Grande tema il silenzio dei comunisti. Grande tema il silenzio del teatro. C’è un’occasione per ascoltarli insieme. La offre una ricorrenza speciale, i dieci anni dalla morte di Luca […]
(Di Pino Corrias – ilfattoquotidiano.it) – Grande tema il silenzio dei comunisti. Grande tema il silenzio del teatro. C’è un’occasione per ascoltarli insieme. La offre una ricorrenza speciale, i dieci anni dalla morte di Luca Ronconi, maestro delle sue macchine narrative che scelse un testo del tutto eccentrico per parlarci di entrambi quei vuoti così pieni di parole, i comunisti e in subordine il teatro, mettendo in scena (quasi) l’irrappresentabile: Il silenzio dei comunisti, 7 lettere intercorse tra Vittorio Foa, Miriam Mafai e Alfredo Reichlin che furono a vario titolo e con differenti funzioni, protagonisti della sinistra italiana. Lettere sollecitate da Foa, intorno all’anno 2002, poi diventate pubbliche, raccolte in un libro Einaudi, sull’essere stati comunisti italiani, e perché continuare a esserlo, undici anni dopo il crollo del Muro, interrogati ma non dissuasi dal saldo dei molti fallimenti, disposti al dialogo, all’autoanalisi, correndo il rischio di scrivere e parlare ognuno dentro al proprio specchio. Fino a rendersi incomunicabili al resto del mondo, e dunque destinati al pubblico silenzio.
È Foa, il socialista sempre eretico, che li incalza. Avete mai creduto davvero alla rivoluzione in Italia? Come è stato possibile che il comunismo abbia coinvolto milioni di persone da noi e nel mondo e ora sia cancellato dalla memoria? Perché in assenza di comunismo imperversa l’anticomunismo fino all’aggressione? Avete fatto i conti con i nodi del nostro/vostro passato, l’Ungheria, Praga, il 68, lo strappo coi movimenti, il compromesso storico, la svolta di Occhetto? Vi siete accorti della velocità con cui è cambiata la società, il mercato, i consumi, le aspirazioni delle persone? Di come si sia compiuto il declino delle classi e prepotente il ritorno dell’individuo?
Il testo è una affabulazione sul senso della politica e anche sulla sua involontaria dannazione, quando diventa esistenziale al punto da rimanerne spiazzati e soli. La messa in scena è un colpo d’occhio che per intero la riassume. I tre protagonisti – Luigi Lo Cascio, Maria Paiato, Fausto Russo – stanno ognuno in una propria stanza sigillata al punto che passando da una all’altra, non è la scenografia sul palco a muoversi, tanto meno gli attori, ma siamo noi, gli spettatori, condotti da un binario nella stanza successiva per ascoltare via via i tre protagonisti isolati nel loro cubo d’aria. Espediente teatrale ideato per dirci che forse la stessa cosa accadeva e sta accadendo anche fuori dal teatro, dove i tormentati monologhi della sinistra, divisa in tante stanze, persa in eterni labirinti verbali, coltiva la sua immobilità in scena e nella vita, mentre è il pubblico a muoversi, la società a scivolare in avanti e magari anche indietro, mentre i tre protagonisti non hanno l’aria di accorgersene, imprigionati come sono da così tante parole, da diventare vane quanto il silenzio.
Perché così a lungo avete coltivato la vostra diversità dagli altri partiti, credendovi superiori? A cosa avete creduto, al comunismo come trasformazione del mondo o come presa del potere? Come mai avete capito in ritardo che il capitalismo non era in declino e che lo sviluppo delle lotte operaie era un segno del loro tramonto? E la globalizzazione? E le disuguaglianze planetarie? Come reagite ai governi della destra che incitano alla trasgressione, invitano alla corruzione, promettono l’impunità. E il centro, i moderati? Vi siete chiesti come mai il centro che ci ha governato per mezzo secolo, svanisce ogni volta che cerchiamo di misurarlo? Scritto una dozzina di anni fa, o appena ieri, l’effetto è una notevole agnizione. Potremo rivedere lo spettacolo in un’autentica prima teatrale su Rai5 il 22 febbraio, nella registrazione della messa in scena allestita a Torino nel 2006, mai andata in onda da allora. Un inedito che i discepoli di Ronconi riuniti nel suo Laboratorio di Santa Cristina diretto da Roberta Carlotto, si incaricano di tramandare. Per la sua memoria e la nostra.
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