FOOD DESIGN A NAPOLI- IL CIBO COME STRATEGIA SOCIALE PER UNIRE CULTURE E COMUNITA’ – In Veritas

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Il Dipartimento di Architettura della Federico II presenta i prototipi progettati insieme a ActionAid e le comunità migranti di Napoli

Il Pozol e il tacos del Messico, l’insalata russa, il Watalappan e il kiribath, pietanze tipiche dello Sri Lanka, i Dolma iracheni, il Chicken Biryani pakistano insieme al tè speziato masala chai, il Coco del Benin. Sono solo alcuni dei piatti e bevande dal forte valore simbolico che hanno una nuova vita grazie alle idee creative di Food Design di un centinaio di studenti e studentesse dell’Università Federico II di Napoli. Un processo che ha portato dalla scoperta dei cibi e del loro valore culturale e sociale, al confronto con leader delle comunità dei paesi delle ricette, fino alla realizzazioni di prototipi di utensili, postazioni, packging per lo street food da lanciare sul mercato come veri e propri “designer per la comunità”, progettisti del domani. E’ questa l’esperienza innovativa nata dalla collaborazione di ActionAid con l’Università degli Studi di Napoli Federico II per il corso di studi CO-DE, cioè Codesign dell’interazione del Dipartimento di Architettura, Corso di Laurea Triennale in Design per la Comunità (Co.De. Community Design).  

In diversi incontri in aula abbiamo condiviso con oltre 100 ragazze e ragazzi la nostra esperienza con le comunità migranti sviluppate da molti anni di pratiche e programmi di inclusione lavorativa e sociale come Sweet net, che forma e orienta donne e giovani migranti. Abbiamo portato un contributo di antropologia transculturale e abbiamo seguito gli studenti attraverso il coinvolgimento attivo dei leader di comunità (messicana, irachena, pakistana, beninese, bielorussa, irpina, srilankese). Attraverso il Food Design gli studenti hanno reinterpretato la cultura legata al cibo dei diversi paesi per produrre degli artefatti pensati per il largo pubblico: oggetti di design per trasformare la vinegret (insalata russa da noi) in cibo da street food, un contenitore per le spezie “take away”, contenitori da asporto ispirati dall’arte azteca, etc. Il Food Design come strategia sociale di incontro e condivisione, come strumento per ripensare il legame e le relazioni delle Comunità con Napoli e il suo territorio” racconta Michela Forgione, antropologa di comunità di ActionAid.

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La ricerca “Make eat meet. Design for togetherness” evidenzia come il Food Design, in una dimensione plurale e comunitaria, si riveli essere uno strumento speculativo capace di mettere a sistema discipline diverse, far dialogare attori esperti ed attori non esperti e lavorare, in maniera simultanea, su diversi ambiti d’applicazione (prodotti, servizi, sistemi, strategie, azioni sociali, eventi, comunicazione). In tal senso, quindi, rappresenta un chiaro attivatore sociale, un connettore interculturale ed un driver d’innovazione capace di “intrecciare” tipologie, iniziative, narrazioni, bisogni, materiali, processi produttivi, metodi e rituali d’uso. Ne deriva un percorso di ricerca e d’azione che fonde molteplici aspetti, restituendo risultati ispirati alle dimensioni locali e tradizionali ma che, contemporaneamente propongono impatti su scale più ampie e decontestualizzate. In antitesi rispetto alle condizioni di crisi sistemica che oggi caratterizzano le filiere agroalimentari globali, si propone un modello alternativo in cui equità, umanità, sostenibilità, creatività, flessibilità e capacità di auto-organizzazione possano essere considerati come nuovi fattori determinanti. 

Nel Laboratorio realizzato a Napoli sono state portate le esperienze dei leader di comunità straniere sviluppate grazie al Progetto “Sweet Net” di ActionAid, sostenuto dalla Fondazione CDP, che mira a costruire comunità inclusive e sistemi di welfare locale rispondenti ai bisogni delle persone con background migratorio, in particolare per l’inclusione lavorativa e di integrazione sociale di donne e giovani migranti. Il programma ha coinvolto Campania, Puglia e Calabria e ha formato 13 Leader di comunità sulle pratiche di socializzazione tra comunità di approdo e comunità migrante. Sono state 352 le donne e i giovani con background migratorio che hanno ricevuto orientamento, ascolto e informazioni essenziali per accedere ai loro diritti (salute, istruzione, assistenza legale) tramite i servizi e le opportunità che il loro territorio offre. Con 4 Poli di ascolto attivo, gruppi di mutuo soccorso, piani individualizzati di formazione e inserimento socioeconomico sono oltre 50 le persone che hanno potuto completare con successo percorsi di inserimento lavorativo.  



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