25 anni fa i due finanzieri travolti e uccisi, poi l’Operazione Primavera per sconfiggere il contrabbando

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La notte del 23 febbraio di 25 anni fa due giovani finanzieri, Antonio Sottile e Alberto De Falco persero la vita a Jaddico, alle porte di Brindisi, travolti da un’auto blindata e rafforzata con rostri di ferro, utilizzata per il trasporto di sigarette di lavorazione estera, che faceva parte di un convoglio di autovetture di contrabbandieri. Cinque giorno dopo partì l’Operazione Primavera, con l’arrivo di 2mila rappresentanti delle forze dell’ordine che per circa 4 mesi imposero posti di blocco e controlli diffusi, in particolare tra Brindisi e il Sud Barese, per riprendere il controllo del territorio. Il contrabbando di sigarette, effettuato con gli scafi blu che facevano la spola tra le coste montenegrine e albanesi con quelle pugliesi, fu debellato e anche la legislazione anticontrabbando fu resa più severa. 

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La risposta

Lo Stato ebbe bisogno di quelle due vittime per prendere atto, definitivamente, che era superata l’epoca del contrabbando di sigarette come fenomeno romantico e valvola di sfogo per garantire un reddito minimo a chi non aveva opportunità in un’area nella quale anche il lavoro offerto dal Petrolchimico si stava riducendo. In particolare nell’ultima decade degli anni Novanta, il contrabbando era diventato il core business della Sacra corona unita, la quarta mafia, con i boss che imponevano il pizzo ai contrabbandieri su ogni cassa di sigarette che veniva sbarcata sulle coste del sud e del centro della Puglia, da Brindisi a Monopoli. Si trattava di un traffico ben più redditizio di quello collegato ad armi, droga e clandestini, che comunque continuava a dare i suoi frutti nella zona costiera a Sud di Brindisi grazie al rapporto stretto dalla Scu con la mafia albanese. Un business che svanì a seguito dell’Operazione Primavera, decisa dal governo D’Alema e dal ministro dell’Interno Enzo Bianco (il cui padre era originario di Fasano).
Eppure già da molti anni era evidente l’incidenza sul territorio del contrabbando di sigarette estere come fenomeno criminale, con squadre di contrabbandieri che avevano collegamenti con la criminalità organizzata, e non di semplice evasione fiscale, cioè di sottrazione di risorse al Monopolio di Stato.

Il decreto

Nel 1991 il ministro delle Finanze Rino Formica aveva emesso un decreto che vietava la vendita sul territorio italiano delle sigarette estere prodotte dalla Philip Morris, sostenendo la scarsa collaborazione mostrata dalla multinazionale nel contrasto al contrabbando. Quel decreto durò pochi mesi e Formica ha sempre sostenuto la grande capacità di lobbyng della Philip Morris nei confronti del governo italiano e dei partiti. Una capacità di lobbyng di cui vi è traccia fino ad anni molto recenti. L’anno successivo il ministro tentò un’altra strada per contrastare il contrabbando: lanciò un appello ai contrabbandieri affinché consegnassero gli scafi blu in cambio di un lavoro garantito dallo Stato. Tra Puglia e Campania si stimava la presenza di almeno 25.000 unità che traevano reddito dal traffico di sigarette estere. Nella sola provincia di Brindisi, 5mila persone vivevano direttamente o indirettamente grazie al contrabbando. Tant’è che il capoluogo messapico veniva identificato come Marlboro City. Anche questa iniziativa, di difficile attuazione stante le pendenze giudiziarie ai vari livelli (fiscali e non solo) di tanti contrabbandieri, non ebbe successo. Mentre si rafforzava sempre di più il rapporto tra contrabbandieri e Sacra Corona Unita, con la quarta mafia che imponeva le tangenti (10.000 lire per ogni cassa di sigarette estere sbarcata in Puglia). Ogni cassa conteneva 100 stecche di sigarette e costava un milione di lire. Il valore complessivo del mercato delle sigarette estere sbarcate tra Bari e Brindisi ammontava a numerosi miliardi di lire ogni mese. Un business enorme, con interessi enormi, non solo per malavitosi e contrabbandieri. 

Durante una audizione della Commissione parlamentare antimafia guidata dal presidente Ottaviano Del Turco, svoltasi a Brindisi il 9 dicembre 1998, il sostituto procuratore della Dda di Lecce, Cataldo Motta, ricostruì l’origine della sottomissione del contrabbando di sigarette alla Sacra corona. Facendo riferimento al boss Salvatore Buccarella, originario di Tuturano, sostenne che “questo signore – signore si fa per dire- ha scoperto qualche tempo fa che si poteva imporre alle squadre contrabbandiere il pagamento di una tangente su ogni cassa di sigarette che veniva introdotta illegalmente sul territorio dello Stato e ha poi provveduto a gestire complessivamente con il metodo mafioso dell’intimidazione tutti i rapporti con le squadre contrabbandiere”.
Durante la stessa audizione, iI sostituto procuratore presso il Tribunale di Brindisi, Nicola Piacente, delineò un quadro molto preoccupante del contesto provinciale. Ricordò che “ in alcune intercettazioni del 1993, già approdate a giudizio, interlocutori affiliati alla Sacra corona unita, – poi condannati- discutono sulla opportunità di estendere anche alle organizzazioni napoletane l’obbligo di questo tributo di 10.000 lire per ogni cassa di sigarette sbarcata sul litorale”. Definì superata la lettura del traffico di sigarette come fenomeno romantico e come esso fosse stato sottovalutato sino a permettere alla criminalità organizzata “una gestione monopolistica del contrabbando che diventa l’attività cardine di una economia criminale che consente a migliaia di famiglie del Brindisino di poter sopravvivere”, mentre “l’organizzazione riesce a controllare vastissime fasce del territorio”, anche con infiltrazioni nel tessuto economico. A Brindisi era facile vedere banchetti sui quali si vendevano angurie e sigarette di contrabbando insieme.
Piacente sostenne anche che sin dal 1994 la procura aveva lanciato l’allarme per evidenziare che il collegamento tra contrabbando e Scu aveva provocato una diminuzione di omicidi, estorsioni e rapine (queste ultime spesso riconducibili a cani sciolti) ma ciò non significava che “ i mafiosi si erano trasformati in contrabbandieri, bensì esattamente il contrario”. Probabilmente non tutti i contrabbandieri erano diventati mafiosi, ma è vero che alcuni contrabbandieri (o almeno i capisquadra) si erano ben integrati nella Sacra corona unita. 
Le lunghe colonne di auto blindate cariche di sigarette che attraversavano la Puglia in direzione Campania (il mercato campano era ormai rifornito con sigarette sbarcate sulle coste di Brindisi e Bari, provenienti dalle basi del Montenegro dove avevano trovato riparo molti latitanti) avevano da tempo superato il livello di guardia. Ma in un contesto economicamente fragile in tanti avevano continuato a pensare al contrabbando come a quello raccontato in tanti film (il più famoso “Ieri, Oggi, Domani” con Sophia Loren) dove i banchetti con le stecche di sigarette a ogni angolo di strada facevano colore. Qualche colletto bianco aveva capito che le sigarette estere potevano portare ricchezza, puntando sui carichi ed entrando in affari con i contrabbandieri. Si finanziava lo sbarco, se andava a buon fine si otteneva il doppio della somma investita, se il carico veniva sequestrato si perdeva l’intera somma. I carichi che venivano sbarcati con successo sulle coste pugliesi, in arrivo dall’altra parte dell’Adriatico, erano di più di quelli sequestrati. E quindi i rischi erano calcolati.
Cambiò tutto con l’arrivo della Sacra corona e con l’utilizzo di mezzi blindati carichi di sigarette che spesso mettevano a rischio la vita di cittadini inermi (oltre De Falco e Sottile vi sono state altre vittime civile e militari). Quel 23 febbraio di 25 anni fa si capì, lo Stato capì che la situazione non era più tollerabile. Il contrabbando non era ormai una valvola di sfogo nell’ambito di una economia fragile e perennemente in crisi ma un fenomeno criminale sotto il controllo duro della Quarta mafia. E arrivò la risposta altrettanto dura. Senza se e senza ma da parte di tutte le forze politiche.





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