Chukwuka Nweke merita l’ergastolo: questa la richiesta della pubblica accusa al processo per la morte di Iris Setti. L’udienza è cominciata con un colpo di scena: per la prima volta l’imputato non era presente in aula, proprio nel giorno in cui erano attese sue spontanee dichiarazioni, rinunciando quindi alla possibilità di rivolgersi direttamente alla corte d’assise.
La pubblica accusa: “ergastolo”
Parola quindi al pubblico ministero Fabrizio De Angelis che ha ripercorso in ogni dettaglio la serata del 5 agosto 2023 a Rovereto, al parco Nikolajewka dove la violenza dell’uomo si abbatté sulla donna. Difficile mettersi nella testa di Nweke, ha detto il pm. Forse dopo aver rubato un telefonino al centro di accoglienza, voleva derubare anche la donna.
Uccisa con 49 colpi
Di certo ci sono i colpi mortali (almeno 49 secondo il medico legale) e la fuga di Nweke con l’anello della vittima. Ma la procura contesta all’imputato anche la violenza sessuale sulla donna. Un uomo lucido, capace di intendere e volere che non aveva mai manifestato sintomi di patologie psichiatriche ma abusava di alcol e droga, ha aggiunto il magistrato che ha chiesto per Nweke la condanna.
In Corte d’assise il processo per l’assassinio di Iris Setti (TgrTrento)
Le parti civili confermano la richiesta dell’accusa
Gli avvocati Andrea De Bertolini e Giovanni Rambaldi, in rappresentanza dei familiari di Iris Setti, hanno confermato la richiesta della pena dell’ergastolo. “La matrice di questa vicenda è data dal fatto che Iris Setti era una donna: le prove ci consegnano l’evidenza aggressione brutale che parte da aggressione sessuale. Non possiamo liquidare vicenda come il frutto di un incontro fortuito con un mezzo matto, ma di una vicenda che vede come elementi centrali uno stupro, una rapina, un omicidio. È stata un’aggressione feroce, non folle”, ha detto De Bertolini, rilevando come “la richiesta della pena è congrua, che per la legge italiana vuol dire giusta”.
Per l’avvocato Rambaldi, la “singolarità di questo processo è data dalla certezza: abbiamo certezza sull’autore del fatto, sui fatti e la dinamica, sulla qualificazione giuridica dei fatti e sulla piena responsabilità giuridica dell’imputato”.
L’aggressione al centro di accoglienza
In rappresentanza dell’uomo aggredito da Nweke nel centro di accoglienza Il Portico, avvenuta la stessa sera dell’aggressione a Setti, è invece intervenuta l’avvocata Manuela Biamonte, che ha ritenuto “insussistente la richiesta di incapacità di intendere e volere”, ed ha rilevato come il primo fatto sia “da ricondurre a un proposito criminoso in continuità” con i fatti avvenuti poi nel parco Nikolajewka.
La difesa: “non è imputabile”
La difesa di Nweke chiede l’assoluzione perché persona non imputabile. Secondo l’avvocato Andrea Tomasi l’uomo è da considerarsi non capace di intendere e volere. “Posto che l’omicidio è incontestabile, il fatto è la capacità di intendere e volere e l’imputabilità. Chukwuka Nweke in quel momento era completamente travisato: l’azione è stata svolta in condizione di totale alterazione”.
“Non vi è traccia di un caso simile, di un atto di violenza inconsulta come questa. È un atto unico e per questo anomalo, che va valutato senza usare categorie comuni del dolo. Qui c’è il rischio di fare, come venne detto in un altro caso, un processo alla follia. A dimostrazione, c’è il report del taser usato una volta dalle forze dell’ordine per immobilizzarlo, a cui seguono 12 scosse dissuasive e poi un secondo sparo immobilizzante e altre scosse, per un totale di 47. Poi viene sedato. Si capisce che non era in una condizione normale. E la somministrazione dei calmanti non si ferma alla sera dei fatti, ma anche in carcere“, ha specificato, contestando le perizie psichiatriche.
“Il destino di Nweke è segnato”
“Sia che decidiate che è capace di intendere e volere, sia se riterrete che è incapace, il suo destino è comunque un lungo periodo di reclusione, in carcere o in una Rems. Se rimane in carcere continueranno le somministrazioni di quelli che vengono chiamati blandi ansiolitici (ma che così non sono), mentre se decidere che è incapace verrà rinchiuso in una Rems e curato. In ogni caso non tornerà libero“, ha detto Tomasi, precisando come la difesa, assunta pro bono, “riconosce l’assistito come socialmente pericoloso”.
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