cosa c’è dietro il boom Tether

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Nayib Bukele è uno dei paladini dell’estrema destra globale. Eletto presidente di El Salvador nel 2019, e confermato l’anno scorso, ha “ripulito”, dice lui, il suo paese dalle bande criminali a suon di leggi eccezionali e arresti che hanno portato in carcere 83 mila persone. Ogni 100 salvadoregni adulti, 3 sono dietro le sbarre, la maggior parte in attesa di un processo e a migliaia in condizioni che Amnesty international ha definito “inumane”.

Vista l’esperienza in materia, tre settimane fa Bukele si è offerto di ospitare nelle galere locali anche i detenuti che gli Stati Uniti vorranno inviare nel piccolo stato centroamericano. Donald Trump ha molto apprezzato il gesto di Bukele, uno dei pochissimi capi di governo che è stato invitato, al pari di Giorgia Meloni, alla cerimonia d’insediamento del nuovo inquilino della Casa Bianca.

La popolarità del presidente salvadoregno tra i suoi connazionali, già altissima per via dei successi sul fronte dell’ordine pubblico, è aumentata ancora il mese scorso, quando Tether, l’azienda che gestisce l’omonima criptovaluta, ha annunciato che avrebbe trasferito la sede a San Salvador, la capitale del paese, promettendo di costruire un grattacielo che diventerà il quartier generale del gruppo. Una scelta a dir poco sorprendente: la capitalizzazione di mercato di Tether, pari a 137 miliardi di dollari, vale tre volte il Pil di El Salvador, che vanta un reddito pro-capite di soli 5.400 dollari annui (quello italiano è 40 mila circa) e a differenza, per esempio, della vicina Panama, non è mai stato un paradiso per il denaro offshore.

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Amico presidente

Il fatto è che Bukele da anni sogna di trasformare il suo paese in un’oasi delle valute digitali, ha investito in bitcoin una parte delle riserve valutarie dello Stato e strada facendo ha sposato anche la causa di Giancarlo Devasini e Paolo Ardoino, i due fondatori di Tether diventati miliardari nel giro di pochi anni grazie al boom di bitcoin e affini. La coppia di finanzieri italiani, torinese, 60 anni, Devasini, ligure, 40 anni, Ardoino, vantano ottimi rapporti con Bukele, cementati anche dalla comune fede nel verbo di Trump.

Il presidente è diventato un fan delle criptovalute dopo che per anni, anche durante il suo primo mandato, ne aveva detto peste e corna. Nel 2021, per dire, il tycoon definì il bitcoin «una truffa».

Bianconeri offshore

In attesa di traslocare nel nuovo grattacielo a San Salvador, i documenti consultati da Domani rivelano che il gigante mondiale delle criptovalute, finito di recente sui giornali italiani per aver puntato una fiche da una trentina di milioni sulle azioni della Juventus, ha già aperto uffici al dodicesimo piano del President Plaza, un palazzo di Avenida de la Revolucion, nel centro della capitale salvadoregna.

Dalle carte, Devasini risulta amministratore unico di Tether holding SA di San Salvador, a cui è collegata Tether investment, anche questa con sede in Avenida de la Revolucion. Fino a poche settimane fa, la galassia col marchio Tether faceva capo a due società con base nel paradiso caraibico offshore delle British Virgin island, che stando ai documenti appena pubblicati potrebbero essere state sostituite da quelle fondate a San Salvador.

Poco importa, a questo punto. Nel 2024 la loro società dichiarato profitti per 14 miliardi di dollari e così, grazie al trampolino garantito dall’eccezionale crescita della criptovaluta, Devasini e Ardoino si stanno lanciando in investimenti nell’economia reale. È di martedì scorso la notizia che Tether ha presentato un’offerta per prendere il controllo di Adecoagro, un’azienda con sede in Lussemburgo che possiede grandi coltivazioni in Argentina e Brasile. I due cripto-finanzieri italiani possiedono già il 20 per cento della società, che è quotata a Wall Street e per arrivare alla maggioranza del capitale sono disposti a pagare circa 370 milioni di dollari.

L’affare che meglio illumina la rotta e le ambizioni di Devasini e Ardoino è però un altro. Nel mirino questa volta c’è Rumble, la piattaforma di condivisione video che è diventata uno dei principali veicoli della propaganda trumpiana e suprematista, tra tesi complottiste e verità alternative assortite. Tutto nel nome del free speech, come l’intende Elon Musk. Il 7 febbraio Tether ha comprato il 32,6 per cento di Rumble con un investimento di oltre 700 milioni di dollari. A dicembre, Ardoino aveva spiegato che l‘interesse per la piattaforma video «rispecchia i nostri valori condivisi» tra i quali ha citato anche «il diritto fondamentale alla libertà d’espressione», parole che richiamano le recenti esternazioni di Musk al vicepresidente J.D. Vance.

Un socio al governo

D’altronde, Devasini e Ardoino possono contare su un amico influente nel cuore dell’amministrazione Usa. Un amico che si chiama Howard Lutnick, uno dei finanzieri più vicini a Trump, che lo ha nominato segretario al Commercio.

Nella sua recente audizione al senato americano, Lutnick ha confermato che Cantor Fitzgerald, la società di trading di cui è primo azionista e amministratore delegato, ha investito 600 milioni di dollari in obbligazioni convertibili in titoli Tether.

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I rapporti del miliardario americano con Devasini e Ardoino sono strettissimi anche per un altro motivo. Cantor Fitzgerald custodisce gran parte delle riserve di Tether, del valore di 143 miliardi di dollari investiti per oltre il 70 per cento in titoli di stato Usa. Queste attività servono a garantire che la società dei due finanzieri italiani sia in grado di far fronte alle richieste di conversione in dollari dei Tether, il cui valore è ancorato a quello del biglietto verde.

Negli ultimi anni da più parti sono stati sollevati dubbi sull’effettiva consistenza di queste riserve, su cui si fonda la stabilità della criptovaluta. Se non fossero sufficienti a garantire l’effettiva convertibilità dei Tether, l’intero castello sarebbe a rischio crollo. Per rassicurare investitori e autorità di controllo Devasini e Ardoino hanno affidato alla società Bdo Italia un report firmato dal revisore Andrea Mezzadra che attesta l’esistenza e il valore delle riserve.

Indagini e sospetti

È un passo nella direzione di una maggiore trasparenza, anche se i patron di Tether sono periodicamente costretti a difendersi da dubbi e sospetti. Nel 2021, in due distinti procedimenti della procura di New York e della Commodity future trading commission statunitense, Tether ha raggiunto un accordo con le autorità per chiudere le indagini su alcune presunte irregolarità con il pagamento di circa 60 milioni di dollari.

Nel gennaio di un anno fa, un rapporto dell’agenzia delle Nazioni Unite per la lotta al traffico di droga e al crimine ha segnalato che la criptovaluta fondata da Devasini e Ardoino è diventata uno strumento ampiamente sfruttato per il riciclaggio di denaro frutto di frodi informatiche e scommesse illegali nel Sudest asiatico. Un flusso da decine di miliardi di dollari ogni anno che va ad arricchire le potenti mafie locali. La grande liquidità di Tether e la stabilità della sua quotazione la rende preferibile ai bitcoin, soggetti invece a forti oscillazioni sul mercato. La società ha respinto questa ricostruzione sottolineando la collaborazione con “decine di agenzie di polizia di tutto il mondo per combattere l’uso illecito delle criptovalute”.

Nel settembre scorso, un articolo del Wall Street Journal ha però raccontato di un’indagine del Tesoro Usa sull’utilizzo di Tether da parte di soggetti sotto sanzioni americane, come Hamas e mercanti d’armi russi. Adesso però alla Casa Bianca c’è Trump, che poche ore dopo il suo insediamento ha firmato un ordine esecutivo per promuovere una deregulation spinta delle criptovalute. Devasini e Ardoino non potrebbero chiedere di meglio.

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