Non vi stupisca vedere per le strade di Kabul qualche donna col volto scoperto, magari seduta a un ristorante o a passeggio per centri commerciali poco popolati. La capitale dell’Afghanistan è diventata una bolla nel paese, una vetrina arredata dal regime per tentare di accreditarsi all’estero, concedendo qualche scampolo di libertà alle afghane. Qui la popolazione sta accorrendo in massa dai luoghi più remoti: sperano di trovare un lavoro che non c’è, per acquistare il cibo che al momento non possono permettersi. Kabul è oggi il volto di un potere talebano apparentemente più liberale. È un caso isolato su tutto il territorio. L’altra faccia della medaglia è rappresentata da Kandahar, città a sud, centro del potere talebano più intransigente. Il timore di alcuni analisti è che queste città possano diventare terreno di scontro delle due fazioni, nella lotta per il controllo del paese.
Chiariamo subito: la vita delle donne a Kabul è comunque drammatica. Per quanto sia allentato il controllo sull’uso del burqa, sono ancora poche le donne che osano mostrare il volto. La tolleranza rappresenta poco o nulla: resta l’imposizione di rinunciare al lavoro, all’istruzione, a qualsiasi forma di diritto. Luca Lo Presti, presidente della Fondazione Pangea, da anni al fianco delle donne afghane, è tornato recentemente da un viaggio nel paese. Un episodio ci racconta come questa apparente apertura non debba trarre in inganno: “Abbiamo raggiunto un hotel per cena e al ritorno in macchina la moglie del mio direttore si era seduta al suo fianco, sul sedile passeggero anteriore. Per questo motivo lui è stato fermato a un posto di blocco e massacrato di botte. E questo episodio è accaduto comunque nel centro di Kabul”. Di sicuro, nell’entroterra le cose vanno ancora peggio: “Nelle province remote al confine con Turkmenistan e Uzbekistan non abbiamo conosciuto un volto femminile. In queste zone per le strade non si vede una donna, le rare volte in cui si scorgono sono sotterrate sotto un burqa”.
Kabul e Kandahar lottano per controllare il territorio, espressione di due fazioni talebane: “Hibatullah Akhundzada, mullah supremo di Kandahar, si trova a sud: è la parte più radicale, più integralista. A Kabul ci sono i vari ministri capitanati da Sirajuddin Haqqani, con una visione apparentemente più liberale. Sia chiaro: parliamo sempre di un assassino. Ma le sue dichiarazioni e intenzioni, anche nei confronti delle donne, sono più lievi. C’è uno scontro molto forte interno tra queste due fazioni talebane. Lo zio di Haqqani lo scorso dicembre è stato ucciso da una bomba a Kabul poco dopo un litigio con il leader di Kandahar. La colpa è stata attribuita all’Isis, ma nessuno ha creduto siano stati davvero loro. Il mullah del sud aveva dichiarato di voler cacciare tutte le Ong, considerandole spie, poi non l’ha fatto per criteri di convenienza: gli accordi di Doha presi con gli americani prevedevano che le Ong restassero. Mai negli accordi di Doha si è parlato di diritti umani, mai di diritti delle donne. Sapevamo benissimo a chi stavamo dando in pasto le afghane”.
Lo Presti e altri analisti temono una guerra civile, favorita da infiltrazioni di interessi esterne: “Le grandi potenze potrebbero spingere sulle divergenze, finanziando una delle due fazioni, affinché prenda il potere e possano a loro volta controllarla. L’Afghanistan è l’ombelico del mondo, posizionata in maniera strategica, centro di interessi economici”. I leader talebani smentiscono l’ipotesi di uno scontro interno scaturito da differenze di opinione e hanno dichiarato che resteranno uniti “nonostante i tentativi dei nemici di creare divisioni”. “Ascoltate attentamente: non realizzerete mai il vostro sogno di creare divisioni tra i leader dell’Emirato islamico dell’Afghanistan e di prendere il loro posto. Consideratela una mera illusione. Rimaniamo uniti perché senza unità non esisterebbe nulla, ha affermato su X Zabihullah Mujahid, portavoce con sede nella città meridionale di Kandahar, Fonti diplomatiche e talebane, riporta Reuters, hanno precedentemente affermato che ci sono anni di disaccordi tra i leader dell’amministrazione islamista sulle decisioni del suo supremo leader spirituale di chiudere le scuole superiori e le università alle studentesse.
Tra Kabul e Kandahar, non c’è dubbio su quale sia la città più attrattiva per la popolazione. La gente sta affluendo in massa nella capitale, attirata da questo senso di maggiore sicurezza, racconta Lo Presti: “Tra di noi qualcuno dice che ad abitare il paese siano adesso 9 milioni di persone, ma si tratta di stime senza conferme. Sperano di trovare lavoro, ma il lavoro non c’è e non ci sono i soldi per comprare il cibo. Io alla sera riuscivo a mangiare nei pressi del mio alloggio, spendendo due euro per 5 spiedini di pollo col pane, accompagnati da un termos di te. E il mio direttore sostiene si approfittassero del fatto che ero un turista. Vuol dire che gli afghani che stanno patendo una fame nera non hanno neanche un euro per concedersi un pasto. Nei giorni scorsi, un freddo drammatico ha reso questa quotidianità ancora più dura. Non solo tanti non hanno da mangiare, ma anche da scaldarsi, da coprirsi. La forbice sociale è ampissima: accanto ai poveri vivono i nababbi”.
Da nabbabbi sperano di conoscere l’Afghanistan alcuni turisti, incuriositi dal paese. Secondo l’Associated Press, se nel 2021 i turisti erano stati 691, lo scorso anno ne sono stati registrati 7mila. Una ricerca sulle pagine social mostra clip dai titoli come “5 motivi per visitare l’Afghanistan”, con influencer a passeggio tra colorati mercati, entusiasti di realizzare un viaggio autentico in una meta insolita. Il regime è desideroso di volgere la narrazione a proprio favore e ha bisogno di soldi, che il turismo porta. Il sogno dichiarato di Mohammad Saeed, capo della direzione del turismo del governo talebano a Kabul, è che il paese diventi un hotspot turistico, in particolare per il mercato cinese. Il nuovo Institute of Tourism & Hotel Management, gestito dai talebani, forma professionisti del turismo e dell’ospitalità. Dopo una chiusura durata mesi, l’unico hotel a cinque stelle del paese, il Serena, ha riaperto la sua spa e il suo salone di bellezza, che attende di servire donne straniere.
“Per le strade non mi è parso di percepire turisti, anche se so che si parla di qualche ritorno”, dice però Lo Presti,” Conosco anche l’esistenza di account social che sponsorizzano viaggi in Afghanistan. Noi abbiamo provato a contattarli, ma poi il viaggio è saltato. Di sicuro ottenere i visti per paesi come l’Italia è diventato difficilissimo, i controlli serratissimi. L’ultima volta io ho dovuto addirittura inviare gli esami del sangue”. Non si può dire che il volto nuovo dell’Afghanistan sia così attrattivo all’estero, ma di sicuro sta convincendo parte degli stessi afghani: “Questa illusione di sicurezza e tranquillità ha fatto accrescere il consenso degli afghani nei confronti dei talebani. Noi lavoriamo in una zona montuosa, molto difficile da raggiungere, di fianco a un ex avamposto americano. Lì c’è una sterminata pianura piena di lapidi; nei conflitti armati tra americani e talebani, spesso venivano colpiti civili innocenti. La gente di quei luoghi, per questo motivo, aveva paura degli americani e oggi che ci sono i talebani non muore più nessuno. Quella guerra ha portato un maggior numero di vittime tra i civili e io provo a immedesimarmi nei loro pensieri: se tu uccidi mio figlio, come faccio io a pensare che sei venuto a liberarmi?”.
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