Teo Musso: “La birra artigianale stretta tra crisi economica e sfida del no alcol”

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Si è da poco conclusa la decima edizione del Beer&Food Attraction di Rimini, uno degli appuntamenti brassicoli tra i più attesi a livello nazionale. Anche quest’anno grande affluenza, e numerosi protagonisti del comparto birrario italiano. Tra questi Teo Musso, patron di Baladin, al quale abbiamo chiesto di esprimere il sentimento di un comparto, quello della birra artigianale italiana, di cui è uno dei principali rappresentanti.

Cosa è emerso dal Beer&Food Attraction 2025?

“Sono emersi dei temi importanti, che dovranno far riflettere l’intero comparto, primo fra tutti la presa di coscienza che viviamo in un periodo di crisi dei consumi generale, e questo per noi mastri birrai artigiani vuol dire una sola cosa, che il cliente taglia i costi superflui. La birra artigianale, per quanto buona, è un alimento superfluo all’interno di un’economia domestica. Quindi noi artigiani dobbiamo puntare sul sensibilizzare e interessare il consumatore attraverso prodotti sempre migliori, nell’ottica che se la gente consuma meno, almeno sceglie meglio quello che consuma. La storia (non solo gastronomica) ci insegna che dietro una crisi c’è sempre anche un’opportunità che bisogna saper cogliere. Non sarà facile, e vincerà chi saprà dare certezze al consumatore”.

Conto e carta

difficile da pignorare

 

Un altro tema è sicuramente l’affermazione della categoria delle birre “low alcol”.

“Qualcosa è cambiato nelle nuove generazioni. Oggi c’è un’attenzione maggiore alla salute, una sensibilità diversa nei confronti dell’idea dello stare insieme e del bere, che non sono più due concetti necessariamente legati a un possibile consumo di alcol. E le ultime decisioni in materia di legge sulla sicurezza stradale hanno rafforzato questo trend. Ormai si è compreso che le birre low-alcol o analcoliche, non sono una moda come molti pensavano all’inizio, ma è un vero e proprio prodotto a parte, che ora esiste e che continuerà a esistere e ad avere una fetta sempre più importante nelle percentuali di consumo di birra. A noi il compito di renderlo un prodotto sempre migliore e accessibile”.

Quello delle low alcol o delle zero-alcol è però un serio problema per il comparto artigianale. Non sono semplici da produrre.

“Sì, è veramente difficile per un birrificio artigianale (micro o non micro che sia) poter metter su una linea di produzione di birra analcolica senza considerare investimenti, che per la maggior parte degli appartenenti alla categoria sono, se non impensabili, sicuramente difficili da immaginare. Purtroppo il cortocircuito esiste e andrebbe risolto alla base, ovvero a livello legislativo: la birra artigianale per sua definizione non può essere pastorizzata né microfiltrata, da questo ne deriva che l’unico elemento che ne permette la conservazione (per tempi ragionevoli e utili al consumo a distanza) è l’alcol in essa presente. Se togliamo anche l’alcol, a meno di non essere dotati di costosissimi macchinari e processi produttivi ad hoc (di cui sopra) la birra artigianale analcolica non vive abbastanza per poter essere consumata. Noi di Baladin, e pochissimi altri del comparto artigianale ci siamo riusciti, ma è stato un bagno di sangue di investimenti, e decenni di studi e di prove e di prodotto buttato, prima di riuscire a creare birre artigianali analcoliche con una shelf life di tutto rispetto, o prodotti alternativi come i nostri soft drink”.

Lei ha scritto delle pagine importanti di questi primi 25 anni (facciamo anche 30) di storia della birra artigianale in Italia. Come vede i prossimi 25?

“Oddio così lontano non ci arrivo… però ho ben chiare alcune sfide e come affrontarle. Al centro di tutto bisogna mettere il concetto di identit”, la sua costruzione e valorizzazione. È da lì che parte tutto. Noi siamo e resteremo per sempre un paese di cultura eno-gastronomica, non birro-gastronomica. Quando alla fine degli anni ‘90, io insieme a un manipolo di matti, abbiamo iniziato a fare la birra come nessuno prima l’aveva mai fatta in Italia, avevamo un prodotto difficile da posizionare sul mercato: la nostra non era birra industriale (costava almeno 5 volte tanto), e non era vino. Eppure abbiamo deciso di entrare a gamba tesa sul mercato, vestendoci da vino, con bottiglie da 75cl, nelle enoteche, con un costo di tutto rispetto. Abbiamo scelto l’unico posizionamento degno che potevamo dare al nostro prodotto. E abbiamo avuto ragione. Oggi la birra artigianale è un prodotto assolutamente consolidato e riconoscibile, ma occorre ancora lavorare sull’identità, a un secondo livello, più profondo, ovvero l’identità della birra artigianale italiana: ovvero quell’insieme di elementi culturali, materiali e produttivi, che ci permettono, nel nostro Paese e all’estero, di poter differenziare il nostro prodotto dagli altri”.

Una birra italiana passa sempre dalle materie prime nazionali.

“Certamente, quello è il punto di partenza, avere una filiera nazionale per la birra italiana è il primo mattone per costruire un’identità forte e duratura del nostro prodotto, ma attenzione: con questo non voglio dire che dobbiamo metterci tutti a fare i mastri birrai contadini e aprire birrifici agricoli, perché se non hai il tuo orzo e il tuo luppolo coltivato da te dietro il tuo birrificio allora non sei italiano. No. E lo dico da presidente del consorzio birra italiana, l’identità passa anche attraverso le materie prime, ma non si esaurisce con queste, per costruire un’identità forte occorrono altri due fattori: il tempo e la coerenza”.

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Se pensi alla birra italiana che birra ti immagini?

“Probabilmente una birra ad alta fermentazione. Sì, perché i lieviti che lavorano nell’alta fermentazione sono più vicini a quelli del vino e alla cultura eno-gastronomica tipica del popolo italiano, che è e resterà legata a determinati profumi e complessità di sapori. In questa fase storica il mercato è molto attento alle birre tradizionali a bassa fermentazione, ma l’esperienza mi insegna che si tratta di un trend ciclico e pertanto ci sarà un ritorno di attenzione sulle birre artigianali ad alta fermentazione, e allora l’individuazione di un lievito o più lieviti ad alta fermentazione che rappresentino l’italianità sarà un passaggio fondamentale in questo percorso verso la creazione di un’identità italiana della birra nel mondo”.



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