Lavoro, il sogno di Amadou

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**Questo articolo è pubblicato sul numero 9 di Vanity Fair in edicola fino al 25 febbraio 2025. **
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Gliel’ho chiesto, un po’ per gioco: «Chiudi gli occhi, non pensare a chi sei, da dove arrivi, cosa fai ora. Se tu dovessi dire il tuo lavoro dei sogni, che cosa diresti?». Lui non esita, lo sa: «L’elettricista».

Amadou ha 17 anni, è in Italia da un anno e mezzo, arriva dal Burkina Faso e sta alloggiando in una comunità della Fondazione Fratelli San Francesco, a Milano. Nel suo Paese era sempre più difficile stare, la guerra rendeva quel posto invivibile: per immaginarsi un futuro, doveva venire via. E così ha fatto: dopo aver raggiunto la Tunisia si è imbarcato, direzione Lampedusa. «Ora mi piacerebbe fermarmi in Italia. A settembre inizio la scuola per diventare elettricista, che durerà tre anni, ma per adesso sto facendo un tirocinio in un supermercato. Sono qui per capire se riesco a trovare lavoro come magazziniere». Amadou sta cercando un modo per mantenersi e anche lui, insieme ad altre centinaia di migranti e rifugiati, si è presentato all’iniziativa organizzata da Indeed, la piattaforma digitale per la ricerca del lavoro, con il supporto di Unhcr (Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati) e Oim (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni), che si sono riuniti per organizzare una fiera a Milano con l’intento di supportare le persone migranti a trovare un impiego, stendendo per loro i curricula prima di eventuali colloqui con le oltre 50 aziende presenti sul posto.

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Masiar Pasquali

C’è chi è passato per lasciare i propri dati fiducioso di un’opportunità futura e chi è uscito di lì già con una bozza di contratto in mano: «È la seconda volta che facciamo questa iniziativa in Italia. Arrivano persone con qualifiche di tutti i tipi e abbiamo cercato di far sì che anche le offerte di lavoro fossero differenziate. Sappiamo che mancano figure professionali Stem: gli ingegneri, i manutentori, mancano infermieri e personale per la ristorazione ed è anche per questo», spiega Ilaria Caccamo, Managing Director di Indeed, «che stiamo aiutando le aziende a guardare verso altri bacini di utenza, a prendere in maggior considerazione anche i migranti, che possono avere le competenze giuste. Quando queste persone arrivano in Italia il loro unico obiettivo è trovare un lavoro e raggiungere un’autonomia». Cosa che conviene a tutti: «Nessuno parla mai dei 5 milioni di migranti regolari che vivono e lavorano in Italia: contribuiscono all’8,8 per cento del Pil e pagano 38,9 miliardi di euro in tasse. Come tutti i cittadini ricevono servizi, ma, a conti fatti, assicurano un saldo positivo nelle casse dello Stato di 1,2 miliardi di euro», specifica Flavio Di Giacomo, Senior Public Information Associate di Oim, «Aggiungo poi che in un contesto di declino demografico, la migrazione è la soluzione, ciò che può contrastare questa débâcle. Da qui al 2028, secondo i dati di Unioncamere, il fabbisogno di manodopera è di almeno 640 mila persone, necessarie per portare avanti il sistema economico italiano, e i lavoratori stranieri possono essere proprio questa manodopera di cui abbiamo bisogno. La Fondazione Moressa ha riportato che entro il 2070, se ci sarà immigrazione zero, come qualcuno vorrebbe, la popolazione italiana passerebbe dai 60 milioni di oggi a 39 milioni, di cui 14 milioni in pensione: a quel punto ci sarebbero più persone non attive di quelle in età lavorativa e questo sarebbe insostenibile. Il settore privato sa bene che è necessario cambiare paradigma e che bisogna cominciare a parlare di integrazione. L’inclusione è sì un fenomeno umanitario, ma è anche un fenomeno geopolitico e va gestita con una visione economica a lungo termine».

E invece, sempre sull’onda dei pregiudizi e dell’emergenza, gli immigrati continuano a essere per lo più relegati al lavoro nero: «Purtroppo», spiega Elena Atzeni, Integration Associate di Unchr, «quando queste persone arrivano hanno bisogno di essere velocemente autonome e così rischiano di accettare qualsiasi cosa venga loro proposta. Non è breve il percorso di consapevolezza dei loro diritti e spesso le persone si trovano a ricoprire ruoli non in linea con le loro competenze. Per questo da qualche anno abbiamo avviato il progetto Welcome. Working for refugee integration, una sorta di marchio per le aziende più inclusive, che offrono opportunità concrete di inclusione lavorativa a richiedenti asilo e rifugiati».

Troppo spesso, infatti, orario di lavoro e stipendio non sono equilibrati: c’è chi racconta di 60 ore settimanali per un compenso di non più di 1.100 euro, straordinari compresi. Ma questi ragazzi non smettono comunque di provare a coronare i propri sogni. Così Mohamed, un giovane egiziano di 19 anni, si è messo anche lui in coda per trovare un nuovo lavoro. Orfano di madre e padre, è a Milano con suo fratello: «Mi piacerebbe un giorno che anche mia sorella potesse raggiungerci, magari senza fare le fatiche che ho fatto io, che ho dovuto fare un giro lunghissimo: dall’Egitto
sono arrivato in Russia, poi sono passato in Polonia e in Germania prima di arrivare in Italia. E adesso che ci sono, voglio restarci e diventare un cuoco». «Per noi», spiega Michael Mohssen, responsabile dell’area minori della Fondazione Fratelli San Francesco, «è importante avere momenti di incontro e networking. Ci sono tante criticità da affrontare, dalla lingua ai documenti con tutta la burocrazia annessa, tanto più quando si parla di minorenni. Vengono qui sperando di lavorare subito e di riuscire ad aiutare la famiglia. A 16 anni non sono degli adolescenti, ma dei giovani adulti, che hanno già alle spalle bagagli emotivi pesanti».

Lavoro il sogno di Amadou

Masiar Pasquali



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