Ogni mancato accordo internazionale è un danno per il Pianeta, l’ambiente e la biodiversità. La tutela del capitale naturale deve essere finanziata adeguatamente a beneficio di tutte le comunità del globo a partire dalle più vulnerabili. Il 25 in piazza per chiedere giustizia climatica.
Dal 25 al 27 febbraio, presso la sede della FAO a Roma si svolgerà la seconda sessione della Conferenza delle Parti sulla Biodiversità (Cop16Bis) delle Nazioni Unite, dopo il fallimento registrato a Cali in Colombia a fine ottobre scorso. Si tratta di un appuntamento fondamentale per proteggere la natura e la biodiversità, soprattutto in un momento storico in cui la crisi climatica ha accelerato il passo, con effetti sempre più impattanti.
Il nostro Pianeta è un ecosistema complesso e interconnesso, dove ogni elemento svolge un ruolo fondamentale. Animali, piante selvatiche e i loro habitat, sia terrestri che marini, sono i mattoni di questa rete intricata di vita. Essi non solo sostengono gli ecosistemi, ma ne regolano i processi vitali, garantiscono un equilibrio fondamentale per la nostra stessa esistenza e contribuiscono al raggiungimento dei 17 Obiettivi ONU di sviluppo sostenibile (SDG).
Gli accordi mancati sono un danno per il Pianeta
Anche per questo è grave e preoccupante il mancato accordo su come finanziare la protezione della natura, soprattutto nei paesi poveri e nelle popolazioni indigene, con cui si è conclusa lo scorso ottobre a Cali, in Colombia, la COP16 sulla biodiversità. Gli ecosistemi naturali, infatti, forniscono servizi ecosistemici generati dal capitale naturale, essenziali per la nostra sopravvivenza, dalla fotosintesi all’impollinazione, dalla salvaguardia del suolo e del territorio allo stoccaggio di carbonio, dal cibo all’acqua, dall’aria pulita all’energia alle medicine fino alle materie prime; per godere dei benefici e della bellezza che la natura offre a noi e al pianeta intero, istituzioni e individui hanno intrapreso un cammino comune per tutelarli e preservarli al fine di mantenere la loro vitalità e resilienza, a beneficio anche delle generazioni future attraverso un approccio One Health (se il Pianeta è in salute lo sono anche tutti i suoi abitanti).
In un momento storico in cui la crisi climatica ha accelerato il passo, con effetti sempre più impattanti su ambiente e perdita di biodiversità, alla scorsa COP di Cali sarebbe stato fondamentale dare un segnale importante con un solido accordo finanziario lanciando, così, un messaggio chiaro e preciso anche in vista delle successive COP (anche la COP29 sulla finanza climatica svolta a Baku a novembre, in Azerbaijan si è conclusa con un sostanziale fallimento per il fatto che i Paesi industrializzati non sono stati in grado di fornire ai più poveri e vulnerabili le necessarie risorse finanziarie per superare la drammatica emergenza climatica globale). Invece tutto ciò non è accaduto, come dimostra il sostanziale fallimento dell’appuntamento in Colombia, che, sul tema relativo alla mobilitazione delle risorse per attuare il Kunming-Montreal Global Biodiversity Framework (KM-GBF della COP 15 del 2022) non ha raggiunto nessun risultato concreto con il rischio di non dare concretezza finanziaria all’accordo raggiunto in Canada alla COP15. Per proteggere il 30% della biodiversità entro il 2030 è chiaro ed evidente che servono risorse economiche e finanziamenti, ma anche interventi strutturati non più rimandabili che ad oggi mancano all’appello.
Persino il nostro Paese, tra quelli più ricchi di biodiversità, è in ritardo sulla messa in campo di interventi di questo tipo. Ogni ritardo e ogni mancato accordo internazionale è un danno che facciamo al nostro Pianeta, all’ambiente e alla biodiversità che risente della crisi climatica, dell’inquinamento, delle specie aliene e delle attività antropiche.
1 milione di specie rischiano l’estinzione
Considerando che con oltre 1 milione di specie che si stima siano ora a rischio di estinzione nel mezzo dell’intensificarsi delle crisi planetarie (climatica e perdita di biodiversità), la finanza innovativa per la conservazione della natura selvatica non è mai stata così urgente. Non è un caso che la Giornata mondiale della natura selvatica (World Wildlife Day – WWD) del 3 marzo di quest’anno, istituita annualmente per ricordare la firma a Washington nel 1973 della Convenzione sul commercio internazionale delle specie di fauna e flora selvatiche minacciate di estinzione (C.I.T.E.S.), ha come tema scelto quello della “Finanza per la conservazione della fauna selvatica: investire nelle persone e nel pianeta”.
Investire nel capitale naturale a beneficio delle comunità del Pianeta
Alcuni dati sottolineano l’importanza del tema: più della metà del prodotto interno lordo (PIL) mondiale dipende dalla natura, rendendo la perdita di biodiversità una minaccia crescente per la stabilità finanziaria e i mezzi di sostentamento e questo rende anche conto dell’importanza di dare un valore alla natura, per fare in modo che le risorse naturali ricevano la dovuta attenzione e vengano considerate un bene comune a beneficio delle comunità del Pianeta, soprattutto a quelle locali per le quali il valore principale che possiedono (le risorse naturali per l’appunto) deve diventare la loro ricchezza. A livello globale, le foreste da sole ospitano 60.000 specie di alberi, l’80% delle specie di anfibi e il 75% delle specie di uccelli, sostenendo al contempo oltre 1,6 miliardi di persone con capitale naturale sotto forma di cibo, medicine e reddito. La pesca contribuisce per oltre il 10% al PIL in alcuni paesi, eppure oltre un terzo degli stock ittici marini è sovrasfruttato, il che porta a disoccupazione, economie sconvolte e pratiche di pesca illegali.
In parallelo a questo occorre riflettere su chi siano invece i destinatari di questi benefici: quindi su chi detiene le risorse ed i brevetti dei prodotti che nascono dal capitale naturale. Le risorse naturali, infatti, dovrebbero essere a disposizione di tutte e tutti, così che ne possano trarre vantaggi tutte le comunità locali e le popolazioni al livello globale. Purtroppo, la realtà e l’accordo che è scaturito ad oggi dalla COP16, dimostrano che quelle risorse sono in possesso esclusivamente di poche aziende multinazionali che hanno i mezzi economici per sfruttarle. Di conseguenza, a rimanere escluse sono proprio coloro cui spetterebbe il diritto di custodirle e goderne equamente, ovvero comunità locali e le popolazioni indigene.
Gli attuali flussi finanziari pubblici non sono sufficienti per i governi a raggiungere gli obiettivi nazionali sulla biodiversità, in particolare negli hotspot di biodiversità situati nei Paesi a basso e medio reddito. Sebbene 143 miliardi di USD vengano investiti annualmente nella conservazione della biodiversità, questa cifra è inferiore agli 824 miliardi di USD stimati necessari ogni anno.
Il Segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha chiesto uno stimolo SDG di almeno 500 miliardi di USD all’anno per incrementare i finanziamenti a lungo termine per lo sviluppo sostenibile. Il Kunming-Montreal Global Biodiversity Framework ha rivitalizzato gli sforzi per fermare e invertire la perdita di biodiversità, puntando alla mobilitazione di almeno 200 miliardi di dollari all’anno per la biodiversità e all’eliminazione o riforma dei sussidi dannosi entro il 2030 per una quota di almeno 500 miliardi di USD all’anno. Secondo le stime emerse dalla COP15 però, si ritiene siano necessari almeno 700 miliardi di USD l’anno, cifra che seppur ingente è decisamente inferiore agli oltre 3000 miliardi di dollari che, secondo l’ONU, sono persi ogni anno a causa del degrado ambientale.
Per quanto riguarda gli altri punti emersi dalla COP 16, sono poche le luci emerse tra diverse criticità. Tra queste il Cali Fund, fondo che nasce per compensare quei Paesi le cui informazioni genetiche sono utilizzate dall’industria per fare profitti colossali. Mentre i dettagli di erogazione non sono stati ancora definiti, è stato concordato che il 50% del fondo sarà assegnato alle popolazioni indigene e alle comunità locali, direttamente o tramite i governi. È un riconoscimento dei popoli che, per millenni, hanno convissuto, gestito e arricchito la biodiversità attraverso le conoscenze tradizionali. Un fondo che però ancora una volta è su base volontaria senza alcun obbligo. Quindi una criticità ancora una volta in un provvedimento significativo.
L’altro punto di interesse riguarda i passi in avanti nella protezione del mare: nella COP 16 è stato approvato l’accordo globale per identificare e conservare le Ecologically or Biologically Significant Marine Areas (EBSA – Aree Marine di Importanza Ecologica). Ma anche qui non mancano le criticità rappresentate dal fatto che non ci si può però accontentare di aree identificate sulla carta. Per dare un contributo fattivo all’obiettivo 30% occorre che si disponga misure e obiettivi di conservazione e che venga istituito un efficace sistema di monitoraggio per valutare l’efficacia della governance, della gestione e delle misure di conservazione della biodiversità.
Il 25 in piazza per chiedere giustizia climatica
In concomitanza con l’avvio della Cop16, saremo in piazza insieme alla rete del Climate Pride per chiedere giustizia climatica! Appuntamento il 25 febbraio alle ore 10:30 in Piazzale Ugo La Malfa per sollecitare un impegno politico e finanziario più ambizioso nella tutela della biodiversità. Vieni con noi a far sentire la tua voce!
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link