Meno uno. Dopo giorni di silenzio, rigorosamente low profile, Giorgia Meloni domani tornerà ad accostare il proprio volto a quello di Donald Trump. L’occasione ghiotta – ammesso lo sia – è la giornata conclusiva del Cpac, la Convention dei Repubblicani americani a Washington, lanciata nel 1974 sotto l’egida di Ronald Reagan e da cinquant’anni appuntamento immancabile dei conservatori statunitensi.
A Meloni – costretta ad incassare il sorpasso a sinistra di Emmanuel Macron, lunedì alla Casa Bianca per parlare di pace – è stato riservato un posto d’onore in quella che, col tempo, si è trasformata sempre più nella “festa” del popolo Maga: uno slot di 15 minuti alle 13.15 locali, quando in Italia saranno le 19 e un quarto della sera. Subito dopo di lei interverrà il falco Tom Homan, responsabile di tutte le deportazioni di immigrati clandestini per l’amministrazione Trump. Soprattutto, a scaldare la platea del Cpac penserà Donald Trump, protagonista indiscusso della kermesse.
IL VERTICE CON I VICEPREMIER
La premier, raccontano, non ha ancora iniziato a scrivere il suo discorso, alle prese con mille grane. Solo ieri, la condanna del sottosegretario Delmastro e lo stop del Tar ligure alla proroga delle concessioni balneari, una battuta d’arresto che l’ha portata a riunire ieri a Palazzo Chigi i due vice Antonio Tajani e Matteo Salvini. Qualche punto fermo però c’è già, per un intervento che scriverà con la supervisione del fedelissimo Giovanbattista Fazzolari. E così se tre anni fa Meloni aveva esordito al Cpac parlando proprio della guerra in Ucraina, con Kiev vittima di un «attacco inaccettabile» e «orgogliosa di lottare per la sua libertà», stavolta nel suo discorso ci sarà solo un accenno indiretto al conflitto. Una scelta in linea con la posizione tenuta in queste settimane: di attesa, in un equilibrio precario che studia ogni mossa sullo scacchiere.
Meloni non volerà fino a Washington per prendere la parola dal palco del Gaylord National Resort & Convention Center, lì dove ha costruito il suo filo diretto con i repubblicani statunitensi. Palazzo Chigi continua a lavorare a un incontro alla Casa Bianca, da fissare al più presto. Ma esclude categoricamente la partecipazione in presenza alla Convention. Questione anche di opportunità, in un momento in cui le due sponde dell’Atlantico sembrano più distanti che mai. Meloni tenterà di riavvicinarle, puntando dritto nel suo discorso sulla difesa dell’Occidente e dei suoi valori, incarnati nell’alleanza tra Usa e Europa. Ideali da difendere insieme e senza rompere la solidarietà atlantica.
Da scudare come un tesoro prezioso. Ma quei valori, tornerà a ribadire Meloni, devono essere tutelati dall’ideologia woke, dalla cancel culture, dall’immigrazione irregolare che spinge sui confini, puntellando le battaglie care al conservatorismo. Per questo la premier, nel discorso con cui tenderà la mano a The Donald, tornerà a difendere l’affondo all’Europa del suo numero due, JD Vance, come già fatto nelle stanze dell’Eliseo. Intanto da Washington è Carlo Fidanza, nella delegazione di Fdi presente al Cpac, a rilanciare l’intervento con cui il giovane vicepresidente Usa ha aizzato ieri la piazza Maga: «Noi amiamo la partnership transatlantica ma deve fondarsi su valori comuni: se l’Europa non difende i suoi confini dall’immigrazione illegale, se censura la libertà di espressione dei cittadini, questi non sono valori comuni”. Spunti interessanti per le sfide che ogni giorno combattiamo in Europa!», commenta Fidanza.
Se durante il collegamento con Washington la premier eviterà di entrare a gamba tesa sul conflitto in Ucraina, nella telefonata avuta ieri pomeriggio con il primo ministro canadese Justin Trudeau è tornata a ribadire come «una pace duratura in Europa» necessiti «di garanzie di sicurezza reali ed efficaci per l’Ucraina». Dove Meloni non sarà lunedì prossimo per il terzo anniversario dall’inizio della guerra, assente anche al summit in videoconferenza del G7 convocato dalla Presidenza canadese. La delega a Tajani è legata alla presenza a Roma dello sceicco Mohammed bin Zayed per il Business Forum italo-emiratino.
Ma alcuni guardano con sospetto, tanto più dopo il rifiuto degli Usa di definire la Russia come Paese «aggressore» in una dichiarazione del G7 e in una bozza di risoluzione Onu nel terzo anniversario dall’invasione. «Nessuno smarcamento», assicurano fonti diplomatiche italiane, spiegando che a Trudeau Meloni avrebbe chiesto di spostare la videocall alle 15 proprio per non mancare l’appuntamento. L’incastro impossibile con le agende degli altri leader l’avrebbe costretta a rinunciare. Ma il sostegno e il riconoscimento di Volodymyr Zelensky – assicurano a Palazzo Chigi – resta un punto fermo. Mentre sembra vacillare la fiducia nei negoziati in corso. A chi fa notare come il leader di Kiev abbia definito «produttivo» l’incontro con l’inviato Usa Keith Kellogg, fonti di governo replicano con un pragmatismo intriso di realpolitik: «Zelensky è dialogante è non può fare altrimenti, è con le spalle al muro».
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