Accuse, scioperi e sfiducie. Mentre L’Aja attacca Roma

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#finsubito

Conto e carta

difficile da pignorare

 


Due mozioni di sfiducia per due ministri, lo sciopero dei magistrati, l’incontro con il nuovo presidente dell’Anm Cesare Parodi. E sullo sfondo: la procura della Corte penale internazionale che chiede il deferimento dell’Italia al Consiglio di sicurezza dell’Onu, gli strascichi della condanna al sottosegretario Delmastro e il caso Paragon, che non è affatto finito ma anzi, con ogni probabilità, deve ancora cominciare sul serio, perché prima o poi verrà fuori chi ha ordinato di spiare giornalisti e attivisti.

IL SOLO ELENCO dei fatti basta a dire che sul fronte della giustizia i prossimi dieci giorni saranno particolarmente intensi per la premier Giorgia Meloni. Svanita nel nulla la diceria sui consensi che aumenterebbero ogni volta che c’è un impiccio con i giudici – i sondaggi si sono stabilizzati e non sono troppo diversi dal solito -, restano i problemi veri di quello che appare sempre più come uno scontro istituzionale tra il potere esecutivo e quello giudiziario: dal Quirinale che osserva silenzioso (e contrariato) fino al rischio di logoramento, perché la madre di tutte le battaglie, la riforma della separazione delle carriere, si gioca sul lungo periodo. Dopo i passaggi parlamentari, con ogni probabilità, ci sarà bisogno di un referendum costituzionale per confermare il tutto. Significa mesi di campagna e correre perdifiato, cioè picchiare duro ogni giorno, è una tattica che non paga mai nelle maratone.

AD OGNI MODO, già martedì, alla Camera, cominceranno le scintille: al mattino si discute la sfiducia al ministro della Giustizia Carlo Nordio per la vicenda Elmasry; al pomeriggio si vota quella alla ministra Daniela Santanchè per lo scandalo Visibilia. La partita delle dimissioni, in tutto questo, si sarebbe anche giocata, tra mezze dichiarazioni e pressing del presidente del Senato Ignazio La Russa, ma la Santa sin qui ha resistito e l’accumularsi dei guai giudiziari altrui probabilmente la aiuterà a salvarsi. Almeno per un altro po’ di tempo. Nordio, invece, non ha molto di cui preoccuparsi sul piano della sopravvivenza politica, ma l’uscita del documento con cui il procuratore della Cpi Karim Khan ha circostanziato le sue accuse all’Italia per la scarcerazione e il rimpatrio a bordo di un aereo di Stato del capo della polizia giudiziaria libica è una bordata difficile da ignorare. Khan non solo lamenta la mancata cooperazione dell’Italia, ma affonda anche il colpo dicendo che Roma era stata avvisata per tempo di tutti i passaggi formali sulla richiesta di arresto per Osama Elmasry. E soprattutto punta il dito contro il silenzio di via Arenula rispetto alle richieste avanzate dalla Corte d’Appello di Roma nei giorni in cui il boia di Tripoli era detenuto a Torino. C’erano errori formali negli atti come detto da Nordio? Sì, ma l’Italia avrebbe dovuto confrontarsi con la Cpi per risolverli, non utilizzarli come scusa per liberare il ricercato internazionale.

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IL CLIMA, dunque, è quel che è: il governo sembra allergico a qualsiasi foma di controllo. In questo calderone ci sono finite da ultime le dichiarazioni di Delmastro, che dopo essersi preso 8 mesi di condanna in primo grado per il caso Cospito, prima ha gridato al complotto delle toghe rosse, poi ha paragonato i giudici agli ayatollah e infine ha definito le correnti della magistratura come «un potere cancerogeno». Giovedì queste correnti sciopereranno contro la riforma della giustizia. Qui il punto non riguarda solo la sfida al governo ma anche la tenuta stessa della compattezza della magistratura. In teoria tutte le correnti, da destra a sinistra, sono unite contro i piani del governo e convinte delle ragioni dello sciopero. In pratica già Magistratura indipendente (i conservatori) spingono per attuare una linea più morbida, sperando che si possa riaprire una qualche forma di trattativa col governo. Come se si parlasse di orari di lavoro, ferie e altre questioni sindacali e non di una riforma che andrà a cambiare la Costituzione. L’asticella della protesta, comunque, è fissata a quota 70%: sopra quella cifra l’astensione dei giudici sarà presentata come un successo. Sotto, non a torto, si parlerà di flop.

E SUL BANCO degli imputati (è il caso di dirlo) ci andrà subito il nuovo presidente Parodi (Mi). I suoi primi giorni alla guida dell’Anm sono stati all’insegna della prudenza e della massima disponibilità al confronto. Tutto giusto, ma nella fase in cui le correnti sono trattate come una patologia oncologica e non passa giorno senza che un giudice venga preso personalmente di mira per le sue decisioni, forse, era lecito aspettarsi qualcosa di più. O forse no: a contare davvero non sono le dichiarazioni ma i fatti. Come lo sciopero. E come il colloquio che la settimana successiva – il 5 marzo – Parodi avrà con Meloni a palazzo Chigi. Un fatto di galateo istituzionale, certamente. Ma non solo.



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