Residenza fiscale delle società: le recenti novità e i chiarimenti della prassi amministrativa

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Il tema della residenza fiscale riveste fondamentale importanza nel panorama internazionale in quanto, in linea con il principio della tassazione dell’utile mondiale (c.d. “world wide taxation”), una volta stabilita la reale residenza di un’impresa, la stessa sarà assoggettata a tassazione – in un determinato Stato – per i redditi ovunque prodotti nel mondo.

In tale contesto, l’“esterovestizione” societaria è un termine che nella prassi operativa viene utilizzato per indicare particolari tecniche di pianificazione fiscale internazionale realizzate mediante la costituzione di una o più società in altro Stato estero (normalmente in un paradiso fiscale che non garantisce un adeguato scambio di informazioni), con il precipuo scopo di ottenere un indebito risparmio d’imposta che, come tale, è disapprovato dall’ordinamento giuridico domestico.

Il fenomeno evasivo, oltre che le imprese multinazionali, può anche riguardare le persone fisiche che, formalmente iscritte all’AIRE, simulano di trasferirsi all’estero mentre, in realtà, continuano a dimorare stabilmente sul territorio dello Stato italiano ove mantengono il proprio domicilio, i propri affetti e relazioni personali ossia la residenza ai fini fiscali, intesa quale dimora abituale.

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In seguito delle novità introdotte dal D.Lgs. 209/2023, l’articolo 73, Tuir, in vigore dallo scorso 29.12.2023, attualmente prevede che «Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le società e gli enti che per la maggior parte del periodo di imposta hanno nel territorio dello Stato la sede legale o la sede di direzione effettiva o la gestione ordinaria in via principale. Per sede di direzione effettiva si intende la continua e coordinata assunzione delle decisioni strategiche riguardanti la società o l’ente nel suo complesso”.

Più nello specifico:

  • la sede di direzione effettiva coincide con la continua e coordinata assunzione delle decisioni strategiche riguardanti la società o l’ente nel suo complesso (con contestuale recepimento del criterio di localizzazione della residenza fiscale adottato nella generalità delle convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni);
  • la gestione ordinaria è invece riferita al continuo e coordinato compimento degli atti della gestione corrente riguardanti la società o l’ente nel suo complesso (imponendo, quindi, una valutazione dell’effettivo radicamento della società, dell’ente o dell’associazione in un determinato territorio).

Nella Relazione illustrativa al provvedimento normativo viene chiarito che il criterio della sede di direzione effettiva, letto unitamente a quello della gestione ordinaria in via principale segna inoltre il superamento del riferimento alla sede dell’amministrazione, che ha determinato significative difficoltà interpretative e applicative”.

In merito, ai fini della direzione effettiva, non rilevano le decisioni diverse da quelle aventi contenuto di gestione assunte dai soci né le attività di supervisione e l’eventuale attività di monitoraggio della gestione da parte degli stessi.

Pertanto, le decisioni assunte dai soci non rilevano per individuare la sede di direzione effettiva, fatta eccezione per quelle aventi contenuto gestorio.

Secondo la relazione illustrativa al D.Lgs. 209/2023, la sede della gestione ordinaria in via principale rappresenta un effettivo collegamento della società o dell’ente nel territorio, con la chiara finalità di garantire maggior certezza giuridica.

In base al dettato dell’articolo 2, D.Lgs. 209/2023, che ha modificato il comma 3, dell’articolo 73, Tuir, per gestione ordinaria in via principale si deve intendere “il continuo e coordinato compimento degli atti della gestione corrente riguardanti la società o l’ente nel suo complesso”.

Anche in tale scelta legislativa si ravvisa un allineamento con i chiarimenti forniti dal paragrafo 24.1 del Commentario all’articolo 4, Modello OCSE, secondo cui, tra i fattori considerati per la risoluzione del conflitto di residenza a favore di uno Stato contraente, è compreso il luogo dove avviene la gestione quotidiana dell’attività.

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Quindi, il criterio di collegamento in esame deve essere associato al luogo in cui si esplicano il normale funzionamento della società e gli adempimenti che attengono all’ordinaria amministrazione della stessa.

Di contro, nel contesto internazionale, per evitare fenomeni di doppia imposizione, occorre invece fare riferimento all’articolo 4, paragrafo 3, del modello OCSE di convenzione internazionale contro le doppie imposizioni sui redditi.

In particolare, nell’ipotesi in cui una società sia considerata residente in due diversi Stati, la residenza fiscale della persona giuridica sarà individuata sulla base di un accordo tra le autorità competenti (denominato mutual agreement), che dovrà tenere conto del luogo di direzione effettiva (place of effective management), del luogo di costituzione (the place where it is incorporated or otherwise constituted) e di ogni altro fattore rilevante (any other relevant factors).

Nello specifico, quando si parla di sede di direzione effettiva occorre fare riferimento alla convenzione internazionale e relativo commentario ed, in particolare, all’articolo 4 del modello OCSE di convenzione contro le doppie imposizioni (punto 24.1), il quale sottolinea che per individuare la reale residenza fiscale di una società o di un ente occorre valutare vari fattori tra cui:

  • il luogo in cui si tengono abitualmente le riunioni del Consiglio di amministrazione o dell’organo equivalente della società o ente;
  • il luogo in cui l’amministratore delegato e i componenti dell’alta direzione svolgono abitualmente le loro attività;
  • il luogo ove si trova il quartier generale del Gruppo multinazionale;
  • quali sono le norme o le Leggi del Paese che disciplinano lo status giuridico della società;
  • dove sono tenute le sue scritture contabili.

In data 4.11.2024 l’Agenzia delle entrate ha diramato la circolare n. 20/E/2024, recante le “Istruzioni operative agli uffici in materia di residenza fiscale delle persone fisiche e delle società ed enti a seguito delle modifiche apportate dal decreto legislativo 27 dicembre 2023, n. 209”.

Il documento di prassi conferma l’eliminazione dei criteri riferiti alla sede dell’amministrazione (sostituito dai criteri di sede di direzione effettiva e di gestione ordinaria in via principale, in coerenza con la prassi internazionale), e all’oggetto principale, quest’ultimo da sempre foriero di controversie e incertezze interpretative, come peraltro chiarito nella Relazione illustrativa al D.Lgs.  209/2023.

Di contro, rimane invariato il criterio formale della sede legale in Italia, richiamato dal comma 3, dell’articolo 73, Tuir.

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Restano, inoltre, immutate, da un lato, la regola dell’alternatività dei tre criteri, essendo sufficiente la ricorrenza di uno solo di essi per configurare la residenza in Italia; dall’altro, la necessità che la sussistenza del criterio si protragga per la maggior parte del periodo d’imposta.

Con riferimento alla residenza degli organismi comuni di investimento, il criterio di collegamento non subisce modificazioni rispetto alla normativa previgente, secondo cui la residenza fiscale di tali soggetti si radica nello Stato di istituzione degli stessi.

Anche per quanto concerne la disciplina della residenza dei trust e degli istituti aventi analogo contenuto, non sono state apportate modifiche sostanziali sui criteri di configurazione della residenza.

In particolare, continuano a considerarsi fiscalmente residenti in Italia i trust e gli istituti aventi contenuto analogo, istituiti in Stati che non consentono un adeguato scambio di informazioni, in cui almeno uno dei disponenti ed almeno uno dei beneficiari siano fiscalmente residenti nel territorio dello Stato.

Come rilevato anche dalla circolare n. 20/E/2024, la determinazione della residenza dei trust è oggetto, inoltre, di una modifica di natura probatoria.

Infatti, sulla base delle disposizioni del novellato articolo 73, comma 3 Tuir “si considerano, inoltre, residenti nel territorio dello Stato, salvo prova contraria, i trust istituiti in uno Stato diverso da quelli di cui al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze emanato ai sensi dell’articolo 11, comma 4, lettera c), del decreto legislativo 1° aprile 1996, n. 239, quando, successivamente alla loro costituzione, un soggetto residente nel territorio dello Stato effettui in favore del trust un’attribuzione che importi il trasferimento di proprietà di beni immobili o la costituzione o il trasferimento di diritti reali immobiliari, anche per quote, nonché vincoli di destinazione sugli stessi”.

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In estrema sintesi, attualmente la presunzione di residenza del trust nel territorio italiano risulta modificata da “assoluta a relativa”, consentendo così al contribuente di fornire la pertinente prova contraria riferita alla residenza fiscale del trust.



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