Firma digitale e democrazia, un altro mattone è caduto

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La Corte costituzionale ha accolto il ricorso di Carlo Gentili, paralizzato dalla SLA, ampliando così il ricorso alla firma digitale in ambito pre-elettorale. Una sentenza importante per numerose ragioni

1. Dal corpo del malato al cuore della politica: è questa la traiettoria esemplare della sentenza costituzionale n. 3/2025 che amplia l’uso della firma digitale in ambito elettorale. Passata pressoché inosservata, merita invece attenzione per diverse ragioni.

2. La prima attiene al diritto individuale riconosciuto: quello dell’elettore disabile che, non in grado di apporre la firma autografa a sostegno di una lista di candidati per le elezioni, potrà ora farlo sottoscrivendo un documento informatico con firma elettronica qualificata (associata a un riferimento temporale validamente opponibile a terzi). Tale opzione, fino ad oggi, era preclusa dalle norme in vigore richiedenti un autografo su modulo cartaceo o, in alternativa, una dichiarazione verbale in presenza di due testimoni, davanti a un notaio o al segretario comunale o a un delegato dal sindaco: un anacronismo legislativo gravemente incostituzionale.

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Non si trattava soltanto di un’ingiustificata interdizione normativa al pieno esercizio dei diritti di elettorato (art. 48 Cost.) e di associazionismo politico (art. 49 Cost.). Trasformando «in inabile e bisognosa di assistenza una persona che, invece, sarebbe in grado, con propri mezzi, di provvedere a compiere una determinata attività», l’ordinamento giuridico finiva per comprometterne «la dignità umana» (art. 2 Cost.) e per «discriminare alcune categorie di persone» in violazione del principio di eguaglianza (art. 3 Cost.). Quanto alla prevista procedura alternativa, risalente a quando la firma digitale non era neppure concepibile, si presentava come inutilmente onerosa e costosa per l’elettore impossibilitato a muoversi, e lesiva della sua privacy. All’impedimento permanente della malattia si sommava così un aggravio normativo che rinnegava il compito della Repubblica, chiamata a rimuovere – non a elevare – gli ostacoli al pieno sviluppo della persona umana e alla sua partecipazione democratica.

Affiancato in giudizio dall’Associazione Luca Coscioni e dall’organizzazione politica Referendum e Democrazia (la cui lista elettorale intendeva sottoscrivere), si deve a Carlo Gentili, paralizzato dalla SLA, il ricorso ora accolto dalla Corte costituzionale: «La tecnologia può abbattere le barriere che la mia malattia ha posto tra me e la partecipazione democratica. Chiedo che venga garantito anche a me e a tanti altri il diritto di essere parte attiva nella vita politica del Paese». Ha avuto ragione lui, e tutti dobbiamo essergliene grati.

3. Qui si innesta il secondo motivo d’interesse per la sentenza. La Consulta sottolinea che «ormai da tempo l’ordinamento riconosce le potenzialità dell’utilizzo delle nuove tecnologie digitali anche nell’attività svolta dalle amministrazioni pubbliche». Ora pure in ambito politico-elettorale: mediante apposita piattaforma pubblica di raccolta delle firme digitali, è già possibile sottoscrivere iniziative legislative popolari (art. 71 Cost.), referendum abrogativi di leggi ordinarie (art. 75 Cost.) e confermativi di leggi costituzionali (art. 138 Cost.). In tutti questi casi, l’equivalenza tra sottoscrizione autografa e digitale è totale. Ora, ma solo per le categorie di disabili indicate nella sent. n. 3/2025, l’equivalenza opera anche nella fase pre-elettorale della presentazione di liste e dei relativi candidati. Spetterà al legislatore decidere tempi e modi per «un eventuale, generalizzato superamento» del divieto contenuto nel Codice dell’amministrazione digitale che, ancora, preclude il ricorso alla firma elettronica qualificata nelle attività relative alle consultazioni elettorali.

Sarebbe, questa, una prospettiva coerente con la ratio della decisione in esame che, «in un contesto caratterizzato dalla crescente disaffezione all’esercizio del diritto di voto», guarda con favore alla tecnologia digitale quale strumento per ampliare la partecipazione democratica. Come raccomandato in ambito europeo, ricorda la Consulta citando alcuni atti di indirizzo della Commissione UE. La strada è costituzionalmente segnata. L’evoluzione normativa attesta che la firma digitale permette il medesimo grado di consapevolezza di una firma autografa, mentre il supporto digitale offre le stesse garanzie di certezza circa l’identità del sottoscrittore. Perché, allora, non utilizzare l’attuale piattaforma pubblica anche per la raccolta delle sottoscrizioni digitali a sostegno di liste elettorali e delle relative candidature? Perché, almeno per talune categorie di elettori (disabili gravi, studenti e lavoratori fuori sede), non sperimentare l’esercizio del voto in forma elettronica?

4. Infine, la sent. n. 3/2025 ha il pregio di far capire che la firma digitale si risolve in una forma di partecipazione diretta, non di decisione immediata. Accresce, cioè, la possibilità di promuovere disegni di legge popolari, quesiti referendari, liste elettorali, candidature, ma non è in grado di determinarne il successo. Può mettere in moto un procedimento (legislativo, referendario, elettorale) che produrrà il risultato auspicato solo se regolarmente completato, dopo plurimi controlli, e a seguito di un voto finale (parlamentare o popolare).

Nessun automatismo, dunque: alla scelta individuale della sottoscrizione telematica dovrà necessariamente seguire l’azione politica tra le persone, dentro e fuori il Parlamento, in ogni dove, al fine di conquistare il voto (parlamentare, referendario, elettorale). Non è sufficiente che una minoranza rastrelli telematicamente un alto numero di firme: dovrà poi farsi maggioranza nelle urne (referendarie, elettorali) o nelle aule parlamentari (chiamate ad approvare il disegno di legge sottoscritto digitalmente). E per riuscirci, non basta un solitario click.

Quanto ai timori per una bulimia di iniziative digitali, calma e gesso. In passato, l’inflazione di quesiti referendari ha disincentivato la partecipazione alle urne, concorrendo al loro fallimento per mancato raggiungimento del quorum. Così come la moltiplicazione di iniziative legislative digitali ne agevolerebbe l’insabbiamento parlamentare. Non diversamente, una crescita esponenziale di liste elettorali, parcellizzando il consenso al momento del voto, ne allontanerebbe il successo.

5. Sono, dunque, ampiamente ingiustificati gli allarmismi per l’avvento di una spid-democracy che soppianterebbe la democrazia rappresentativa liberale.
Quando nel 2021, per la prima volta, si ricorse alle firme digitali a sostegno dei referendum per la legalizzazione della cannabis e dell’eutanasia (peraltro su piattaforma privata e a spese dei comitati promotori), si gridò alla deriva tecno-populista, denunciando una surrettizia riforma costituzionale a Costituzione invariata. Allarmismi simili si sono uditi anche durante la recente campagna referendaria sui temi del lavoro, dell’autonomia differenziata e della cittadinanza, largamente agevolata dall’operatività della piattaforma pubblica di raccolta delle sottoscrizioni digitali. Finalmente, la prosa ragionevole della sent. n. 3/2025 svela quanto di ideologico – cioè di cattiva coscienza – ci fosse nell’artificiale contrapposizione tra una biro riflessiva e un mouse impulsivo.

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La genesi della firma digitale è nella condanna dell’Italia in sede ONU per le «restrizioni irragionevoli» all’iniziativa popolare nei procedimenti referendario e legislativo. Da qui l’obbligo imposto al Governo per legge (n. 178 del 2020) di realizzare una piattaforma pubblica di raccolta delle sottoscrizioni digitali, divenuta operativa l’estate scorsa (d.P.C.M. 18 luglio 2024), in ritardo di oltre diciotto mesi rispetto alla scadenza legislativa. Ampliandone le funzionalità, tale piattaforma può rivelarsi una preziosa alleata nella lotta a un astensionismo che, progressivamente, si avvia a minare la legittimazione politica e costituzionale della rappresentanza parlamentare. Tocca al legislatore generalizzarne l’uso, mettendola al riparo da rischi e abusi potenziali. Sapendo però che la firma digitale è parte della soluzione del problema, non il problema da risolvere.



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