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Latina, è stata scarcerata Laura “Puccia” De Rosa: deve rispondere di spaccio e violenza sessuale aggravata
Il Tribunale del Riesame di Roma ha accolto il ricorso della difesa di Laura De Rosa detta “Puccia”, arrestata a inizio mese di febbraio con il marito Ferdinando “Gianni” Di Silvio, nell’ambito dell’indagine di Procura e Carabinieri di Latina che ha contestato loro spaccio di droga e violenza sessuale aggravata per aver consentito che, all’interno della sua abitazione, si consumassero rapporti sessuali tra il figlio e la compagna dello stesso, una ragazzina che, all’epoca dei fatti, aveva 12 anni.
I giudici del Riesame hanno sostituito la misura cautelare del carcere, disposta dal giudice per le indagini preliminari di Latina, Mara Mattioli, con quella degli obblighi di dimora a cui Laura De Rosa dovrà sottostare.
Nel corso dell’interrogatorio di garanzia, dopo l’arresto, i coniugi Ferdinando Di Silvio detto “Gianni” o “Zagaglia” e Laura De Rosa detta Puccia, difesi dagli avvocati Oreste Palmieri e Giovanni Luparo, ci avevano tenuto a respingere le accuse di aver ignorato il fatto che, sotto il loro tetto, viveva il figlio minorenne e la ragazzina, rimasta incinta e poi accompagnata in una clinica campana ad abortire.
“Gianni” e “Puccia” hanno sostenuto che il rito zingaresco con cui i due minorenni si sono sposati nel 2021 fa parte dei loro usi e costumi, i quali prevedono che sia “naturale” che due minorenni possano vivere insieme e avere dei figli. Hanno negato la circostanza che sono stati due gli aborti: il primo è avvenuto a Castellamare di Stabia, mentre il secondo non si è mai concretizzato. Dopo la nascita della loro figlia il caso è stato segnalato ai servizi sociali del Comune di Latina (di cui c’è una relazione datata 2021) ed è stato preso in carico dal Tribunale dei minorenni di Roma. A parere della difesa, i servizi sociali e il Tribunale capitolino, che intervengono quando sono due minorenni ad avere una bambina, non avrebbero evidenziato alcuna situazione critica e tutto sarebbe sotto controllo.
Al contempo, però, c’era stato anche l’incidente probatorio della ragazzina ascolta davanti al giudice per le indagini preliminari, alla presenza della psicologa Alessia Micoli. La ragazzina, che oggi ha sedici anni, risulta, a differenza di quanto dichiarato dai coniugi Di Silvio, vivere in un casa famiglia. L’adolescente sarebbe incinta di quattro mesi e, nel corso dell’incidente probatorio, ha dichiarato di aver accettato gli usi e i costumi Sinti, pur avendo qualche perplessità e avendo confidato qualche disagio a uno zio.
L’INDAGINE – Gli arresti eseguiti martedì 4 febbraio non sono solo una vicenda che a che fare con lo spaccio di droga a Campo Boario, da anni feudo della famiglia Di Silvio, capeggiata dal boss mafioso Armando “Lallà” Di Silvio (in carcere con una condanna definitiva di oltre 24 anni). La storia che ha portato all’arresto del fratello di “Lallà”, Ferdinando Di Silvio (50 anni), detto “Gianni”, e della moglie Laura De Rosa (55 anni), ha a che vedere anche con altri due indagati e uno spaccato che contesta la violenza sessuale aggravata ai danni di una ragazzina di 12-13 anni.
L’ordinanza che ha disposto il carcere per “Gianni” Di Silvio, già ristretto perché arrestato a luglio per tentata estorsione mafioso nel quadro di una operazione della Squadra Mobile di Latina, e per la moglie, scaturisce da una richiesta di arresto arrivata a dicembre 2023 dal sostituto procuratore della Repubblica di Latina, Giuseppe Miliano.
A svolgere le indagini il Nucleo Investigativo del Comando Provinciale dei Carabinieri di Latina, guidato dal tenente colonnello Antonio De Lise, che, lo scorso 4 gennaio, coadiuvati nella fase esecutiva dai Carabinieri competenti per territorio, hanno dato esecuzione all’ordinanza di custodia cautelare.
Il provvedimento cautelare scaturisce dall’attività investigativa condotta dagli investigatori dell’Arma che si è dipanata dal settembre 2020 all’agosto 2022. L’inchiesta ha consentito di delineare l’esistenza di una vera e propria piazza di spaccio nel cuore di Latina, a poche centinaia di metri dal centro cittadino, nella solita Campo Boario, ossia nelle case dove da anni vive il ramo dei Di Silvio processato e condannato nel noto processo “Alba Pontina”: per loro, ma non per “Gianni” e la moglie, riconosciuta l’associazione mafiosa. Le indagini si sono sviluppate attraverso l’esecuzione di servizi di osservazione, attività di indagine classica affiancata da attività tecnica di intercettazione e da mirati riscontri.
Gli episodi di traffico di sostanze stupefacenti ricostruiti nel corso delle indagini, per i quali il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Latina, Mara Mattioli, ha ravvisato la sussistenza di gravi indizi, si collocano nel contesto di un traffico di hashish e cocaina, gestito dai due coniugi della famiglia Di Silvio ed avente base logistico-operativa principalmente all’interno della propria abitazione a Latina. Le stesse modalità con cui gestivano lo spaccio anche Armando “Lallà” Di Silvio e la moglie Sabina De Rosa.
Un’indagine iniziata con le dichiarazioni di un collaboratore di giustizia di area pugliese, Daniele Cilli, che stava scontando gli arresti domiciliari a Sermoneta Scalo. Dopo essere evaso dalla misura domiciliare, Cilli fu rintracciato dai Carabinieri, arrestato e tradotto presso il carcere di Sulmona. Nel tragitto, il collaboratore di giustizia, secondo la ricostruzione degli investigatori, ha confessato ai due Carabinieri che lo scortavano il perché della sua evasione. Era evaso, infatti, per poter acquistare droga a Campo Boario, esattamente a Via Milazzo da “Gianni” Di Silvio.
Successivamente, quelle confidenze sono state formalizzare da Cilli in tre lettere allo Sco, al Nucleo Investigativo di Latina e alla DDA di Bari. A vendere la droga non solo “Gianni” Di Silvio (detto Zagaglia perché balbuziente), ma anche la moglie Laura De Rosa detta “Puccia”. Indagando, i Carabinieri hanno fato emergere anche uno spaccato di violenza sessuale aggravata su una minorenne, compagna del figlio di “Gianni” Di Silvio e Laura De Rosa. Una minorenne che, quando sono iniziate le indagini, aveva meno di 14 anni: viene definita come stabilmente inserita nel nucleo famigliare Di Silvio-De Rosa.
Proprio perché a conoscenza dei rapporti tra il figlio (all’inizio della relazione neanche maggiorenne) e la giovanissima, risultano indagati Gianni Di Silvio, la moglie e i due genitori della minore. Una storia difficile, evidentemente delicata, che ha provato molto la ragazzina (rimasta due volte incinta a dodici e tredici anni e per due volte portata ad abortire in una clinica in Campania, a Castellamare di Stabia), sposata con rito zingaro (matrimonio non consacrato) al figlio di “Gianni”. La rappresentazione plastica degli usi e dei costumi della cultura Sinti (almeno quella che emerge in questo caso) che vuole la donna, ancorché bambina, essere sottomessa al “maschio” (in questo caso un ragazzino di 17 anni) e praticamente costretta a mettere al mondo figli senza soluzione di continuità. La ragazzina, infatti, dopo il primo aborto (un parto indotto per via del fatto che il feto era morto), rimane di nuovo incinta, nonostante il medico avesse sconsigliato una nuova gravidanza. Eppure alla famiglia Di Silvio-De Rosa, secondo gli inquirenti, non interessa: è per tale ragione che “Gianni” Di Silvio e Laura De Rosa, oltreché alla misura cautelare dovuta alla droga, sono in carcere per il pericolo di reiterazione del reato sul lato della violenza sessuale aggravata.
La situazione tra le due famiglie si incrina nel momento in cui i genitori della ragazzina chiedono di riportarla a casa, causando le ire di Laura De Rosa. Sarebbe la stessa ragazzina a far presente di non voler più tornare a Campo Boario. Ad essere indagati per il reato di violenza sessuale aggravata, come detto, tutti e quattro gli adulti i quali, ben consapevoli del quadro che si era formato, non avrebbero fatto niente per impedire la relazione tra i due giovanissimi, sebbene la madre della dodicenne si fosse lamentata più volte del fatto che la figlia dovesse sottomettersi alle logiche della famiglia Di Silvio-De Rosa, con tanto di tipico vestiario zingaro. Uno dei particolari più innocenti se si considera il resto della storia.
Per quanto riguarda lo spaccio di droga, le dichiarazioni di Cilli – assolutamente esemplificative per individuare la casa dei Di Silvio (“c’erano due leoni dorati”) – hanno dato il là alle investigazioni dei Carabinieri, con tanto di intercettazioni e immagini captate. Cuore dello spaccio, dove si recavano gli assuntori per acquistare la droga, è la nota Via Coriolano, la strada che arriva fino in fondo a Campo Boario dove, per intenderci, c’è il campo di calcio da anni in disuso e un tempo appartenuto a Gianluca Tuma e Costantino “Cha Cha” Di Silvio.
A dare la cocaina al collaboratore di giustizia è la moglie di “Gianni”, Laura De Rosa: “La teneva nel reggiseno“. Lo spaccio era H24, anche di notte. Diversi gli episodi di compravendita documentati dall’attività d’indagine dei Carabinieri. Cessioni di piccola taglia: dai 20 ai 100 euro di cocaina, anche pochi grammi o addirittura per mezzo grammo. Gli assuntori si recano in Via Coriolano, entrano in casa ed escono fuori con la sostanza stupefacente, tutto in pochi minuti. Nelle fasi di indagine, alcuni degli assuntori vengono fermati dai Carabinieri che indagano, così da documentare lo spaccio appena avvenuto.
Gli investigatori ritengono che anche la minorenne, compagna del figlio di “Gianni”, sia stata coinvolta nell’attività di spaccio. Non solo sottomessa agli abusi di costumi spinti oltre l’estremo, ma resa partecipe, nell’età dell’innocenza, a vendere la droga con la suocera.
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