Il ciclone Trump accende lo scontro tra Pd e M5S

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Il ciclone Trump complica di molto la vita al fronte delle opposizioni italiane. Chi pensava che la fine delle ostilità in Ucraina (ancora solo in ipotesi) avrebbe portato una schiarita nel campo largo, riavvicinando Pd e M5S, rischia di rimanere deluso. Di frotte alle spallate di del presidente Usa, i partiti arrancano. Soprattutto il Pd, che da tre anni aveva fissato la propria bussola sull’atlantismo, e dunque sulla lotta comune Usa-Ue per difendere Kiev dall’aggressione russa.

Ora che Trump ha scaricato violentemente Zelensky, regalando l’Ue ai margini del negoziato, ora che tra le due sponde dell’Atlantico si è aperta una voragine, i dem appaiono sotto choc. Più esposti alle incursioni degli alleati, soprattutto il M5S, che da anni vota no all’invio di armi in Ucraina e si è caratterizzato su una posizione pacifista. E ora può dire, con Giuseppe Conte, che «Trump con ruvidezza smaschera tutta la propaganda bellicista dell’’Occidente sull’Ucraina e dice una verità che noi stiamo dicendo da tre anni, ossia che battere militarmente la Russia era irrealistico».

CONTE IERI SE L’È PRESA con Meloni, chiedendone le dimissioni per «il fallimento diplomatico» in Ucraina. Ma il messaggio era rivolto anche ai dem, o almeno a quella parte (non Schlein) che ha sempre accusato i 5s di «filoputinismo». Ieri il casus belli ha riguardato Pina Picierno: la vicepresidente del Parlamento europeo ha detto a Repubblica che sul sostengo alla Russia «sta rinascendo l’asse gialloverde tra Lega e 5S», paragonando il partito di Conte a quello di Orban.

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L’eurodeputato Gaetano Pedullà, su La7, ha reagito definendo Picierno «un’infiltrata dei fascisti nella sinistra. Chiede più guerra, più armi, più povertà, più morti: non ha nulla a che vedere con la sinistra». «Ha un’ossessione contro di noi», rincara una nota ufficiale del gruppo contiano a Bruxelles. «Accomunare i Patrioti e le loro relazioni torbide con il Cremlino con le nostre battaglie per la pace e la giustizia sociale è un’offesa intollerabile».

É seguita una rissa verbale tra esponenti dei due partiti, con molti dem a difesa di Picierno, compresi Zingaretti e Bonaccini. «Ci sono delle “linee rosse” che non vanno oltrepassate anche nello scontro politico più duro», ha detto il senatore Alessandro Alfieri, coordinatore della minoranza Pd.

I VERTICI DEI DUE PARTITI si sono tenuti alla larga dallo scontro, ma le faglie di rottura sono molteplici e riguardano anche il diverso rapporto con la commissione von der Leyen. C’entrano le spese militari, che potrebbero essere scorporate dal Patto di stabilità. Il no alle armi è uno dei temi che i 5 stelle vogliono mettere al centro della manifestazione che Conte ha annunciato nei giorni scorsi. Ben sapendo che per il Pd è un nodo complicato.

Per ora la linea del Nazareno è si all’esercito europeo e alla razionalizzazione delle spese militari. «Costruiamo una difesa comune con chi ci sta , anche rompendo il tabù del sì di tutti i 27 paesi, l’Ue già spende più della Russia», ha rilanciato ieri il responsabile esteri dem Peppe Provenzano. Che chiede all’Ue una «svolta radicale», con un maxi piano di investimenti sul modello Next Generation che comprenda la difesa, ma anche industria, economia e lavoro.

Una linea, quella del rilancio dell’Ue sul piano sociale e sulla difesa comune, su cui il Pd sta dialogando con Sinistra italiana. Le posizioni non sono allineate, Fratoianni chiede a Schlein di fare uno sforzo in più, e cioè di prepararsi a dire no all’aumento delle spese per le armi nei singoli paesi, ad oggi la prospettiva più probabile viste le difficoltà di realizzare una difesa comune. Ma peseranno, assai più di quelli della destra dem, i condizionamenti del Pse, che in questi anni non ha mai tolto l’elmetto.

A SINISTRA C’È CHI VEDE il bicchiere mezzo pieno. «Forse è finita la discussione sul sì o no all’invio di armi a Kiev che ci ha visti divisi in questi anni», sospira un parlamentare di sinistra. «Ed è possibile che la presenza di Trump aiuti ad allentare l’asse tra Pd e Washington». Sempre che non sia Conte a salire sul taxi di Trump, per convenienza. Tra i dem i timori ci sono. «Ma visto quello che Trump si prepara a fare a Gaza è difficile che Conte possa stare su quella linea».

LA GIORNATA DI IERI, forse paradossalmente, si è conclusa con Conte che chiedeva le dimissioni di Meloni e Provenzano che la attaccava in contemporanea: «Giorni di insulti di Trump contro l’Europa e volontà di umiliare l’aggredita Ucraina. C’è chi prova a reagire, Meloni continua a tacere». La sintonia tra i progressisti resta per ora confinata alla critica a palazzo Chigi.



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