Innovazione IA con “caratteristiche cinesi”? 

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La notizia che una azienda cinese, DeepSeek, abbia prodotto un avanzamento tecnologico sorprendente nel campo dell’intelligenza artificiale (IA) ha causato il crollo alla borsa americana delle maggiori aziende tecnologiche, ma l’idea che Pechino possa mettere in discussione il primato tecnologico dell’occidente non è più una sorpresa per nessuno da tempo, grazie soprattutto al piano Made in China 2025 (MIC 2025) del 2015, che generò un forte allarme internazionale, tanto da essere l’oggetto principale della Trade War del 2018 della prima amministrazione Trump. 

La competizione tra Stati Uniti e Cina, oggi, è essenzialmente un confronto sulla tecnologia affrontato da giocatori allo stesso livello. Tuttavia, solo una decina di anni fa la situazione era completamente differente, tanto che un articolo dell’Harvard Business Review del 2014, molto riproposto con toni critici nel dibattito attuale, si intitolava “Why China can’t innovate”. Il punto era che in un sistema non democratico l’innovazione non avesse modo di esprimersi e che gli avanzamenti tecnologici fossero solo il risultato dell’ottimizzazione su grande scala – da parte di aziende finanziate se non controllate direttamente dallo Stato – di processi sviluppati all’estero, in sistemi aperti. 

La vicenda di DeepSeek, privata e fuori dai circuiti ufficiali, dimostra come il modello dell’innovazione in Cina sia più vario di quanto ci si potesse aspettare e, allo stesso tempo, pone interrogativi sul futuro dell’azienda. 

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La passione cinese per l’IA 

Nel 2017, la Cina fu scossa da un evento inaspettato e dirompente: AlphaGo, un software di IA sviluppato da Google, sconfisse il giovane prodigio Ke Jie nell’antico gioco del Go. Per molti, quella partita segnò il “momento Sputnik” cinese, un campanello d’allarme che spinse Pechino a lanciare un ambizioso piano per colmare il divario con gli Stati Uniti nel campo dell’IA.

Otto anni dopo, però, il vento sembra essere cambiato. Il rilascio, a fine gennaio, di DeepSeek-R1 – considerato da tutti come il diretto competitor di OpenAI – ha sconvolto il mondo tech a stelle e strisce, minando le fondamenta stesse della politica di contenimento avviata da Washington nel 2022. La start-up cinese, salita alla ribalta dal giorno alla notte, ha rivoluzionato il settore con un modello d’IA in grado di simulare il ragionamento umano e di affrontare con successo scenari complessi. Il tutto con un investimento inferiori ai 6 milioni di dollari (e l’utilizzo di microchip meno avanzati), una cifra irrisoria se si considera la qualità e velocità dei processi di calcolo e, secondo quanto dichiarato dall’azienda, un inferiore dispendio energetico.

Tuttavia, se da un lato DeepSeek sembra confermare l’idea della Cina quale Paese di riferimento per il futuro dell’intelligenza artificiale, dall’altro è prematuro affermare che il suo successo possa convalidare il sistema dell’innovazione cinese nel suo complesso. Ciò è dovuto al fatto che la startup ha adottato un approccio non propriamente “cinese”abbracciando una cultura cosiddetta “open-source”, portando molti a chiedersi per quanto tempo sarà in grado di mantenersi immune dalle dinamiche di potere e dal controllo dello Stato.

Il piano cinese per diventare “potenza mondiale” nell’IA

Nel 2017, il governo centrale cinese presentò il “Piano di sviluppo dell’intelligenza artificiale di nuova generazione”, un’ambiziosa strategia volta a potenziare le capacità dell’industria nazionale dell’IA, il cui valore si aggirava sui 150 miliardi di dollari. Questo piano stabiliva chiari obiettivi come, ad esempio, raggiungere gli Stati Uniti in termini di tecnologia e applicazioni dell’IA entro il 2020 e conseguire traguardi significativi in settori chiave (medicina, industria manifatturiera, difesa nazionale) entro il 2025. Questo piano “a tre fasi” richiedeva un aumento dei finanziamenti, del supporto politico e del coordinamento nazionale nello sviluppo e innovazione tecnologica. 

Secondo le previsioni dei funzionari cinesi, entro il 2030 il Paese sarebbe diventato il centro globale per l’innovazione dell’IA, anche grazie a finanziamenti ad hoc per aziende e ricercatori impegnati nel settore. A partire dal 2017, infatti, i venture capitalist cinesi – ovvero coloro che solitamente forniscono capitale a società dall’elevato potenziale – iniziarono a investire cifre record in startup specializzate nell’IA, fino a raggiungere il 48% di tutti i finanziamenti nel settore a livello mondiale, superando per la prima volta il mercato americano.

Di fatto, l’intelligenza artificiale è parte della politica nazionale cinese da diversi anni ormai. Nel 2015, Pechino ha presentato il già citato piano decennale denominato “Made in China 2025”, articolato in 10 settori chiave – dalla robotica, ai veicoli elettrici, all’industria aerospaziale – con l’obiettivo di trasformare il Paese in un centro di produzione di beni high-tech nell’arco di qualche decennio. Tra le aree di interesse vi rientra l’IA, considerata dal leader cinese Xi Jinping come un’importante pietra miliare per lo sviluppo economico del Paese. Con il MIC 2025, il governo cinese mira, di fatto, ad affermarsi come “potenza mondiale” del settore.  

Negli ultimi anni, la Cina si è distinta per il numero di brevetti relativi all’intelligenza artificiale generativa (GenAI). Secondo l’Organizzazione mondiale della proprietà intellettuale (OMPI), tra il 2014 e il 2023 la Cina ha depositato più di 38.000 brevetti in questo ambito. Un numero sei volte superiore a quello degli Stati Uniti nello stesso periodo. Questi brevetti coprono un’ampia gamma di settori, che vanno dalla guida autonoma all’editoria. Inoltre, il Paese è il principale promotore della ricerca scientifica in questo campo, come emerge dai dati della Georgetown University. I risultati della ricerca evidenziano importanti distinzioni nella corsa globale all’IA: i primi cinque ricercatori di IA provengono da istituzioni cinesi, principalmente guidate dall’Accademia cinese delle scienze.

DeepSeek: da outsider a “gigante silenzioso” 

In questo contesto, il successo di DeepSeek è esemplare perché non può essere ricondotto al modello d’innovazione digitale del Paese, in quanto è dovuto principalmente al suo particolare approccio. Fondata nel luglio 2023 da Liang Wenfeng, ex studente dell’Università dello Zhejiang, la startup opera in modo del tutto indipendente, senza ricevere alcun sostegno statale o da parte di aziende terze. Questo approccio consente a DeepSeek di mantenere un livello di autonomia raramente riscontrabile nel settore tecnologico cinese.

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Infatti, anche per quanto riguarda il suo programma di finanziamento, DeepSeek si distingue come un’eccezione nel panorama delle aziende locali che operano nel settore dell’intelligenza artificiale. Un esempio emblematico dell’ecosistema digitale cinese è Zhipu – il più vecchio unicorno cinese e leader nel settore locale dell’IA – che gode del sostegno statale e ha ricevuto investimenti significativi dai colossi tech locali, come Tencent e Alibaba, entrambi riconosciuti dal Consiglio di Stato cinese come rappresentanti di spicco del “team nazionale per l’IA”. DeepSeek, al contrario, si discosta completamente dalla media, non essendo legata né a istituzioni statali né alle grandi aziende del settore. Sostenuta da High-Flyer, un hedge fund cinese di tipo quantitativo co-fondato da Liang nel 2015, la startup riceve i finanziamenti per la ricerca interamente dal budget R&S della società madre.

L’approccio di DeepSeek in materia di politiche del lavoro rappresenta un cambiamento significativo rispetto alle norme consolidate nel settore tecnologico cinese. L’industria è infatti caratterizzata dal cosiddetto regime di lavoro “996” – che prevede un orario lavorativo dalle 9:00 alle 21:00 per sei giorni alla settimana – emerso a metà degli anni Duemila con l’avvento dell’economia digitale e poi consolidatosi durante il successivo clima di forte competizione. Al contrario, la startup ha adottato un modello aziendale innovativo, caratterizzato da una struttura di gestione orizzontale che mira a creare un clima di collaborazione simile a quello degli ambienti accademici e offre ai giovani professionisti maggiore autonomia. Anziché puntare sulla massima produttività di un personale sovraccarico di lavoro – pratica comune tra le big tech cinesi – DeepSeek privilegia l’importanza di valorizzare le capacità creative dei propri dipendenti, ritenendole una componente cruciale ai fini dell’innovazione.

In termini di reclutamento, DeepSeek ha dato grande priorità ai titoli di studio e alle performance in ambito agonistico, puntando su candidati “giovani e ad alto potenziale” provenienti da prestigiose università cinesi, spesso senza esperienza lavorativa pregressa. Questa strategia di assunzione si differenzia da quella dei competitor nel settore dell’IA, che mirano ad attirare ricercatori affermati con una lunga carriera alle spalle, specialmente negli Stati Uniti.

Attraverso l’adozione di questo approccio distintivo, DeepSeek è riuscita a rimanere ai margini della scena, tracciando il proprio percorso senza essere vincolata dalle norme istituzionali e dalle strutture rigide che di solito caratterizzano le aziende sottoposte alla supervisione governativa.

Sotto i riflettori: l’innovazione al banco di prova

Dopo essere passata in sordina sulla scena nazionale, ora i vertici politici di Pechino hanno preso ufficialmente atto degli straordinari risultati ottenuti da DeepSeek. Il 20 gennaio, Liang Wenfeng ha preso parte al simposio annuale organizzato dal premier Li Qiang, insieme a dieci tra i più importanti uomini d’affari ed esperti del Paese, selezionati dal governo centrale per il loro eccezionale lavoro. Più di recente, il 17 febbraio, Liang è stato incluso in un gruppo ristretto di dirigenti di grandi aziende elettroniche – tra cui Jack Ma di Alibaba – che hanno incontrato Xi Jinping in un colloquio privato, a dimostrazione del rinnovato sostegno statale per il settore privato. 

La partecipazione di Liang a incontri ufficiali, spesso a porte chiuse, è un riconoscimento politico del ruolo di rilievo che la startup riveste nel settore cinese dell’intelligenza artificiale. Tuttavia, se da un lato il sostegno del governo potrebbe portare benefici significativi, dall’altro tale attenzione potrebbe rivelarsi un’“arma a doppio taglio”. Da una parte, può facilitare l’accesso a investimenti privati e statali, nonché ad appalti pubblici. Dall’altro lato, però, essere etichettati come “campioni nazionali” può comportare un aumento dei controlli e delle pressioni, in particolare per un’azienda come DeepSeek che opera in modo poco convenzionale.

Il governo cinese potrebbe avviare un’indagine sulle attività finanziarie di High-Flyer, la società madre di DeepSeek. Inoltre, l’AD potrebbe essere sottoposto a un maggiore controllo, con interrogativi sul suo passato. Inoltre, la sua struttura innovativa e orientata alla ricerca potrebbe essere messa a repentaglio. Il governo potrebbe insistere affinché questa segua indirizzi specifici in linea con le priorità del Partito, attirando così l’attenzione e le sanzioni internazionali e sollevando timori per la sicurezza dei dati degli utenti, analogamente a quanto accaduto di recente in Italia e in Corea del Sud, dove l’app è stata rimossa dagli app store locali. La stessa autonomia di DeepSeek potrebbe essere a rischio, in quanto il governo potrebbe richiedere delle “golden shares”, ovvero quote di minoranza che conferiscono il diritto di voto, costringendo la startup a conformare la propria pianificazione interna alle direttive statali. 

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Infine, permangono notevoli interrogativi sulla valutazione che lo Stato riserva all’approccio principale dell’azienda, ovvero il sistema “open source”, che consente di utilizzare una tecnologia per vari scopi senza necessità di autorizzazioni. Sebbene in passato Pechino abbia sostenuto tali iniziative, questa posizione potrebbe cambiare qualora DeepSeek continuasse a registrare progressi di gran lunga superiori alla media mondiale. Al momento, il governo cinese sembra riconoscerne i vantaggi, ma i potenziali svantaggi – come l’assenza di vincoli d’utilizzo – potrebbero incidere sulla sua valutazione positiva. Poiché l’attuale normativa cinese sulla GenAI non fornisce indicazioni chiare in materia di “open source”, è probabile che gli enti di regolamentazione cerchino presto di coniugare la necessità di sorveglianza con la spinta all’innovazione, mettendo così DeepSeek in una posizione di forte vulnerabilità.

DeepSeek “genera” molte domande

L’ascesa globale di DeepSeek è dirompente per molteplici ragioni e pone diversi interrogativi sia sul piano interno che su quello internazionale

A livello nazionale, sebbene il lancio del software R1 abbia permesso a Pechino di prendersi la scena in un ecosistema dominato dai grandi campioni privati statunitensi, mette in discussione il modello d’innovazione cinese per essere avvenuto al di fuori del perimetro convenzionale. Infatti, è da almeno il 2020, quando venne messa in atto una campagna contro le grandi aziende tecnologiche, il cosiddetto “Crackdown”, a partire da Alibaba, che Xi Jinping discute il ruolo dei colossi del digitale. In sintesi, l’idea è che questi gruppi siano cresciuti in un ambiente protetto, grazie al sostegno del governo e per questo debbano allinearsi agli interessi nazionali. Così facendo, però, la vivacità del settore privato cinese si è inaridita e sempre lo stesso Xi si è trovato a discutere pubblicamente della crisi degli Unicorni cinesi. Potrà il successo di DeepSeek spingere Pechino a “liberare” gli spiriti imprenditoriali per favorire la nascita di nuovi campioni tecnologici o verrà mantenuto un controllo rigido con l’idea che comunque un sistema che ha permesso DeepSeek è sufficiente per altre aziende di rottura? I recenti incontri tra governo e aziende private non hanno ancora dato una risposta definitiva.  

Di contro, la politica statunitense degli ultimi anni si è articolata attorno al concetto di economic security, che prevede, tra le altre cose, la limitazione dell’export verso la Cina di tecnologia avanzata proprio per impedire che raggiungesse risultati significativi in settori chiave come l’AI. DeepSeek, però, ha dimostrato che è possibile fare di più anche con meno ed è questa la ragione che ha portato al crollo della borsa di New York.  

Al di là del valore in sé, dunque, l’exploit della azienda cinese è dirompente perché mette in crisi l’impostazione dirigista del sistema dell’innovazione cinese e quello della guerra tecnologica attraverso limitazioni all’export degli Stati Uniti.  



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