete tra i molti che curano l’ecoansia con le buone abitudini – la borraccia al posto delle bottiglie di plastica, la raccolta meticolosamente differenziata dei rifiuti – l’incontro con il pensiero del professore Saitō Kōhei (Kohei Saito, come è spesso citato fuori dal Giappone) non sarà un’esperienza indolore. Fin dalle prime pagine del suo libro Il Capitale nell’Antropocene (Einaudi), saprete che nell’attuale sistema qualunque virtuoso comportamento quotidiano, esattamente come le Conferenze sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite, rischia di trasformarsi in “oppio dei popoli“: una tardiva panacea che non eviterà la catastrofe già scritta, ma in compenso ci distrarrà dal prepararci a riceverla. Dopo una novantina di pagine documentate e implacabili, un conciso specchietto riassuntivo illustra le varianti del disfacimento sociale che accompagnerà il tracollo del pianeta: dittature di stampo fascista o maoista, oppure guerra dei poveri contro i ricchi, del nord contro il sud, di tutti contro tutti. A meno che, argomenta Saitō, l’umanità non prenda il toro per le corna e si ribelli al comandamento numero uno dell’Occidente, la crescita economica illimitata, rileggendo con cognizione di causa il primo che studiò a fondo il capitalismo con l’idea di liberarcene: Karl Marx.

««Il primo passo è mentale: riconoscere l’eccesso, perché consumare oltre un certo limite non ti rende felice»

Il Capitale nell’Antropocene, uscito in Giappone nel 2020 nel mezzo del lockdown, è diventato a sorpresa un bestseller da mezzo milione di copie, in gran parte acquistate da giovanissimi: «È stato bello sapere che le persone stavano aspettando un’alternativa», dice sobrio Saitō, in collegamento da Amburgo, dove coordina un programma annuale di ricerca intitolato Beyond Capitalism. War Economy and Democratic Planning al New Institute, un think tank multidisciplinare di studiosi che ragionano sulle sfide della contemporaneità. Classe 1987, studi in Giappone, in Usa e in Germania, docente di filosofia all’Università di Tokyo, Saitō è diventato un marxista classico da ragazzo e un marxista ambientalista da ricercatore, studiando l’enorme mole di appunti del filosofo posteriori alla pubblicazione de Il capitale (1867), dai quali emergono ripensamenti della sua stessa dottrina, nonché la crescente consapevolezza degli effetti distruttivi dell’economia capitalista non solo sull’uomo, ma anche sull’ecosistema della Terra.

« Anche se non compri 10 vestiti all’anno ma solo 5 o 6, che è sempre molto, puoi godere della moda»

Intanto, professore, Donald Trump è entrato alla Casa Bianca.
Non è certo una buona notizia, ma è solo una parte del problema. Anche sotto la presidenza democratica la decarbonizzazione era ferma, si investiva nei combustibili fossili e si sono scatenate le guerre. Abbiamo bisogno di una soluzione molto più radicale, di immaginare un futuro molto diverso.

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La decrescita non è un concetto nuovo per il movimento ambientalista; che cosa vuol dire esattamente per lei?
Non si tratta di abbandonare la tecnologia, di rinunciare a tutto ciò che è comodo e piacevole e ritirarsi nella natura a vivere di bacche. Prendiamo la moda: tutti parlano di moda etica, perfino le industrie del fast fashion vogliono essere sostenibili, ma nessuno affronta il nodo centrale. L’industria della moda produce troppi vestiti, vestiti di cui non abbiamo bisogno e che in gran parte si assomigliano. Si sente parlare di nuovi materiali, ma non di ridurre la produzione, del fatto che sono costretti a buttarla via o a fare i saldi per smaltirla. Il primo passo della decrescita è mentale: riconoscere l’eccesso. Anche se non compri dieci vestiti all’anno ma solo cinque o sei, che è sempre molto, puoi comunque godere della moda. Questo ragionamento vale per tutto il sistema del capitalismo, dal mangiare troppa carne al prendere troppi aerei. Oltre un certo limite, consumare di più non ti rende felice, ti fa solo spendere di più, quindi lavorare di più, sopportare più stress e competizione. Questo stile di vita ha un nome, causa lo sfruttamento di altre persone, consuma energia, materiali, lavoro e distrugge l’ambiente. La crescita deve fermarsi. Non ha senso parlare di capitalismo verde o di crescita sostenibile.

Lei invece parla di comunismo della decrescita. Perché la decrescita ha bisogno del comunismo?
Perché se il capitalismo non cresce la disuguaglianza peggiora, dunque capitalismo e decrescita sono incompatibili. Io non penso a un sistema come quello dell’Unione Sovietica o della Cina, ma al benessere collettivo. Credo che la società non dovrebbe fondarsi sullo scambio di merci, sui monopoli e il denaro, ma sui molti beni che potremmo e dovremmo condividere, come la conoscenza, la cura della salute, la tecnologia, i trasporti pubblici e anche le risorse essenziali e non illimitate, come l’acqua. Oggi i ricchi tendono a monopolizzare il benessere e consumano in modo sproporzionato le risorse del pianeta. Io promuovo il comunismo non per rimettere in vigore la dittatura del proletariato ma per riabilitare i beni comuni. Internet, scuole, sanità dovrebbero essere beni gratuiti e non mercificati perché sono necessari a tutti. Non costruiamo ospedali per guadagnare, ma per curare le persone e le loro malattie. Questa è la mia idea di comunismo della decrescita.

È pensabile che si realizzi senza violenza?
Il mio libro rende chiaro che non aspiro a un evento in stile Rivoluzione russa, non lo ritengo nemmeno possibile. Si tratta di “ricomunalizzare” servizi e trasporti, come alcune città stanno facendo anche oggi, penso a Parigi e a Barcellona. E di promuovere la partecipazione. Ora molte decisioni importanti in Europa vengono prese a Bruxelles, mentre a livello locale non si ha realmente il senso della partecipazione democratica. Le decisioni locali dovrebbero essere maggiormente gestite e organizzate dalle persone locali, questa sarebbe anche un’opportunità per non lasciare che tutto sia governato dai mercati, e accrescere un po’ alla volta il patrimonio dei beni comuni. Spero in una società dove non ci si debba preoccupare continuamente e avidamente del denaro, ma fondata sui principi della cura, della mutua solidarietà, della collaborazione. E forse questo potrà trasformarsi in qualcosa di più grande, in futuro.

Ha mai incontrato Greta Thunberg?
Sfortunatamente no, ma forse ci proverò, durante la mia permanenza in Europa. Credo che stia facendo un magnifico lavoro, anche se il movimento Fridays for future ha un po’ perso la passione, in Germania le manifestazioni sono molto più piccole rispetto a cinque anni fa. Ma lei ha capito che la questione ambientale è connessa al capitalismo, alla guerra, che tutto è collegato, che non puoi pensare di cambiare il mondo comprando la moda etica e che è ora di fare qualcosa di diverso. Io penso, spero che la generazione più giovane lo farà.

«Spero che non ci si debba preoccupare continuamente e avidamente del denaro»

Perché abbiamo bisogno di Marx oggi?
Perché il movimento Fridays for future non può sconfiggere il capitalismo da solo. È necessario che si uniscano i lavoratori, i sindacati: il movimento “verde” e il movimento “rosso” devono in qualche modo convergere e il Marx ecologista degli ultimi anni può essere un buon punto di partenza. È anche importante ricostruire l’evoluzione di Marx, che era inizialmente ottimista riguardo alla tecnologia, in quanto si trovava al centro della rivoluzione industriale inglese, nel Paese più avanzato del momento. Più avanti però si allontanò da questa convinzione ingenua, diventò più critico nei riguardi del colonialismo europeo e meno tecno-ottimista. In Giappone, come in Europa e in America, molti pensano che la tecnologia possa risolvere la crisi climatica, ma a mio parere non è così. Il problema in fondo si pone in termini abbastanza simili a quelli in cui si poneva a Marx, per questo ci serve comprendere il capitalismo in profondità, e a questo scopo Marx è molto utile.

Dobbiamo occuparci dei principi di cura e mutua solidarietà

Se fosse primo ministro del Giappone con una solida maggioranza, quale sarebbe il suo primo provvedimento in favore dell’ambiente?
Introdurrei un tetto massimo per i redditi, una misura sicuramente efficace e altamente simbolica: i ricchi sono responsabili della maggior parte del deterioramento ambientale. Spesso si tratta di persone intelligenti che lavorano moltissimo per guadagnare sempre di più, ma se fosse loro impedito di guadagnare di più comincerebbero a chiedersi come usare il proprio tempo libero e probabilmente farebbero qualcosa di produttivo per tutti. Sarebbe un primo passo per modificare velocemente i comportamenti e i valori delle persone.

«Internet, scuole, sanità dovrebbero essere beni gratuiti e non mercificati: sono necessari a tutti»

Di che cosa parlerà il suo prossimo libro?
Di economia di guerra
, perché la gente muore. Ormai non possiamo più evitare i disastri climatici: stiamo entrando in un’era molto difficile in cui dobbiamo pensare a come proteggere le persone. Non possiamo rimanere appesi alla vecchia idea della sostenibilità, né continuare a chiederci come fare soldi, dobbiamo chiederci come salvare delle vite. È una domanda che non ci poniamo da quando è finita la Seconda guerra mondiale, ma dobbiamo porcela, adesso.

TUTTO È TROPPO Si intitola Trash l’immagine in alto, fa parte del progetto Planet e della serie Status Quo ed è uno scatto del fotografo austriaco Wolf Silveri che, dal 2018, ha concentrato le sue opere sul tema dei rifiuti e della plastica. Come in questo mappamondo che raccoglie l’immondizia: simbolo di un Pianeta in cui si produce troppo e troppo viene poi buttato via. Il fotografo è rappresentato dall’agenzia plainpicture.com.

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