la lunga battaglia dei lavoratori esposti nelle centrali Enel

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L’OPERAIO DI UNA CENTRALE ENEL DI LIVORNO È MORTO PER MESOTELIOMA DOPO ANNI DI ESPOSIZIONE ALL’AMIANTO SENZA PROTEZIONI. LA GIUSTIZIA HA RICONOSCIUTO LA RESPONSABILITÀ DELL’AZIENDA MA IL CASO EVIDENZIA LE DIFFICOLTÀ DEI FAMILIARI NELL’OTTENERE RISARCIMENTI DOPO LUNGHE BATTAGLIE LEGALI

«La giustizia ha confermato il diritto delle vittime dell’amianto e dei loro familiari a ottenere un equo risarcimento. Enel ha continuato a negare l’evidenza, ma i giudici hanno sancito con chiarezza la sua responsabilità. Questa sentenza rappresenta un’importante vittoria non solo per la famiglia della vittima, ma per tutti i lavoratori che hanno subito l’esposizione a questa fibra killer». Così l’avv. Ezio Bonanni, presidente dell’Osservatorio Nazionale Amianto, alla lettura della sentenza che condanna ENEL.

Un operaio della provincia di Lucca è morto nel 2016 a 77 anni a causa di un mesotelioma, dopo aver lavorato per vent’anni come manutentore elettrico nelle centrali Enel, dove si è occupato della manutenzione delle turbine rivestite con amianto.

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Tranne un primo anno di lavoro alla centrale Enel di Cortino, vicino Castelnuovo di Garfagnana,, dal 1966 al 1992 ha operato nel reparto elettrico della centrale del Marzocco, nei pressi del porto industriale di Livorno, la centrale, progettata negli anni ’60 da Riccardo Morandi, è stata poi chiusa nel 2015.  Durante le sue attività, è stato esposto quotidianamente a sostanze tossiche senza protezioni adeguate. 

I testimoni ascoltati in tribunale hanno descritto un ambiente di lavoro privo di sistemi di aerazione e di dispositivi di sicurezza. Hanno dichiarato che il materiale si sgretolava facilmente e che nessuno indossava mascherine, confermando l’esposizione costante dell’operaio alle polveri di asbesto senza alcuna tutela. 

Una lunga storia di esposizioni, omissioni e negazioni

«Purtroppo, ci troviamo di fronte a una lunga storia di esposizioni, omissioni e negazioni – continua Bonanni -. Ma questa sentenza dimostra che le battaglie per la giustizia possono essere vinte e che nessuna grande azienda può sottrarsi alle proprie responsabilità di fronte alla legge».

Il procedimento giudiziario si è aperto con la condanna di Enel in primo grado per la morte del lavoratore. Il tribunale ha riconosciuto la piena responsabilità dell’azienda per la mancata adozione di misure di sicurezza, disponendo un risarcimento superiore al milione di euro per i familiari della vittima. 

Enel ha impugnato la sentenza, negando l’esposizione dell’operaio alla fibra killer e contestando il legame tra il tumore e l’ambiente di lavoro. Ha inoltre respinto ogni accusa di violazione delle normative sulla sicurezza, tentando di sottrarsi alle proprie responsabilità. 

Giustizia: rischio amianto, noto e prevedibile

Ma, infine, la Corte d’Appello di Firenze ha rigettato la difesa dell’azienda, confermando la condanna di primo grado. I giudici hanno ribadito che l’assenza di protezioni adeguate ha favorito lo sviluppo del tumore e che il rischio amianto, noto e prevedibile, avrebbe dovuto essere prevenuto dal datore di lavoro.  Dopo nove anni, i giudici hanno riconosciuto ai familiari un risarcimento di circa 1milione e 200mila euro.

«Ancora una volta, Enel è stata condannata per le morti da amianto – conclude il presidente dell’ONA -. Non comprendo perché si ostini a non risarcire spontaneamente le vittime. L’ONA andrà avanti per ottenere giustizia».

Sul piano economico, la Corte ha parzialmente modificato il risarcimento: ha ridotto il danno patrimoniale per la vedova, ma ha aumentato significativamente il danno non patrimoniale per i familiari della vittima. L’importo complessivo resta superiore al milione di euro, in linea con la decisione iniziale. 

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Affrontare anni di battaglie legali

Il caso dell’operaio lucchese non è isolato. Il VII Rapporto ReNaM (Registro Nazionale Mesoteliomi) evidenzia che il settore della produzione e distribuzione di energia elettrica è tra i più colpiti dall’esposizione all’amianto, con 367 casi censiti e un’incidenza dell’1,7%.

La vicenda dimostra quanto sia lungo e complesso il percorso per ottenere giustizia: nonostante il diritto al risarcimento sia riconosciuto, i familiari delle vittime devono affrontare anni di battaglie legali per ottenere ciò che spetta loro. 



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