Si chiude la quarta settimana positiva di file per il mercato Italiano. Settimana che ha visto l’indice dei titoli principali, FTSE MIB mettere a segno una performance dell’1.17% (+12.4% dall’inizio dell’anno). In flessione è invece risultato l’indice delle società Star, FTSE ITALIA STAR, che lascia sul campo l’1,09% (+3.4% dall’inizio dell’anno) e in modesta crescita l’indice delle micro caps, FTSE ITALIA GROWTH, cresciuto dello 0.56% (- 0.54% dall’inizio dell’anno. Dai primo due mesi dell’anno già si capisce la tendenziale disaffezione dei gestori verso le società a media e piccola capitalizzazione. Società che solitamente mettono a segno guadagni importanti con un forte calo previsto nei tassi di interesse ufficiali.
A livello di titoli troviamo in prima posizione Stmicroelectronics (+14.91%), dopo che gli analisti di Jefferies hanno alzato il rating a Buy (da Hold) e il target price a 34 euro (da 23) per azione, prevedendo un’accelerazione della crescita a partire dal secondo semestre dell’anno grazie alla normalizzazione, dopo la correzione, delle scorte e alla ripresa della domanda industriale. I driver strutturali includono Edge AI, i satelliti Leo, la fotonica al silicio e i microcontrollori per il settore automobilistico.
Medaglia d’argento per Leonardo (+11.79%), che in settimana ha toccato il suo massimo storico, dopo che la società ha reso noti i risultati preliminari del 2024 che sono stati più elevati rispetto alle attese degli analisti, a cominciare dal portafoglio ordini, cresciuto del 12.2% a 20.9 miliardi di euro, portando il portafoglio commesse ad oltre 44 miliardi di euro (pari a due anni e messo di produzione). In crescita dell’11.1% i ricavi a 17.8 miliardi di euro e del 12.9% l’Ebita a 1.52 miliardi di euro. Ottimo e in crescita il flusso di cassa: 826 miliardi di euro (+30.1% YoY) a conferma del trend positivo già evidenziatosi nel corso degli anni precedenti. In flessione a 1.79 miliardi di euro (da 2.32 miliardi) i debiti finanziari netti.
Terzo miglior titolo Campari (+6.3%), dopo la conferma della società di stare lavorando ad un piano che include una ristrutturazione organizzativa al fine di garantire un ritorno alla stabilità e sostenibilità finanziaria complessiva, anche se al momento ritiene difficile fornire un numero complessivo a livello globale. Secondo rumors, il nuovo CEO Hunt starebbe lavorando ad un piano per il taglio del 10% della forza lavoro (sui 5 mila dipendenti sparsi nelle sedi di tutto il mondo). Si tratterebbe di 500 posti di lavoro tagliati, di cui 100 in Italia.
Peggior titolo della settimana Recordati (-9.34%), dopo che l’azionista di maggioranza (Rossini Sarl), controllata dal fondo Cvc, ha venduto 10.5 milioni di azioni ordinarie (5% circa del capitale) a 55.7 euro per azione con uno sconto del 7% rispetto al prezzo di chiusura del 18 febbraio.
Secondo peggior titoli Interpump (-8.99%), sulla cui performance continua a pesare il calo dei dati del 2024 che hanno visto scendere del 7.2% a 2.08 miliardi di euro i ricavi e del 14.9% l’Ebitda a 456.6 milioni di euro. Amplifon (-6.24%) è il terzo peggior titolo della settimana. In assenza di notizie particolari il titolo si prende un po’ di fiato dopa la performance di circa il 16% dai minimi del 20 novembre scorso.
Settimana che ha visto il miglioramento del PMI manifatturiero di febbraio dell’Europa (47.3 punti contro 46.6 di gennaio) che continua tuttavia a stazionare al di sotto dei 50 punti che, come sappiamo, indicano recessione. Manifattura dunque che lentamente migliora ma che, oltre a necessitare di ulteriori conferme, ha sempre la spada di Damocle dei dazi che potrebbero pesare sulla crescita. Settimana che ha anche visto il raffreddamento del PMI servizi (50.7 punti contro 51.3 di gennaio) e probabilmente anche dell’inflazione correlata, che dovrebbe supportare la BCE nelle ulteriori flessioni dei tassi.
Situazione parzialmente diversa negli Stati Uniti, dove in febbraio la manifattura conferma la ripresa già evidenziata lo scorso mese: il PMI è infatti cresciuto a 51.6 punti da 51.2 di gennaio. Sotto 50 punti invece il PMI servizi (49.7 punti contro 52.9 di gennaio) che anche in questo caso riteniamo possa contribuire a raffreddare l’inflazione e supportare la Fed nel calo dei tassi.
In settimana lo Stato Italiano ha collocato con successo il nuovo BPT più, raccogliendo domande di sottoscrizione per 14.91 miliardi di euro. Il BTP più è il primo titolo di Stato studiato per i piccoli investitori con opzione put, che permette l’uscita con rimborso integrale del capitale dopo quattro anni e che offre infatti una cedola annua del 2,85% nel primo quadriennio, e del 3,7% nel secondo (se non si esercita la put).
Al di la della convenienza per il sottoscrittore, che effettivamente con questa struttura esiste, vogliamo prendere spunto dal collocamento per analizzare la sostenibilità del debito pubblico dei paesi occidentali e in particolare proprio dell’Italia, soprattutto dopo la pandemia e provare a tracciare alcuni possibili interventi la fine di ridurlo.
Negli ultimi anni, la crescita del debito pubblico dei paesi occidentali e in particolare di quello italiano ha sollevato preoccupazioni tra economisti, politici e cittadini. L’Italia, con un debito pubblico che supera i 3 trilioni di euro (137% del nostro PIL), si trova di fronte ad una situazione critica che richiede una riflessione approfondita. È fondamentale comprendere non solo le cause di questo aumento, ma anche le implicazioni per la sostenibilità economica del nostro Paese nei prossimi anni.
Analizziamo dunque il debito pubblico italiano nel contesto attuale, le tendenze storiche che hanno portato a questa situazione e quali potrebbero essere le prospettive future. La nostra analisi si concentrerà anche su come sia possibile gestire e ridurre il debito, garantendo nel contempo la crescita economica. Proveremo ad esplorare soluzioni pratiche e strategie che potremmo adottare per affrontare questa sfida, affinché l’Italia possa intraprendere un percorso di stabilità e sviluppo sostenibile.
Stato attuale del debito pubblico italiano
A novembre dello scorso anno il debito pubblico italiano era pari a poco più di 3 trilioni di euro, un dato allarmante che rappresenta oltre il 137% del nostro prodotto interno lordo (PIL). Questa cifra non solo colloca l’Italia tra i paesi con il debito pubblico più elevato dell’Unione Europea, ma solleva anche interrogativi cruciali sulla sostenibilità dello stesso e della nostra economia. L'aumento incessante del debito è attribuibile ad una combinazione di fattori, tra cui sicuramente un’economia stagnante e una spesa pubblica elevata, ma anche le ingenti risorse messe in campo e destinate a fronteggiare le conseguenze della pandemia di Covid-19.
Osservando la storia recente, possiamo notare come il debito pubblico italiano sia stato influenzato da eventi globali ed interni. Negli anni 2000, abbiamo sperimentato un certo grado di crescita economica, che ha offerto un cuscinetto contro l’aumento del debito. Tuttavia, la crisi finanziaria del 2008 ha spinto il governo ad un aumento significativo delle spese per stimolare l’economia, una strategia che ha avuto effetti a lungo termine. La pandemia ha ulteriormente esacerbato la situazione, costringendo il governo a prendere misure straordinarie che hanno comportato un incremento del rapporto debito/Pil.
Le tendenze recenti mostrano una leggera diminuzione del rapporto debito/Pil rispetto ai picchi raggiunti durante la pandemia. Tuttavia, non nascondiamo che il rapporto resta critico. Secondo l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE), la crescita del PIL italiano degli ultimi anni è rimasta debole, con una media di circa lo 0,5%. E le previsioni non sono incoraggianti. Secondo diversi analisti, la crescita dell’Italia rimarrà contenuta soprattutto a causa di sfide strutturali e demografiche, unitamente a un recupero post-pandemia lento e faticoso e, non da ultimo, ai dazi della nuova amministrazione americana.
Il tema centrale nel dibattito economico italiano riguarda la sostenibilità del debito pubblico. Essa dipende dalla nostra capacità di generare crescita, dalla gestione della spesa pubblica e dalle condizioni economiche esterne. Sappiamo che la BCE è attesa ridurre i tassi di almeno 100 bps nel 2025, ma non sappiamo che cosa possa accadere negli anni successivi. In un contesto di tassi d'interesse in aumento per esempio, il costo per il servizio del debito potrebbe aumentare, mettendo ulteriore pressione sui bilanci pubblici. È fondamentale, quindi, che ci concentriamo su politiche fiscali e strategie di crescita in grado di affrontare questi problemi.
Per affrontare l’attuale stato del debito pubblico, è necessario adottare un approccio integrato. Occorre bilanciare la disciplina fiscale con misure che promuovano la crescita economica. Questo significa non soltanto rivedere le spese, ma anche implementare riforme fiscali intelligenti che possano migliorare la nostra capacità di raccolta e, di conseguenza, il nostro margine di manovra economico. Solo attraverso un impegno collettivo e una visione a lungo termine saremo in grado di garantire un futuro economico più sostenibile per l’Italia.
Ed è proprio la sostenibilità del debito la questione cruciale che merita la massima attenzione. Attualmente, con un debito che supera il 137% del Pil, siamo di fronte a sfide significative. Un debito elevato limita di fatto la capacità del governo di investire in settori chiave per la crescita economica, come l’istruzione e le infrastrutture. Senza un adeguato sviluppo economico, il nostro Paese rischia di trovarsi intrappolato in un ciclo di stagnazione, dove il debito continua a crescere alimentato dal deficit (in gran parte dovuto alla spesa per interessi), mentre il Pil rimane stagnante.
In questo contesto, diventa quindi fondamentale analizzare le prospettive di crescita economica.
Attualmente, l’Italia presenta una crescita del PIL mediocre, stimata intorno allo 0.5% – 0.7% nel 2025 e rimanere intorno all’1% nel 2026. Quindi non solo al disotto del potenziale dell’Italia, compreso tra l’1.5% e il 2%, ma anche al disotto dei tassi pagati sul debito stesso. Questa stagnazione è alimentata da fattori strutturali, come un mercato del lavoro rigido e una demografia sfavorevole. Se non riusciamo a promuovere una crescita sostenuta, sarà difficile gestire il nostro debito in modo efficace. È dunque vitale che ci impegniamo a stimolare l’economia, poiché una crescita robusta aumenterebbe le entrate fiscali e renderebbe più gestibili i costi del debito.
Già, le entrate fiscali. La politica fiscale rappresenta un altro elemento chiave nella sostenibilità del debito.
Le inefficienze nella raccolta delle tasse e la spesa pubblica elevata devono essere affrontate con urgenza.
Riforme fiscali mirate, che comprendano un miglioramento dell’efficienza nella raccolta delle imposte e un’ottimizzazione della spesa pubblica, sono essenziali e non più rinviabili. Tuttavia, dobbiamo essere consapevoli delle sfide politiche associate a tali riforme. Chi voterebbe mai un partito che alza le tasse? È cruciale sviluppare un consenso politico che permetta di attuare misure necessarie senza compromettere la stabilità sociale.
Infine, le condizioni economiche esterne possono influenzare significativamente la sostenibilità del nostro debito. Le politiche monetarie della Banca Centrale Europea e le dinamiche del mercato globale sono fattori determinanti. Come dicevamo, un aumento dei tassi di interesse che si verificasse nel lungo periodo farebbe infatti crescere i costi di servizio del debito, aggravando ulteriormente la nostra situazione finanziaria. È fondamentale monitorare queste condizioni e adottare strategie flessibili per affrontare le sfide future. Solo con una visione chiara e un impegno condiviso possiamo garantire che il nostro debito rimanga sostenibile e che l’Italia possa guardare al futuro con speranza e determinazione.
Politica fiscale
Parliamo di politica fiscale. La politica fiscale italiana ha storicamente rappresentato un punto cruciale nella gestione del debito pubblico. Con un sistema caratterizzato da elevate spese pubbliche e una raccolta fiscale spesso inefficace, ci troviamo di fronte ad un compito arduo per migliorare la sostenibilità del nostro debito. È essenziale quindi implementare riforme fiscali che non solo aumentino le entrate, ma che siano anche accettabili per i cittadini e i vari settori economici. È qui che la nostra attenzione deve concentrarsi: rendere il sistema fiscale più equo ed efficiente.
Va da se che uno degli aspetti fondamentali da considerare è la necessità di una riforma tributaria. Dobbiamo semplificare il codice fiscale e migliorarne la conformità, eliminando le scappatoie fiscali che riducono le entrate. Riuscire ad ampliare la base imponibile ed a garantire che tutti contribuiscano in modo equo è un passo fondamentale per rafforzare le finanze pubbliche. Inoltre, potremmo considerare l’introduzione di tasse verdi, che non solo genererebbero nuove entrate, ma promuoverebbero anche uno sviluppo sostenibile, incoraggiando comportamenti ecologicamente responsabili.
In parallelo, è imperativo affrontare il tema delle spese pubbliche. La nostra spesa ha spesso superato la reale capacità di generare entrate, creando un circolo vizioso difficile da rompere. Dobbiamo esaminare attentamente le inefficienze burocratiche e le sovrapposizioni nei servizi pubblici. Implementando riforme basate sulle prestazioni, possiamo ottimizzare le risorse disponibili, assicurando che ogni euro speso contribuisca realmente al benessere della nostra società. Questo processo richiederà un impegno collettivo, ma il potenziale risparmio e l’efficienza guadagnata possono essere significativi.
Soluzioni potenziali per la riduzione del debito pubblico
Non abbiamo ovviamente la soluzione finale. Magari fosse così facile. Vorremmo tuttavia tracciare il solco entro il quale crediamo debba essere affrontato il problema. Iniziamo con il dire che affrontare la questione del debito pubblico italiano richiede un approccio articolato che bilanci la disciplina fiscale con misure di crescita economica. La fiscalità riveste infatti un ruolo cruciale. Possiamo implementare una strategia di consolidamento fiscale che non solo aumenti le entrate allargando la base imponibile, ma nel contempo riduca anche le spese. La riforma fiscale è un passo fondamentale: semplificare il sistema fiscale e migliorare la raccolta può generare maggiori entrate senza necessariamente aumentare le aliquote.
Un’altra area da considerare è la ristrutturazione della spesa pubblica. Possiamo ottimizzare le operazioni del settore pubblico, riducendo le inefficienze burocratiche. L’introduzione di un bilancio basato sui risultati potrebbe essere una via per garantire che ogni euro speso generi un reale valore aggiunto.
Stimolare la crescita economica è un altro aspetto essenziale per ridurre il debito in rapporto al PIL.
Investire in infrastrutture è fondamentale. Attraverso un aumento degli investimenti pubblici in opere infrastrutturali, possiamo non solo creare occupazione, ma anche potenziare la produttività. Utilizzare i fondi di recupero dell’Unione Europea per finanziare questi progetti sarà cruciale per accelerare il rilancio economico del Paese. Inoltre, incentivare la ricerca e l’innovazione attraverso sovvenzioni mirate e agevolazioni fiscali potrebbe rendere l’economia italiana più dinamica e competitiva.
Last but not least, è importante sviluppare una strategia di gestione del debito a lungo termine che vada al di là del patto di stabilità e crescita dell’Europa che, sia pure rinnovato, è stato scritto per un’economia ormai obsoleta. Questo potrebbe includere la ristrutturazione del debito esistente per ridurre l’impatto dei tassi d’interesse che nel futuro potrebbero aumentare nuovamente. Collaborare con il settore privato attraverso partnership con il pubblico può essere una strategia efficace per finanziare infrastrutture e servizi pubblici, alleviando così il peso immediato sulle finanze pubbliche. Con una pianificazione attenta e un’azione concertata, possiamo intraprendere un percorso verso una gestione più sostenibile del nostro debito pubblico, garantendo un futuro economico solido e resiliente per l’italia.
Antonio Tognoli
Ho iniziato a lavorare come analista finanziario nel 1983, occupandomi di economia e politica economica e nel frattempo mi sono laureato in scienze bancarie, finanziarie e assicurative. Oggi mi occupo di analisi macroeconomica all’interno di Corporate Family Office – CFO SIM. Giornalista pubblicista, docente ai corsi post laurea de “24Ore Business School” e dell’Associazione Italiana per l’Analisi Finanziaria – AIAF e co-autore del libro Analisi Finanziaria e Valutazione Aziendale, a cura di Franco Pedriali.
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