l’UE etichetta e i produttori si ribellano, ma l’alcol resta un killer liquido

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Nel cuore pulsante del Veneto, dove le vigne si estendono a perdita d’occhio e il vino scorre come linfa vitale nelle vene della cultura locale, si alza un coro di protesta. L’Unione Europea, con la sua proposta di etichettare le bottiglie di vino con avvertenze sanitarie in stile tabacco, ha scatenato l’ira dei viticoltori italiani. In prima linea, il presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, che difende con fervore l’identità enologica del territorio. ”Leggo che i viticoltori sono pronti alla protesta perché l’UE non demorde dall’intenzione di etichettare il vino con indicazioni di danni alla salute”, dichiara Zaia. “Ancora una volta, come contro gli OGM o i cibi ‘Frankestein’ realizzati in laboratorio, dal mondo dell’agricoltura viene un messaggio di forte difesa identitaria.”

Ma mentre le barricate simboliche si ergono tra le vigne, sorge una domanda ineludibile: l’alcol non è forse dannoso per la salute? L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha recentemente sottolineato una preoccupante mancanza di consapevolezza riguardo al legame tra consumo di alcol e cancro in Europa, il continente con il più alto consumo pro capite. L’alcol è responsabile di circa 800.000 decessi annuali in Europa ma solo il 15% delle persone sa che l’alcol è correlato al cancro al seno e il 39% al cancro al colon. Zaia fa la sua parte politica, riconoscendo il problema: “L’abuso di alcol non fa bene, è incontrovertibile.”, ma contesta l’approccio dell’UE: “Certe etichette spauracchio non rispecchiano la cultura enologica e sono un vulnus a quei simboli d’identità che sono i nostri prodotti.” Per il presidente, il vino non è solo una bevanda, ma un pilastro della tradizione e dell’economia regionale. Il Veneto, infatti, è la prima regione in Italia per produzione di vino, con oltre 11 milioni di ettolitri, coprendo più del 35% dell’export nazionale. 

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Al di là dell’orgoglio veneto a riguardo della vigna, è impossibile non notare il portafoglio gonfio nelle tasche dei produttori e in genere degli operatori eno-gastronomici. Secondo i dati dell’ultimo Vinitaly (riportati da Panorama), la produzione vinicola italiana vale 45,2 miliardi di euro, l’1,1 del prodotto interno lordo. Se fosse un paese, la produzione di vino italiano sarebbe più ricca di nazioni come Estonia o Islanda. In altre parole, il vino italiano è paragonabile all’economia di uno Stato sovrano. Questo spiega l’inevitabile interesse della politica nostrana e l’occhio “mezzo chiuso” nei confronti della prevenzione. Ma non è così in tutti i paesi europei in cui l’economia “alcolica” è altrettanto forte. 

Attualmente, solo tre dei 27 paesi dell’UE – Francia, Lituania e Germania – hanno qualche forma di etichetta di avvertimento, mentre l’Irlanda prevede, con una legge apposita, si inserire avvertenze più ampie sulle bevande alcoliche riguardo ai pericoli cancerogeni. Recentemente, la Spagna ha d’altro canto annunciato l’abbassamento del limite legale di alcol nel sangue per i conducenti a 0,2 grammi per litro, nel tentativo di ridurre la mortalità sulle strade. Il governo iberico ha inoltre approvato un disegno di legge che tra le altre cose prevede la regolamentazione dei messaggi pubblicitari e le sponsorizzazioni legate all’alcol. Un esempio invece di come politica e affari la pensano sull’alcol viene invece dalla Francia. Christophe Barthès, deputato del partito francese di destra Rassemblement National e produttore di vino, propone di modificare la Legge Evin del 1991, che vieta la promozione di bevande alcoliche come vino, birra e liquori. La sua proposta prevede una maggiore libertà per la pubblicità del vino, mentre per gli altri alcolici la regolamentazione dovrebbe rimanere invariata.

In Italia il problema non si pone. Un esempio? In un famoso negozio del Vicentino, si trova un kit con il quale il bambino può dilettarsi nel fare cocktail (finti) per giocare a fare al barman. Con buona pace delle campagne di prevenzione contro la piaga dell’alcol che ammorba sempre di più i minorenni, come continuano a strillare le statistiche del Ministero. Altro esempio? In Fiera a Vicenza un festival del gin con ingresso a pagamento di una modica cifra, offre degustazioni illimitate e possibilità di far entrare minori accompagnati. E che dire del Prosecco Doc come sponsor delle Olimpiadi Milano Cortina 2026?

In Italia l’alcol è regolato, tassato e ancora celebrato, con il marketing che olia la macchina del profitto. Viene venduto come esperienza, cultura e libertà liquida. Le pubblicità parlano di emozioni, mai di fegati distrutti. Le società lo accettano, lo promuovono, e poi si scandalizzano per le stragi del sabato sera. Le istituzioni da una parte avvertono, lanciano messaggi di allarme, gridano con i numeri le frotte di giovanissimi con il cervello distrutto dall’alcolismo e poi la molla del mercato ha il sopravvento. Lo stesso mercato si sta però accorgendo di un altro fenomeno in crescita e cioè la crescente tendenza alla moderazione e allo stile di vita senza alcol. Secondo una ricerca dello scorso anno dell’Iwsr (istituto londinese specializzato in ricerche di mercato) il mercato no e low alcol supera i 12 miliardi di euro: consumi a +5% solo nel 2023. Non a caso, la categoria dei vini no e low alcol (no-lo) farà il suo esordio al Vinitaly 2025. Tempi moderni insomma, dove la consapevolezza arriva ormai solo se fa rima con ricchezza.



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