Cartografie del terzo settore e della innovazione sociale a Torino #1. La Compagnia di San Paolo

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(disegno di adriana marineo)

Pubblichiamo qui una voce enciclopedica, la prima di tante. Vogliamo assemblare un archivio di informazioni sulle modalità di welfare erogato da enti privati o garantito da una collaborazione tra pubblico e privato. I concetti scelti nel titolo sono dirimenti: il “terzo settore” descrive la galassia di enti di natura privata e dotati di finalità di utilità sociale; la “innovazione sociale” identifica una serie di strategie che sarebbero capaci di portare benefici alla società pur appartenendo a logiche gestionali private. Come redazione torinese studiamo da anni associazioni, fondazioni, progetti culturali o sociali che svolgono queste funzioni. Si tratta di una realtà composita e frastagliata nella quale non è semplice orientarsi. Ogni voce è allora una mappa a beneficio di chi scrive e di chi legge.

Lo sguardo, almeno all’inizio, sarà parziale: partiremo dai fenomeni che conosciamo meglio, ordinando appunti e riflessioni di anni. Speriamo di aumentare in esaustività nel corso del tempo, allargando la collaborazione a tutti i complici che vorranno unirsi. Il nostro approccio vuole essere preciso e documentato, ma certo non neutrale: questa mappatura ha l’ambizione di criticare il sogno di una virtuosa collaborazione tra pubblico e privato per il miglioramento della società. Un obiettivo non semplice, perché la filantropia, per sua natura, tende a sfuggire al pensiero critico. Queste cartografie sono dunque una sfida lanciata a pratiche ed entità che si rendono sfuggenti e opache grazie alle buone intenzioni dichiarate. La prima voce riguarda una delle matrici più rilevanti dei processi di cui scriveremo: la Compagnia di San Paolo, fondazione di origine bancaria.

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La Compagnia di San Paolo domina le attività culturali e sociali in città. Quasi non vi è iniziativa, progetto o evento che non mostri il logo della fondazione bancaria. Essa sostiene, grazie ai suoi finanziamenti, una variegata categoria di operatori sociali, creativi, artisti, mandarini e imbonitori, imprenditori e dirigenti di Torino. Lo sguardo dunque incontra i segni della Compagnia in ogni angolo urbano, eppure non è semplice delineare la storia, la natura, la funzione e le pratiche della fondazione. Gran parte di questa voce si ispira allora a un libro recente scritto in modo rigoroso e ben documentato: Élite, filantropia e trasformazioni dello stato. La Compagnia di San Paolo a Torino di Paola Arrigoni (il Mulino, 2024).

La Compagnia di San Paolo (CSP, d’ora in poi) è un ente di diritto privato con finalità di intervento sociale e filantropico nata in seguito alla privatizzazione del sistema bancario italiano. L’atto originario risale al 1990 con la legge Amato-Carli. Gli istituti bancari pubblici vengono privatizzati, ma tutte le loro azioni sono affidate a “enti conferenti” che hanno il compito di venderle sul mercato; viene così separata la funzione di gestione delle banche, ormai privata, da quella del controllo delle azioni.

Le fondazioni di origine bancaria discendono direttamente da questi enti conferenti. “L’ente conferente – scrive Arrigoni – oltre al controllo delle aziende bancarie, ereditava le finalità filantropiche dei vecchi istituti. Pertanto si sarebbe dovuto occupare, anche, di devolvere in attività di utilità sociale i dividendi percepiti dalle banche controllate”. Gli enti conferenti, quindi, sono strumenti neoliberali volti, al contempo, a realizzare il processo di privatizzazione del sistema bancario e ad affiancare lo stato nella erogazione di servizi a finalità sociale e culturale. Nel 1998 la legge Ciampi obbliga le fondazioni a cedere sul mercato gran parte delle azioni delle banche da cui traggono origine. Inoltre la legge Ciampi stabilisce che i “boards” delle fondazioni “avrebbero dovuto essere espressione dei principali stakeholders locali (pubblici e privati, profit e non profit)” e che “circa la metà dei consiglieri avrebbe dovuto essere espressione della cosiddetta società civile”. La CSP è dunque l’ente conferente della banca Sanpaolo. Dopo la fusione con Intesa, la CSP rimane la prima azionista del gruppo Intesa Sanpaolo, detenendo a oggi il 6,4 % delle azioni.

La fondazione è un ente “geneticamente ibrido” nato in un periodo storico peculiare: “Dall’Inghilterra – continua Arrigoni – venivano progressivamente mutuati i principi del NPM (New Public Management), che cambiavano le regole del gioco riconoscendo all’autorità pubblica il compito di fissare obiettivi di risultato e parametri di valutazione, delegando la loro attuazione a soggetti esterni”. La CSP è un ente privato, ma persegue finalità pubbliche e i suoi vertici sono eletti per cooptazione interna o su suggerimento degli enti pubblici. La CSP, dunque, è un’entità capace di realizzare politiche pubbliche senza un diretto controllo democratico del loro operato.

Nei decenni la Compagnia di San Paolo ha erogato sussidi per la cultura, i servizi sanitari, l’istruzione e l’assistenza sociale. Quest’ultima voce di spesa ha visto aumentare in modo considerevole la percentuale di capitali impiegati: mentre il pubblico taglia le spese al welfare, è la CSP a sostenere la fragile tenuta dei servizi sociali in città. Inoltre dal 2016, con la prima presidenza di Francesco Profumo, la Compagnia s’impegna nel sostegno della finanza a impatto sociale, ovvero nella promozione di investimenti capaci di generare effetti misurabili e di garantire un ritorno economico per gli investitori. L’aumento notevole dei capitali devoluti in progetti di housing sociale è un sintomo evidente di questa tendenza. Sembra che ogni esigenza dell’uomo possa essere esaudita da servizi erogati da enti che promettono un profitto.

Un’altra linea di investimento recente converge sulle fondazioni di comunità, enti filantropici territoriali capaci di declinare in aree peculiari le politiche di innovazione sociale volute da CSP. In sintesi si può notare un’evoluzione: la Compagnia non si limita a erogare capitali a fondo perduto, ma seleziona progetti e entità capaci di generare strategie di impresa e profitti grazie alle relative attività filantropiche. In questo senso CSP appare come un soggetto di governo, capace di intervenire in modo diretto nello spazio pubblico e modulare una precisa idea di società.

Sin dalla sua origine la CSP è controllata da un Consiglio Generale che a sua volta nomina un Consiglio di Gestione composto da cinque membri, fra cui il Presidente della fondazione. L’incarico dei consiglieri e del Presidente ha durata quadriennale. I consiglieri sono nominati su indicazione di enti pubblici strategici come il Comune di Torino, la Regione, la Camera di Commercio di Torino, le accademie della città, oppure entrano in fondazione per cooptazione interna. Ai vertici di CSP si sono avvicendate negli anni classi dirigenti provenienti dalla banca di riferimento, dalle università della città, dalla Camera di Commercio, dal mondo della cultura e dalla ristretta cerchia di classi dirigenti che amministrano le sorti di Torino. Le aree di intervento sono divise in tre grandi obiettivi: Obiettivo Persone, Obiettivo Cultura, Obiettivo Pianeta. Il primo copre le politiche abitative, educative e i servizi sociali; il secondo orienta il lavoro culturale in città; il terzo invece riguarda l’innovazione tecnologica, la ricerca e le politiche dedicate a realizzare la transizione energetica.

La vocazione umanitaria e filantropica della CSP rende questo ente in apparenza incontestabile. Se non ci fosse la Compagnia, direbbe un dirigente della fondazione, Torino e il suo intero sistema metropolitano collasserebbero. Eppure bisogna indagare le origini di questo assunto. La Città eroga sempre meno servizi perché ha un debito considerevole: a fine 2020, prima di un ingente sussidio statale, ammontava a più di tre miliardi di euro, rendendo Torino la città con il maggiore debito pubblico pro capite in Italia. Ogni anno la Città spende circa il dieci per cento del suo bilancio soltanto per pagare gli interessi sul debito. Uno dei principali creditori è proprio Intesa Sanpaolo, di cui CSP detiene ancora la quota principale di azioni. Gli utili della banca verso cui la Città è debitrice sono dunque distribuiti dalla Compagnia per supplire ai tagli al welfare causati proprio dal debito e dalla ingente spesa sui relativi interessi. Un circolo vizioso nascosto dal velo illusorio della filantropia.

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E poi, nel concreto, sono validi i progetti sostenuti dalla Compagnia di San Paolo? A un primo sguardo pullulano in città iniziative insulse, vuote e autoreferenziali, partecipate soltanto dalle classi dirigenti dominanti e dalle relative cerchie di sodali. Le attività sono accompagnate da un linguaggio omologato, melenso e ipocrita che contribuisce ad abbassare il livello della riflessione. Ancora, gran parte delle energie critiche sono cooptate dalla fondazione bancaria e costrette in un languido silenzio o in inefficaci pantomime. Si respira in città un’aria dolce e soporifera di ottundimento delle coscienze. Le affermazioni di questo ultimo paragrafo, tuttavia, possono apparire sommarie o poco documentate. Compito dell’intera mappatura è quello di esplorare nel dettaglio le sorti e i risultati della innovazione sociale a Torino. (voce a cura di francesco migliaccio)



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