un libro da custodire e da studiare

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S’adagia, il Signor Camillo, il nostro amico lettore del venerdì, sul cuscino della storia: e lì, comodamente appollaiato, sgranocchia un libro fresco di stampa, avvincente e, soprattutto, convincente per quanti, e ahinoi non son pochi, quasi si vergognano di far sapere d’esser nati in punta allo Stivale.


Ecco, pertanto, le considerazioni del Camillo, vergate di suo pugno, con verde inchiostro su taccuino dalla morbida copertina, e da noi sgraffignate notte tempo! “E c’è spazio qui – scrive a pagina diciotto e all’interno del capitolo dedicato ai “Miti greci della Kalabria, e altri miti” – per un mito spagnolo. Il paese di Santa Eufemia de Córdoba si vanta fondato da trentatré cavalieri calabresi, ai tempi del re Alfonso VII di Castiglia (1126-57). La tradizione è fortissima, ci tengono molto; e persino l’olio locale e la squadra di calcio si chiamano calabresi”.


E, in nota, aggiunge: “chi scrive lo ripete da anni, ma alla Calabria ufficiale, anzi alla Calabria in genere, non gliene importa. Altrove avrebbero fatto sfracelli, film, teatro, libri, turismo culturale…” Ora, prima d’andare avanti, intendiamoci, anche se il lettore avrà già intuito le generalità dell’autore dei concetti appena menzionati: a scrivere è Ulderico Nisticò.


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Lui, Ulderico, si definisce “portatore sano di cultura”; a noi piace descriverlo come Uomo, Storico, Scrittore, di prosa e di drammaturgia, che, allorquando decide d’affrontare un tema, cerca, prima ancora di raccontarlo, di comprenderne cause ed effetti, circostanze e motivi. Poi, però, lo racconta: meglio, lo fa vivere al lettore. In presa diretta.


Le iniziali citazioni sono gustose espedienti per introdurre quel che desideriamo porre all’attenzione di coloro che transiteranno su questa pagina: nel dicembre scorso, per i tipi di Città del Sole Edizioni, Nisticò ha pubblicato “Storia Politica della Magna Grecia”. Un libro, 264 pagine comprendenti delle saporitissime appendici, che, annuncia l’autore, intende “raccontare le vicende politiche dei Greci nelle nostre terre, in modo fattuale; e perciò senza simpatie ideologiche, o il contrario, e senza immaginazione consolatoria; e leggendo le fonti con senso critico, quindi applicando loro i due criteri vichiani della cronologia e geografia; e quelli della storia pragmatica, fatta di passioni e interessi, di viltà umane e nobili intenti; come ogni storia di ogni popolo dell’antichissima e sempre uguale, e anche futura, vicenda umana, da cui non c’è alcun motivo che la nostra storia sia stata, sia o sarà esente”.


La sola premessa potrebbe indurre, il visitatore della pagina, a mollar tutto, raggiungere la più vicina libreria, comperare il volume, tornare a casa, appollaiarsi sul divano, o poltrona (de gustibus non est disputandum), ed incominciare a scoprire, e capire. Cosa, chi? Ovvio: le origini nostre, Donne e Uomini nati alla Vita in quella porzioncina di storia battezzata Calabria.


A proposito di tal battezzo, leggiamo cosa scrive Nisticò: “Il nome Calabria sarà esteso alla nostra terra solo verso l’VIII secolo d. C.; prima, ogni denominazione di cui troviamo notizia è parziale, e riferita a solo una delle stirpi che si succedettero o coabitarono. Ne deriva una certa confusione, aggravata da alcune titolazioni ufficiali dal XIV secolo. Questo libro tenta una proposta: usare la grafia convenzionale Kalabria per indicare i tempi antichi, e Calabria per quelli più recenti”.

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Naturalmente, ogni calabrese è oggettivamente al corrente sulle origini del nome della Terra sua: forse, però, è cosa utile e urgente, per il calabrese, che su questa Terra ancora circola o che a questa Terra guarda da lontano, farsi un’idea definitiva, strutturata, documentata. E Ulderico offre quest’opportunità.


E se, precisa l’autore, “scopo di queste pagine è anche quello di narrare la Magna Grecia nella sua umana realtà storica, senza dubbio ricca di luci, ma altrettanto senza dubbio aduggiata di ombre e contraddizioni; e che fu una storia di uomini reali e non di icone; e che ebbe un inizio e una fine”, è bene evidenziare che “la Calabria del XXI secolo trarrebbe solo vantaggio a conoscere e narrare la storia autentica; e presentarla a sé stessa e al forestiero senza velami, per altro sdruciti, di ideologia di qualsiasi segno e ispirazione”.


Detto ciò, volutamente evitando di addentrarci nei meandri del libro – lasciando così al lettore la gioia e l’onore di scoperte o riscoperte – cerchiamo però di capire quali saranno le viuzze che Ulderico Nisticò farà percorrere a chi vorrà far proprio il libro suo. L’attacco è, opportunamente, originale: la definizione di “mito”. V’è, poi, un autentico, intrigante, dettagliato, godibile tuffo nella storia, tra le altre, di Crotone, Reggio, Locri: umana, politica, culturale, geografica, guerresca, commerciale, religiosa.

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Una citazione sola, per intenderci ulteriormente sulla utilità del libro: “nel 732, Leone III Isaurico sottopose a Reggio le Diocesi calabresi. Vinta nel 1060 dai Normanni, resta però sempre una città demaniale, e un porto notevole sullo Stretto. Viene considerata il capoluogo della Calabria fino a tempi recenti; ma di fatto, dopo l’assalto turco del 1594, gli uffici vennero trasferiti a Catanzaro”.


Poche battute, estrapolate dalla settantatreesima pagina, che ci permettono di capir l’oggi, forse un po’ meglio: di certo, il reggino potrà adeguatamente interrogarsi sul perché, nella Città sua, si parla e si sogna tanto, ma poco s’agisce…


E possiamo non citare la “vita quotidiana dei Magnogreci”? Ulderico Nisticò tratta particolari illuminanti, racconta aspetti spesso trascurati o sconosciuti – ad esempio: “i cittadini praticavano attività di artigianato e di commercio; non senza attività culturali complesse quale il teatro. La costa ionica, come sappiamo, non disponeva di veri porti, ma di attracchi stagionali: una pratica che continuò fin quasi ai nostri giorni. Sibari commercia con l’Asia; Locri esporta ceramica e terracotta; Reggio si batte per il dominio del mare; Crotone sarà sempre un centro di traffici marittimi.


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Le città hanno navi da guerra, che vediamo in azione sia contro Dionisio, sia nella politica estera di Thuri” – finendo, ovviamente, anche in… cantina: “anche il “vino di casa” delle campagne calabresi, robusto e di alta gradazione, era considerato, in particolare, un alimento energetico per il lavoro; oltre che un piacere per le ore trascorse nella “putica” (ἀποθήκη, boutique): la bettola”.


E ancora: “è vietato, se non per dei riti, bere il vino puro (ἄκρατος, merum) cioè non mescolato con acqua: il che avveniva in coppe che si chiamano perciò crateri, che significa mescolatori. Al vino, per correggerne e mitigarne il gusto, si aggiungevano anche miele, resina e altro. Era costume il simposio (συμπόσιον, bere assieme), occasione di dialoghi filosofici, letterari e politici”.


Accennavamo alle appendici: la terza è una vera chicca, soprattutto per quanti, nella Calabria nostra, vivono l’esperienza teatrale. È, ci dice Ulderico Nisticò, un Idillio di Teocrito, un “dialogo tra i pastori Batto e Coridone, che racconta brevi vicende, in forma amebea, e perciò rappresentabile in teatro, come avvenne alle Bucoliche di Virgilio, e che mostra anche quanto Teocrito poteva e voleva sapere del territorio di Crotone”.


E a pagina 95 ecco un altro motivo d’acquisto! “Consapevole – annuncia l’autore – di addentrarsi in un terreno molto sdrucciolevole, chi scrive affaccia qui la questione dei Bronzi di Riace; senza nulla voler dire dei ricorrenti romanzi gialli di cui si riempiono le cronache”. E l’argomentazione che segue è alquanto suggestiva. Insomma: un libro da custodire, anzitutto da studiare, di certo necessario per chi, e lo dovremmo esser tutti, si ritiene fortunato ad esser nato alla vita in Terra Calabra, o Kalabra!

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