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Il gruppo Maiorana ha ceduto sei punti vendita “iper” a una società legata a un candidato di Forza Nuova. I lavoratori messi in cassa integrazione. Le lettere inviate da un legale condannato per mafia
La grande distribuzione organizzata (Gdo) rappresenta il 12 per cento del Pil nazionale, per introiti pari a 200 miliardi di euro l’anno. Di questo settore solo Roma e provincia rappresentano a oggi una quota di mercato pari al 7,2 per cento del totale nazionale. Il Lazio è sempre stato uno dei cuori pulsanti della filiera agro alimentare nostrana. Oggi, con particolare riferimento all’area metropolitana capitolina, esistono due grandi gruppi egemoni del settore: il gruppo Gros e la Maiorana Maggiorino Spa.
Maiorana è in piena crisi finanziaria, un anno fa finì in un’indagine condotta dalla Procura europea per una presunta maxi-evasione di Iva. Vicenda che portò l’azienda a essere colpita da sequestri preventivi. Le indagini si sono poi concluse con dissequestri e archiviazione. L’azienda inoltre da qualche tempo starebbe liquidando gran parte dei suoi punti vendita, tentando di licenziare molti dei suoi dipendenti.
Nel giugno 2024 la società EMMEpiù (di proprietà del gruppo Maiorana) sceglie di cedere sei punti vendita a marchio “Iper per la spesa”, tra Roma e provincia, a una società: l’Atas21srl. Quest’ultima amministrata da Luigi Sciommeri, noto imprenditore romano ed ex candidato per il Senato nel 2018 nella lista “Italia agli italiani” della coalizione neofascista Forza Nuova/Fiamma Tricolore.
La cessione d’azienda coinvolge 80 lavoratori (oggi circa 60, molti hanno dato le dimissioni) ai quali viene promesso che il passaggio ad Atas sarà impercettibile e che verranno assunti immediatamente alle stesse condizioni contrattuali.
EMMEpiù e Atas siglano ben due accordi sindacali (il 2 le il 19 luglio) alle presenza dei rappresentanti di Uil, Cgil e Cisl. A partire dal 31 luglio i dipendenti dunque cesseranno di essere Maiorana e dal 1 agosto passeranno ad Atas. Nonostante la promessa d’assunzione durante il mese di luglio alcuni dipendenti vengono contattati da una nota agenzia interinale (a dire di questa incaricata da Atas) che propone loro dei colloqui di lavoro presso altri punti vendita. Il 31 luglio però Atas invia una raccomandata ai suoi nuovi dipendenti «scioglimento e liquidazione della società» con risultato l’interruzione immediata di ogni rapporto lavorativo.
I lavoratori si rivolgono subito ai sindacati. Nell’arco della stessa giornata è la stessa Atas a inviare una mail di rettifica ai lavoratori chiedendo scusa per l’errore e ribadendo l’assunzione da parte di Atas. Il 2 agosto i sindacati denunciano tutto all’ispettorato del lavoro di Roma, ma non ottengono nessuna risposta. Ad agosto i dipendenti non cominciano a lavorare, i punti vendita restano chiusi e Atas inizia una manovra per spingere i lavoratori a licenziarsi.
Si arriva così al 9 agosto: una lettera dell’azienda si impegna a inquadrare i lavoratori presso altri punti vendita entro il 30 settembre. Alcuni giorni dopo, precisamente il 12 agosto, la richiesta viene reiterata ma questa volta da un ufficio legale, quello dell’avvocato Pietro D’Ardes, con una condanna a 11 anni per concorso esterno in associazione mafiosa per via dei suoi legami con potenti cosche di ’ndrangheta radicate a Roma. In carcere si è laureato in giurisprudenza e ha un curriculum di tutto rispetto: ispettore del lavoro per il Ministero, fondatore della cooperativa “lavoro”, consigliere nazionale dell’Unci (unione nazionale cooperative italiane).
Il contenuto della missiva firmata dallo studio di D’Ardes è lo stesso, seppur più incalzante. A settembre Atas chiede e ottiene dal Ministero del lavoro la cassa integrazione per cessazione attività per il periodo settembre-dicembre 2024.
«Atas sta facendo tutto questo per esasperarci fino alla dimissioni», afferma Laura, che racconta: «Ci avevano detto di stare tranquilli. A settembre ci arriva la busta paga di agosto, dove ci azzerano tutto, rol, ferie, tutto. Ci pagano solo lo stipendio e aspettiamo, per poi scoprire subito dopo che l’azienda aveva chiesto e ottenuto la cassa integrazione da settembre a dicembre». A oggi i dipendenti sono ancora in cassa integrazione senza sapere cosa sarà del loro futuro. Laura aggiunge: «Dopo 25 anni di lavoro mi sento umiliata, adesso a 60 anni mi ritrovo senza lavoro».
Atas intanto ha chiesto un prolungamento della cassa integrazione che è stata discussa a un tavolo del ministero alla presenza dei sindacati il 5 febbraio ed è stata approvata fino ad agosto 2026.
Il gruppo Maiorana è anche proprietario di 5 cash and carry (magazzini all’ingrosso) sempre tra Roma e provincia. All’interno di questi avrebbe avviato a ottobre una procedura di licenziamento collettivo per 67 dipendenti su 290, a oggi meno di 260, molti nel frattempo si sono licenziati. Anche qui intervengono i sindacati che dopo numerosi tavoli di trattativa in regione Lazio riescono a evitare il licenziamento collettivo e a ottenere “solo” il taglio del 30 per cento dell’orario di lavoro in nome di un accordo di un contratto di solidarietà previsto per legge fino al gennaio 2026. I sindacati riescono a ottenere anche l’anticipazione della cassa integrazione da parte dell’azienda senza aspettare l’Inps, l’azienda accetta salvo rimangiarsi l’accordo subito dopo per mancanza di liquidità. Intanto i lavoratori restano nel limbo.
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