una nuova frontiera del gusto o un pericolo per l’identità territoriale ligure?  – Lavocedigenova.it

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Agricoltura

 


Assaporare e gustarsi il vino senza gli effetti negativi dell’alcol sembrerebbe possibile grazie ai ‘vini’ analcolici dealcolati, ovvero dei prodotti, delle bevande a base d’uva, con un contenuto di etanolo ridotto o addirittura pari a zero. Oggi, in Italia (e non solo), le tendenze di mercato nel settore indicano che i vini dealcolati, o meglio definibili come dealcolizzati, stanno attirando sempre più un’importante fetta di consumatori nel segmento. 

Entrando nel dettaglio e analizzando la questione, in Italia, affinché un prodotto possa essere identificato come ‘vino’, deve avere una gradazione alcolica di almeno il 9% (e non inferiore), salvo alcune eccezioni legate a specifiche denominazioni. Il vino dealcolato, secondo la Direttiva Europea 2021/2117, è definito come un “prodotto con un contenuto alcolico non superiore a 0,5% vol.”, mentre il ‘vino parzialmente dealcolizzato’ ha una gradazione alcolica compresa “tra 0,5% e 9%”. 

È proprio questa direttiva dell’UE a stabilire le regole e gli standard per la produzione e la commercializzazione dei ‘vini’ dealcolati all’interno dei paesi parte dell’Unione Europea. Secondo quanto affermato dal direttivo, queste norme sarebbero pensate per proteggere i consumatori, garantendo standard produttivi sicuri e trasparenti, con etichette chiare che informano gli acquirenti su cosa stanno comprando e consumando.

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A tal proposito, abbiamo affrontato la questione con il Direttore Coldiretti Genova e La Spezia, Paolo Campocci, che ci ha raccontato nel dettaglio quelle che sono le dinamiche, le perplessità ma anche i rischi di quello che potrebbe essere un consumo errato da parte del consumatore.

Stiamo osservando un momento in cui si sta strumentalizzando il discorso dell’alcol e noi stiamo lavorando a livello comunitario per respingere quelle che possono essere definiti come ‘follie ideologiche’ che arrivano dall’Europa – racconta Campocci -. Ad esempio, non è pensabile che si possano mettere sulle bottiglie di vino delle etichette che ne scoraggino il consumo, oltre ad immaginarsi eventuali tassazioni per un settore che per noi è assolutamente trainante. Quando diciamo che c’è la volontà di mettere delle etichette, noi vogliamo intendere che stiamo lavorando intensamente per evitare che ciò possa avvenire a livello comunitario. Devo dire, sul settore in generale, abbiamo ricevuto assicurazioni dal commissario europeo all’agricoltura Christophe Hansen“.

In Italia, soprattutto in Liguria, il settore è assolutamente trainante: Parliamo di duecentoquaranta mila viticoltori in tutta Italia – afferma il Direttore Coldiretti Genova e La Spezia –. In particolare nella nostra Regione, dove il settore del vino è uno di quelli che va assolutamente meglio. Abbiamo lavorato con il Vicepresidente e Assessore all’agricoltura Alessandro Piana e siamo riusciti a portare a casa una vittoria storica: grazie a noi sono state modificate le norme nazionali in riferimento al sistema di autorizzazioni per nuovi impianti, permettendo un aumento significativa della produzioni, che è passata da quindici a trenta ettari. Fortunatamente, il nostro settore sta viaggiando bene sia in termini di consumo interno territoriali e ciò significa che il consumatore sta sempre più apprezzando le nostre eccellenze territoriali, sia a livello di esportazione fuori dalla nostra Regione. Considerando ciò, i nostri produttori di vino fanno fatica ad arrivare a fine annata con del prodotto in cantina perché riescono a venderlo con margini buoni“.

Vino dealcolato: si può definire veramente vino? Campocci chiarisce subito: “A nostro giudizio, non si può chiamare vino ciò che vino non è – afferma -. Comprendiamo che ci sia una buona fetta di mercato che richiede prodotti a zero, o quasi, alcol, ma noi stiamo tenendo monitorata la situazione perché non vorremmo si generasse confusione con quello che è il nostro prodotto che si chiama vino. Come prevede una norma di legge, tutto quello che si può chiamare comunemente vino deve avere una gradazione alcolica di almeno il 9% e, di conseguenza, se la gradazione alcolica è inferiore, come nel caso di questa bevanda a base d’uva, non si può chiamare vino. Abbiamo impiegato una vita per far sì che le nostre produzioni venissero legati ai nostri territori, con tutto il discorso legato alle categorie DOP e IGP, e in qualche maniera sentir parlare di questi prodotti chiamati ‘vini dealcolati’, ci lascia perplessi perché potrebbe creare confusione nel consumatore. Fermo restando – aggiunge il Direttore – che tutto questo processo con cui viene dealcolato il vino, non rispecchia quella che è la produzione che noi abbiamo portato avanti per anni rispetto a basi naturali“. 

Campocci ritorna sul tema delle etichette: “A noi sembra assurdo che, per un falso rigore ideologico, si possa pensare di mettere delle etichette che scoraggino il consumo di vino quando noi sono anni che chiediamo un’etichettatura trasparente su tutti i prodotti agroalimentari che consentano di comprendere l’origine agroalimentare del prodotto. Ricordo la battaglia al Brennero, quando per capire i prodotti importanti sono stati aperti i camion che arrivano dall’estero e al loro interno erano presenti prodotti già etichettati con la bandiera italiana e che poi sarebbero dovuti ripartire all’estero con la nostra bandiera già pronta“. 

Ritornando, invece, sul tema ‘vino dealcolato’, analizzando quelle che potrebbero essere delle eventuali conseguenze negativa sulla nostra produzione, Paolo Campocci chiarisce: “Fare una previsione in questo momento non è possibile. Di certo, non è previsto farlo sulle DOP e IGP, per cui queste non saranno coinvolte dal processo. Quello che mi sento di dire è che bisognerà comprendere l’uso che se ne farà. Sicuramente, queste bevande non dovranno essere sponsorizzate ai giovani e, di conseguenza, sarà necessario fare una campagna al fine di garantire un consumo consapevole e responsabile. Onestamente, il rischio è che possano aumentare le quantità di consumo considerando la diminuzione del tasso alcolico di queste bevande, con il conseguente pericolo di avere gli stessi danni di un consumo smodato.  Tre bicchieri di questo equivarrebbero ad uno di un nostro vermentino dei Colli di Luni per quanto concerne la gradazione. Secondariamente, il dubbio è che togliendo l’alcol, sarà inevitabilmente necessario utilizzare altri componenti sia per la conservazione sia per l’eliminazione di eventuali rischi di contaminazione in queste bevande“.

In breve, a noi piacerebbe che questo prodotto non sia chiamato vino e che possa essere utilizzato un packaging differente – prosegue Campocci -. Il vino va rigorosamente in bottiglia e ha un processo di affinamento che continua all’interno della medesima: si seguono, in tal senso, tecniche che per millenni sono state impiegate e che consentono una maturazione all’interno della bottiglia del prodotto. Onestamente, noi pensiamo che probabilmente il gusto di questa bevanda non sarà lo stesso ma sicuramente non rispecchiano l’identità di un territorio“. 

Bevanda dealcolata tra leggi europee e le nuove modifiche del codice della strada: fra queste, potrebbe esserci una correlazione che comporterebbe un pericolo per il settore? Per Campocci, il rischio non ci sarebbe: “Come tutte le novità, anche queste hanno creato un minimo di attenzione e allarmismo – afferma -. A mio parere non sono queste che influenzeranno certamente il consumo di vino da parte dei consumatori perché basterebbe bere consapevolmente. Mettersi alla guida in stato di ebbrezza è sbagliato ora com’era sbagliato prima delle modifiche al codice. Non credo, quindi, sia un elemento che possa impattare sul consumo del nostro vino che, ripeto, va bevuto sempre consapevolmente con la convivialità che ne consegue del bere un buon bicchiere e che certamente contraddistingue il vino da tutte le altre bevande“.  

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“Tutto le bevande a base alcolica fanno male, quindi anche il vino fa male”: spesso in giro si sentono affermazioni di questo calibro, e a tal proposito Campocci chiarisce fin da subito come si tratti di “un’affermazione generalista“. “Stiamo lavorando proprio con l’Unione Europea per scongiurare allarmismi – afferma -. Ci sono studi che affermano come nella nostra dieta mediterranea, un buon bicchiere di vino, sempre senza esagerare, ha dei benefici indiscutibili sul nostro organismo. Se questo l’UE fa fatica a capire, noi ci faremo ascoltare e al fine di ciò, stiamo mettendo in campo tutte le azioni necessarie e possibili. Questo è davvero un settore trainante, un fiore all’occhiello per l’economia intera del paese: abbiamo una verità di vitigni che abbiamo faticosamente coltivano in tutti questi anni; parliamo di un patrimonio che ha un’esportazione fortissima, sperando sempre non subentrino dazi da parte di altri paesi ma anche su questo ci stiamo lavorando“. 

Paolo Campocci chiude il discorso citando il “paradosso del Nutri-score”, ovvero un sistema di etichettature dei prodotti alimentari sviluppato in Francia pensato per semplificare l’identificazione dei valori nutrizionali di un prodotto alimentare attraverso l’utilizzo di due scale correlate: una cromatica divisa in cinque gradazioni dal verde al rosso, ed una alfabetica comprendente le cinque lettere dalla A alla E: “Noi lo stiamo fortemente combattendo questo sistema – afferma Campocci -. Faccio un esempio: la coca-cola rientra nel verde, mentre l’olio extravergine d’oliva nella fascia rossa. Io dico: è ovvio che se mi bevo un litro d’olio, mi ricoverano in ospedale ma non per questo dev’essere considerato rosso, mentre invece la coca-cola è considerata verde; lo trovo paradossale“. 





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