C’è chi dice no. In Toscana, a pochi giorni dall’approvazione della legge di iniziativa popolare sul fine vita, qualcuno ha avuto il coraggio di dire la sua, scostandosi dal voto dei colleghi di partito in Consiglio regionale. Anche se, forse, stare in silenzio sarebbe stato più comodo. «Su questi temi in Italia Viva vige la libertà di coscienza», spiega a Tempi Francesco Grazzini, eletto da pochi mesi tra le file dei consiglieri del Comune di Firenze. Il politico non ha preso parte alle votazioni in Regione, ma prima della chiamata alle urne ha comunque voluto rendere pubblica la sua opinione al quotidiano fiorentino La nazione e via social.
«Il tema è se il legislatore voglia investire nella vita o investire nella morte», nel suo comunicato non risparmia parole forti. Grazzini, cosa l’ha spinta a esporsi?
La mia convinzione non nasce da un’ideologia, ma dall’esperienza. La sacralità della vita è un valore che ho acquisito dall’incontro con il cristianesimo, che per me ha significato conoscere delle persone precise che mi sono state di esempio per comprendere che anche il paradosso della morte e della sofferenza può essere affrontato con letizia.
Dal partito non c’è stata nessuna pressione?
No, assolutamente. I due consiglieri di Iv hanno scelto in coscienza e in totale libertà. A conferma di ciò la vicepresidente della giunta regionale Stefania Saccardi, che non ha diritto di voto in Consiglio, ha affermato che lei avrebbe dato parere contrario se fosse stata chiamata alle urne.
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Quali sono state le reazioni al suo intervento dei colleghi di Italia Viva?
In moltissimi mi hanno scritto per ringraziarmi, anche alcuni che non erano d’accordo. Questo significa che non sono l’unico a pensarla così, anzi in molti appoggiano la mia posizione. In questo periodo il dialogo tra di noi è stato aperto, animato da un profondo rispetto reciproco e privo di spirito ideologico. Ma lo è anche in consiglio comunale, il 17 febbraio ho molto apprezzato le parole pronunciate dalla consigliera Michela Monaco della lista civica di centrosinistra “Funaro sindaca”, costretta da anni su una sedia a rotelle per una malattia neurologica: «Mi lascia interdetta sapere come nell’immaginario collettivo sia più condivisibile e approvabile una legge riguardante una morte dignitosa piuttosto che la vita decorosa per chi vive nella sofferenza».
Avere idee differenti all’interno del partito su questi temi tanto importanti non costituisce un problema?
Sinceramente, penso di no. Anche in altri partiti, centrodestra compreso, le idee sono discordanti. In questi casi nessuno strumento democratico può superare la coscienza dei singoli, e non può esserci un’imposizione dall’alto.
Tra le fila del Pd invece si respira questa sensazione. È così?
Non conosco le logiche interne agli altri partiti. Di certo mi è spiaciuto prendere coscienza che diversi hanno dovuto “soffocare” la propria sensibilità per tirare dritto. Con alcuni in questi mesi ho dialogato, ma le loro idee sono emerse poco.
«La vera questione non è il diritto a morire, ma il diritto a non essere lasciati soli nel dolore fino all’ultimo respiro che ci è dato da vivere», e ancora «chiediamoci se invece di “come vuoi morire?” non sarebbe più bello chiedere ai propri cittadini “come possiamo aiutarci a vivere?”». Con queste parole si unisce all’appello dei vescovi toscani rivolto ai consiglieri regionali prima della votazione.
Sì, negli ultimi giorni sono rimasto ulteriormente colpito dalle parole del cardinale Augusto Paolo Lojudice, arcivescovo di Siena e presidente della Conferenza episcopale toscana, a seguito della decisione del Consiglio regionale. Il prelato ha ricordato ancora una volta che di fronte a questa decisione la missione della Chiesa non cambia di una virgola. Dobbiamo continuare a testimoniare e a difendere la vita nei luoghi e nei tempi che ci sono consentiti su tutti i fronti.
Chi sono i protagonisti dei tre esempi che ha riportato nel post per i quali «il giudizio da ideologia si fa carne»?
Il primo è un mio compagno di università. Si muoveva in carrozzina e sapeva che la sua vita poteva finire da un momento all’altro. Ma questo non l’ha mai fermato dall’approfondire passioni e interessi, soprattutto per la poesia. È morto proprio negli anni dell’università, senza mai perdere la sua positività e il suo attaccamento alla vita. Poi riporto l’esempio di una cara amica, di cui ero testimone di nozze. Eravamo coetanei, pochi anni fa le diagnosticarono un cancro e lei, anche da malata, proseguì nel suo lavoro accanto alle persone disabili, che amava profondamente, fino alla morte avvenuta poco tempo fa a 28 anni. Infine ricordo un amico sacerdote malato di Sla che fece un’intervento bellissimo sulle cure palliative pochi mesi prima di morire e che conservo ancora nel cuore.
Cosa li accomunava?
Per tutti e tre sarebbe stato facile soffocare il dolore, che invece per loro è divenuto motivo di esaltazione. Avevano fiducia in un destino buono, pur vivendo una difficoltà tremenda. Il loro attaccamento alla vita veniva da un’incontro fatto in precedenza, che in qualche modo li rendeva liberi.
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