Reazioni pericolose, l’idea di giustizia secondo il governo

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Con la nuova ondata di polemiche contro le toghe dopo la condanna del sottosegretario Delmastro, l’esecutivo rivela una sorta di lapsus: quella di immaginare anche in regime di separazione delle carriere la prevalenza del parere del pm e la sua signoria del processo. Fraintendimento tecnico o disvelamento di un pensiero recondito?

Come prevedibile la condanna del sottosegretario Andrea Delmastro, uomo del cerchio magico meloniano, ha scatenato l’ennesima ondata di polemiche. Era successo già quando egli fu rinviato a giudizio per decisione del Gip di Roma nonostante il contrario avviso della procura che aveva sollecitato l’archiviazione della denuncia a suo carico.

Allora diversi esponenti del governo, a partire dalla premier e dallo stesso guardasigilli, avevano manifestato stupore per non dire indignazione di fronte alla scelta di un giudice di disattendere il parere del pm che loro ritengono testualmente “il padrone dell’azione penale”. Alla luce del varo della separazione delle carriere conviene soffermarsi su questa concezione assolutista del processo penale e se dietro essa si celi molto più di quello che l’imminente riforma lasci trapelare.

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Ricordiamo la vicenda: Delmastro, avvocato penalista nella vita, è imputato di rivelazione di segreto d’ufficio per aver messo a conoscenza il suo collega di partito Donzelli del contenuto di una informativa delle guardie penitenziarie che riferivano sui colloqui di alcuni detenuti al 41 bis per gravi reati di terrorismo e mafia durante la visita di alcuni parlamentari del Pd.

Donzelli ne aveva fatto oggetto di una interrogazione parlamentare durante la quale ne dava lettura per accusare i colleghi della sinistra di connivenza coi detenuti, una vera e propria notizia di reato. Un caso estremamente lineare e semplice nella sostanza che però ha suscitato, per la condizione dell’imputato e le difformità di pensiero tra pm e giudici, un acceso dibattito destinato a protrarsi dopo la sentenza.

I termini delle ordinarie polemiche sulla giustizia sono qui rovesciati giacché una volta tanto il giudice entra in contrasto col collega dell’accusa non perché assolva bensì per la condanna di fronte ad una richiesta di assoluzione.

L’eccezionalità e rilievo estremo conferito al caso dalla procura di Roma, (“una rogna” l’ha definita il pm Paolo Ielo) squassata dalle polemiche del caso Lo Voi è testimoniata dalla presenza in aula di ben due tra i migliori pm capitolini, uno dei quali aggiunto di grande prestigio e notorietà.

Questi ha suscitato scalpore sostenendo l’innocenza di Delmastro sulla base di una complessa teoria giuridica (l’errore sulla legge extra penale).

Per farla breve: sicuramente l’informativa passata a Donzelli era segreta ma Delmastro non lo poteva capire perché la normativa sull’accesso agli atti pubblici è scritta in un modo così astruso e complicato (una matrioska di commi e norme l’ha definita ) da rendere impossibile capire quando un atto è segreto o meno.

Ciò secondo Ielo non costituisce una inescusabile ignoranza di diritto di un giurista ma un perdonabile errore sul fatto, più o meno come se taluno utilizzasse per sparare in pubblico una pistola carica pensando erroneamente, senza sua colpa, che essa sia un giocattolo.

Nell’arringa che ha toccato lo scibile giuridico dal diritto amministrativo a quello canonico, il magistrato ha ricordato giustamente il principio di tassatività secondo cui “una norma dice solo ciò che è scritto e non ciò che si pensa”.

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Un compito molto difficile visto che, ad esempio, ciò non ha impedito in passato alla stessa procura di Roma di chiedere decine di anni di galera per alcuni imputati ordinari sulla base di una interpretazione inedita ed innovativa della norma sull’associazione mafiosa della quale gli stessi, che neanche erano navigati avvocati, nulla potevano sapere o intuire come riconobbe alla fine la Cassazione.

Nel caso di specie non può sfuggire allo stesso Delmastro che l’informativa, addirittura secretata con circolare del ministero di sua competenza, conteneva una potenziale notizia di reato ipotizzando un’alleanza criminale tra detenuti e come tale addirittura coperta da possibile segreto investigativo.

Ma questi sono dettagli. Ciò che va invece evidenziato è la ricaduta sulle polemiche che circondano la riforma della separazione delle carriere dei magistrati. Il governo esprime sconcerto per la condanna come se fosse scandaloso il diverso pensiero tra pm e giudici. Facendo ciò rivela una sorta di lapsus: quella di immaginare anche in regime di separazione delle carriere la prevalenza del parere del pm e la sua signoria del processo.

È un fraintendimento tecnico o il disvelamento di un pensiero recondito sul possibile uso politico dell’organo inquirente che esegua i desiderata del governo? In America già succede, Trump ha richiesto ed ottenuto la chiusura di un’inchiesta contro il sindaco di New York. E Trump è il modello. Ci ritorneremo.

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