Videogiochi, dipendenze e… Elon Musk

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I videogiochi non sono mai stati così redditizi, ma il vero affare non è più vendere fisicamente un gioco, bensì spingere i giocatori a spendere continuamente. Skin, loot box e vantaggi pay-to-win trasformano il divertimento in un vero e proprio sistema a premi, con meccanismi presi in prestito dai casinò.

Videogiochi come Raid: Shadow Legends, dietro cui si cela un’azienda di slot machine, dimostrano quanto sia sottile il confine tra gaming e gioco d’azzardo. E persino Elon Musk è caduto (o forse c’era già!) nella spirale della ricerca dello status digitale, vantandosi di imprese sospette in Diablo 4 e Path of Exile 2. Ma quanto siamo davvero padroni delle nostre scelte quando giochiamo? Scopriamo insieme il lato oscuro delle microtransazioni e il loro impatto sulla nostra mente.

Microtransazioni e dintorni

Nel mondo dei videogiochi girano somme di denaro sbalorditive, basti pensare a RAID: Shadow Legends, un gioco per smartphone scaricabile gratuitamente, che ha generato, secondo le stime di Sensor Tower Game Intelligence, oltre un miliardo di dollari di spesa da parte dei giocatori dal 2017 ad oggi. Questo enorme fatturato deriva dalle microtransazioni, che permettono di acquistare con soldi reali eroi rari, equipaggiamenti potenziati, pacchetti di energia per giocare più a lungo, valute premium e pass battaglia.

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Se un tempo acquistare un gioco significava pagare una somma fissa per un’esperienza completa, oggi le microtransazioni hanno ridefinito le regole.

Le microtransazioni si suddividono principalmente in due categorie:

  • Cosmetiche – Non influenzano il gameplay, ma permettono di personalizzare il personaggio o gli oggetti di gioco. Un esempio è Diablo 4, dove per la “modica” cifra di 64,99 euro era possibile acquistare, tramite un’offerta a tempo limitato, un cavallo e la sua relativa armatura, su cui galoppare nel mondo di gioco (si noti che nel gioco sono disponibili altri cavalli gratuiti; la differenza sta solo nell’aspetto, oltre al fatto che questi sono a pagamento).
  • Pay-to-win (letteralmente, “pagare per vincere”) – Migliorano direttamente le prestazioni del giocatore, creando un divario tra chi paga e chi no. Ad esempio, Diablo Immortal permette di acquistare in euro delle gemme leggendarie che rendono il personaggio significativamente più forte. Oppure, Clash of Clans consente di velocizzare costruzioni e upgrade con gemme acquistabili con valuta reale.

Se le microtransazioni cosmetiche giocano sulla pressione sociale e sul desiderio di status, quelle pay-to-win sfociano in una vera e propria monetizzazione della competizione. Per restare competitivi, è necessario investire somme di denaro sempre maggiori, come Jtisallbusinessun, un giocatore di Diablo Immortal, che ha speso 100.000 dollari in armi e armature virtuali per diventare il più forte del gioco.

Microtransazioni come gioco d’azzardo

Qual è il legame con il gioco d’azzardo? La connessione emerge chiaramente nel caso di RAID: Shadow Legends, sviluppato da Plarium Global Ltd., una società di proprietà di Aristocrat Leisure, colosso australiano nel settore delle slot machine e delle tecnologie per le scommesse. Questo modello di business si rivela estremamente redditizio, spingendo sempre più giochi a integrare meccaniche tipiche dei casinò, come la randomizzazione delle ricompense e il continuo incentivo alla spesa per ottenere vantaggi competitivi.

Elon Musk: il bisogno di sentirsi migliore degli altri

Recentemente, Elon Musk ha attirato l’attenzione nel mondo dei videogiochi vantandosi di essere un giocatore d’élite in Diablo 4 e Path of Exile 2. Secondo lui, avrebbe raggiunto livelli straordinari in tempi record: il suo personaggio sarebbe a un livello che, normalmente, solo giocatori che si connettono per 15-20 ore al giorno per settimane riuscirebbero a raggiungere.

Foto da Unsplash di Jetshoots.com

Ovviamente, la domanda che sorge spontanea è: come fa una persona con così tanti impegni come Musk a ottenere questi risultati? Non pochi hanno ipotizzato che il suo account potesse essere stato potenziato, cioè gestito da qualcun altro o migliorato artificialmente. Del resto, quando Musk ha giocato pubblicamente, la sua performance era ben lontana dalle aspettative per un “top player” del suo (presunto) calibro. E poi, c’è quel piccolo dettaglio: durante la cerimonia di insediamento di Trump, quando Elon Musk era ripreso dalle telecamere, il suo personaggio in Path of Exile 2 era attivissimo nel gioco combattendo orde di nemici. C’è una sola spiegazione: Musk è dotato anche del dono dell’ubiquità.

Quando le contraddizioni sono emerse, Musk ha risposto con il suo solito aplomb, denigrando chi osava mettere in discussione le sue capacità e pubblicando sulla sua piattaforma Twitter / X conversazioni private con alcuni di loro, come nel caso di Asmongold, un noto streamer con più di 5 milioni di iscritti, tra cui c’era anche Musk stesso prima di venir criticato.

Tornando però al tema delle microtransazioni, questo episodio mette in luce una dinamica interessante nel mondo dei videogiochi online: il desiderio di status digitale, che può diventare così forte da spingere persino personaggi pubblici a cercare scorciatoie per dimostrarsi “migliori” di quanto siano realmente. Se perfino uno degli uomini più ricchi del mondo sente il bisogno di apparire un “top player”, cosa significa per i milioni di giocatori comuni, soprattutto più giovani?

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Le microtransazioni pay-to-win alimentano direttamente questa mentalità, offrendo la possibilità di ottenere vantaggi competitivi immediati semplicemente pagando: “Vuoi sentirti più forte di uno sconosciuto che continua a batterti nel videogioco? Semplice, acquista per 20 euro una spada più forte in modo da sconfiggerlo!”.

Purtroppo, molti cadono in questa trappola.

L’effetto sulla mente in sviluppo

Nei bambini e negli adolescenti, il sistema di ricompensa cerebrale è ancora in fase di sviluppo, rendendoli particolarmente vulnerabili ai meccanismi psicologici dietro le microtransazioni. Alcuni fattori chiave sono:

  • Effetto “spesa sommersa”: piccoli acquisti ripetuti sembrano insignificanti singolarmente, ma nel tempo accumulano costi enormi. Inoltre, dopo aver speso i primi 5 euro per un elmo, comprare un’altra arma per 10 euro sembrerà un investimento poco gravoso. E poi, non vorrai mica non spendere 20 euro per il cavallo che fa pendant con il resto dell’armatura?!
  • Randomizzazione delle ricompense: le loot box, simili alle slot machine, rilasciano, a pagamento, premi in modo imprevedibile, rinforzando il comportamento di spesa con meccanismi di condizionamento operante.
  • Pressione sociale e FOMO (Fear of Missing Out): la paura di restare indietro rispetto agli amici spinge i giovani a spendere per restare competitivi o “alla moda”.

Semplici fenomeni psicologici, ma abusati dalle case di produzione di videogiochi che fanno leva su tecniche prese direttamente dai casinò: premi casuali, promozioni a tempo e incentivi a spendere subito. Alcuni paesi hanno già regolamentato le loot box come forme di gioco d’azzardo, riconoscendone il potenziale nocivo, ma molti altri le permettono ancora liberamente.

Conclusioni

Le microtransazioni non sono intrinsecamente negative, ma il loro abuso può trasformare l’esperienza videoludica in una forma di sfruttamento psicologico. È essenziale educare i giocatori (e soprattutto i genitori) sugli effetti di queste pratiche, affinché il gioco rimanga un divertimento e non una trappola economica.

Foto da Unsplash di Jezael Mendoza

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