Fusione di Coop Centro Italia e Unicoop Tirreno: se ne va dall’Umbria un centro decisionale importante.

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Eā€™ stato negli Anni ā€™80 assessore comunale di Terni allo Sviluppo economico e poi aveva assunto una posizione di rango nel mondo cooperativo. Per questo Sergio Filippi ha voce in capitolo per guardare con autoritĆ  la preannunciata fusione delle due cooperative, Coop Centro Italia e Unicoop Tirreno, che fa evaporare dallā€™Umbria il Centro decisionale cooperativo, cosƬ come avvenne, negli anni per lā€™Acciaieria.

Ecco, allora una sua presa di posizione, che rifĆ  una storia puntuale della vicenda, mettendo in guardia sulla inconsistenza politica dellā€™Umbria.

Coop Centro Italia e Unicoop Tirreno hanno avviato un processo di fusione che segue lā€™acquisizione, avvenuta ventā€™anni fa da parte della seconda, dei punti vendita ternani e laziali di Coop Tevere e, piĆ¹ recentemente, la cessione a Unicoop Firenze dei punti vendita senesi e aretini di Coop Centro Italia.
Nel merito, ritengo che i cooperatori umbri debbano essere onesti con la ComunitĆ  regionale. Siamo infatti in presenza di una operazione che ĆØ, sostanzialmente, di messa in sicurezza del patrimonio che residua di quarantā€™anni di indiscutibile sviluppo della Cooperazione di Consumo in Umbra che sono stati, perĆ², anche caratterizzati da errori e gestioni finanziarie discutibili, e discusse; di divisioni interne, fra Terni e Perugia, e di conflitti commerciali con la oggi florida Cooperazione fra Dettaglianti umbri.
Un patrimonio residuo che per essere preservato costa ai cooperatori umbri la perdita dellā€™autonomia societaria e la sesta posizione per fatturato nellā€™elenco delle maggiori imprese con sede legale e direzione in Umbria. Vicenda questa che ricorda la perdita della autonomia societaria della Soc TERNI contro la quale si mobilitĆ² trentā€™anni fa, con forza ma inutilmente, la comunitĆ  ternana con la successiva cessione a nuove proprietĆ  e perdita dei centri decisionali. Ed oggi, paradossalmente, alle preoccupazioni per il ruolo della Coop in Umbria si sommano quelle, solo apparentemente cicliche, per il futuro delle Acciaierie.
E va amaramente osservato come, proprio nel nome del nuovo soggetto che nasce dalla preannunciata fusione, Coop ETRURIA, risieda la plastica evidenza della irrilevanza dellā€™Umbria.
E se ĆØ giusto che i cooperatori umbri paghino un prezzo politico, ci sia almeno risparmiata lā€™umiliazione di chiamarci ā€œetruschiā€.
Rispetto ai perugini, questo epilogo ĆØ peraltro ancor piĆ¹ doloroso per i ternani, tenendo conto del ruolo che hanno avuto dirigenti ternani e folignati nello sviluppo di Coop Centro Italia che riuscƬ anche a sbarcare in Toscana, fondendo Unicoop Senese con Coop Umbria. Ma anche perchĆ© Coop Tevere, nata dalle costole del Molino di Amelia, dopo essersi allargata nel Lazio, dovette confluire nel 2004 in Unicoop Tirreno, anticipando cosƬ lā€™esito finale della presuntuosa certezza, a lungo affermata dai dirigenti umbri, di mantenere la centralitĆ  della nostra Regione nei processi di espansione intrapresi.
Non so cosa i cooperatori umbri potranno dire e soprattutto fare per ridurre la possibile ricaduta negativa di immagine per tutto il Movimento Cooperativo Umbro. Qualcosa stanno dicendo i lavoratori, preoccupati per i livelli occupazionali. Di certo, se ĆØ un salvataggio, comporterĆ  risanamenti non indolori, quanto necessari anche in ragione della aggressivitĆ  dei competitor. E starĆ  alla nuova Direzione ā€œetruscaā€ la capacitĆ  di gestire il processo con la dovuta sensibilitĆ  sociale di cui spesso la Cooperazione ha dato prova.
Sono peraltro convinto che, ben oltre la retorica che a volte fa velo alla realtĆ , la crisi di appeal della Cooperazione, che da qualche tempo lamentiamo, puĆ² trovare un freno proprio rimettendo il Socio al centro del processo imprenditoriale ed esaltando il radicamento territoriale di una azienda a proprietĆ  collettiva, come appunto sono le Imprese Cooperative, soprattutto quelle di utenza come le Coop fra consumatori.
E se ĆØ vero che, oggi, per alcuni, il capitalismo non avrebbe piĆ¹ bisogno della democrazia (e non a caso ha finora sempre convissuto con la cooperazione) dobbiamo chiederci se anche per i cooperatori, presto, non ci sarĆ  piĆ¹ bisogno della democrazia. Se ciĆ² fosse, sarebbe un ossimoro e lo stesso modello di impresa capitalistica sarebbe legittimato ad assimilarci.
Con 800mila soci consumatori le due cooperative che sono oggi chiamate a fondersi sono una occasione irripetibile per un ampio, reale coinvolgimento decisionale dei soci che confermi la vitalitĆ  dei valori della Cooperazione e che non ĆØ vero che siamo in presenza di una ā€œimpresa manageriale senza controllo da parte di alcuna proprietĆ ā€.

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