«È una politica d’asilo che tratta le persone come merci»

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Manifestazione pacifica e solidale non significa priva di rabbia: l’azione organizzata oggi al Centro Ulivo di Cadro dal Collettivo R-esistiamo, a cui hanno partecipato anche una trentina di rifugiati che risiedono nella struttura d’accoglienza, è stata infatti sì un’azione di musica, discorsi e anche di timidi sorrisi, ma soprattutto un presidio di ferma opposizione e indignazione nei confronti della politica d’(in)accoglienza che, come annunciato pochi giorni fa, costringerà ora molte famiglie a traslocare bruscamente dalla struttura gestita dalla Croce Rossa a un nuovo alloggio. Tuttora non meglio specificato.

 

Un gioco d’incastri e una comunicazione insufficiente

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Risale a martedì la comunicazione di Croce Rossa Svizzera Sezione del Sottoceneri (CRSS), in accordo con l’Ufficio cantonale dei richiedenti l’asilo e dei rifugiati (URAR), di convertire il Centro di Cadro in un foyer per minorenni non accompagnati, dove saranno trasferiti i circa novanta minori che, dallo scorso autunno, si trovano provvisoriamente all’Hotel Dischma di Paradiso dove erano stati spostati in seguito alla chiusura dell’ormai pericolante centro di Via Barzaghi. Chi invece attualmente risiede nel Centro di Cadro (si tratta di circa 100-130 persone, tra cui diverse famiglie con bambini) verrà trasferito a Giubiasco. «Non c’è una struttura a Giubiasco che possa accogliere 100-130 persone» ci dice Immacolata Iglio, avvocata ed esperta di diritto della migrazione. «Sembra che la direttrice della Croce Rossa, Debora Banchini Fersini, abbia detto che le persone che possono andare in appartamento si valuterà di farle andare in appartamento, ma comunque saranno sicuramente dislocate su tutto il territorio del cantone, verranno spostate e bisognerebbe capire con quali criteri. Queste sono le domande che fanno i rifugiati». La situazione ha infatti causato in alcuni richiedenti l’asilo non poco disagio: a mancare sarebbe stata una comunicazione appropriata da parte della Croce Rossa, che ha riferito la decisione ai residenti solo lunedì e che non avrebbe ancora fornito informazioni o dettagli né sulle nuove sistemazioni né sul destino di chi era a un passo dal potersi trasferire in un appartamento proprio. «Sono stata contattata dalle persone che qui avevano iniziato una protesta quando la Croce Rossa ha comunicato il trasferimento» prosegue l’avvocata, «e quello che ho potuto fare è stato dire loro che potevamo aiutarli, portare un sostegno esterno alla loro lotta interna per fare sì che Croce Rossa si mettesse al tavolo per confrontarsi, per rispondere a delle domande più che legittime: dove andranno, che fine faranno i percorsi scolastici dei minori che attualmente frequentano la scuola qui, che fine faranno quelli che stanno seguendo un percorso psicologico a Lugano, che fine faranno quelli che si stanno integrando con un lavoro, con una formazione o un apprendistato. Sono esseri umani, e non merce che può essere spostata da un centro all’altro come se niente fosse». Diverse famiglie, infatti, sono arrivate di recente a Cadro dopo la chiusura del Centro d’accoglienza presso l’Hotel Vezia, che per un anno e mezzo ha ospitato dei richiedenti l’asilo. Già allora ciò aveva comportato un cambiamento di sede scolastica per alcuni bambini che adesso – come concordato con il Dipartimento cantonale di Educazione, Cultura e Sport (DECS) – si ritroveranno di nuovo, in questo tetris, a dover cambiare scuola senza nemmeno poter terminare l’anno scolastico nell’attuale sede. Un (ennesimo) intoppo sul percorso d’integrazione di bambini e genitori, che per questo e per le modalità di comunicazione si sono detti preoccupati, come riportato dall’avvocata Iglio: «È proprio ciò per cui siamo qui oggi. Non si capisce come la Croce Rossa, che dovrebbe disporre di operatori formati, non si renda conto che quando vengono fatte scelte così importanti – che vanno a incidere sulla vita di persone già traumatizzate – è importante garantire un confronto e una discussione sulle motivazioni, sulle scelte, sui criteri che verrebbero utilizzati per i trasferimenti. Coinvolgendo le persone diventerebbe più facile, perché loro non sono di principio contrari a spostarsi, ma vogliono avere delle risposte». Ed è la mancanza di risposte ad aver generato anche molta paura: «Viste le modalità di comunicazione, alcuni di loro mi hanno contattata chiedendomi se davvero potevano essere portati via con la forza, perché questo è ciò che è stato loro detto: che sarebbe arrivata anche la polizia e che anche se c’erano dei bambini potevano essere portati via».

 

Risorse insufficienti, protesta a oltranza

In un momento storico in cui ogni centesimo speso dall’ente pubblico viene analizzato al microscopio, Lara Robbiani, specialista delle migrazioni e direttrice dell’Associazione DaRe, non manca allora di rispondere proprio nel merito: «In un periodo in cui si dice che si deve risparmiare e in cui si continua a martellare sul fatto che la migrazione ha un costo, proprio su queste spese bisognerebbe allora fare attenzione. Perché questi non sono soldi che vanno all’integrazione e a favore dei migranti, ma sono spese che si potevano evitare: il centro di Paradiso ha avuto un costo enorme, si sapeva da anni che doveva essere chiuso e in un attimo si sono trasferite delle persone sradicandole dalla loro scuola e dalle loro amicizie. La comunicazione, invece, un costo non ce l’ha, ed è proprio questa che è mancata. Queste persone accettano e si spostano senza problemi se sanno il perché e se sanno dove andranno e come verranno accolti. Non trasferisci una persona da un posto a un altro senza fare una giornata di presentazione e d’informazione. Loro, invece, vengono spostati in continuazione, ma tutte le volte – specialmente per i bambini – è un nuovo inizio. Non è quindi solo un costo finanziario, ma anche un costo emotivo che – aspettando e comunicando meglio – si poteva evitare». Mentre il costo emotivo, forse, si poteva dunque evitare, i costi finanziari, per Robbiani, sarebbe invece il caso di sostenerli adeguatamente, per offrire servizi accettabili: «Gli aiuti, in generale, non bastano. Ci ritroviamo con mamme sole che non sanno come arrivare a fine mese, i corsi di italiano ci sono e non ci sono. L’assistenza, ora, è insufficiente». Proprio come denunciano i richiedenti asilo del Centro Ulivo, che in una lettera diffusa dal Collettivo R-esistiamo hanno scritto: “Da tempo denunciamo le condizioni del campo e la gestione inefficiente, ma non abbiamo mai ricevuto risposte né trovato un interlocutore che ci ascoltasse. (…) Molti di noi hanno già completato il processo di integrazione obbligatorio e stavano aspettando di essere assegnati a una casa, ma ora ci viene comunicato che saremo trasferiti in strutture ancora peggiori. Non accettiamo questa imposizione e chiediamo 1) che coloro che hanno diritto a una casa vengano trasferiti immediatamente in un’abitazione 2) che coloro che stanno ancora completando il loro processo vengano trasferiti in campi con condizioni di vita migliori e più umane. In caso contrario, dichiariamo che non lasceremo il campo!”. All’avvocata Immacolata Iglio torniamo a chiedere dunque, infine, se delle discussioni in tal senso sono state intavolate con Croce Rossa: «Per noi è sempre molto difficile – ci dice – non perché non lo vogliamo, ma perché non ci viene mai concesso. Più volte avevamo chiesto di poter entrare nel centro e parlare con la direttrice, che ora sembra abbia dichiarato di essere disponibile per un confronto. Glielo chiederemo e aspettiamo di poterci sedere al tavolo con lei. Quel che è certo è che i rifugiati, finché non otterranno questo confronto, sì continueranno a voler protestare e a non volersi spostare».



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