Da un’inchiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Campobasso emerge un quadro inquietante di gestione illecita dei rifiuti, prestiti usurai ed estorsioni. Un’indagine complessa che coinvolge 47 indagati, tra cui imprenditori, professionisti e soggetti ritenuti legati ad ambienti criminali compresa la “Società Foggiana”. Le intercettazioni e gli episodi circostanziati raccolti dagli investigatori delineano una rete articolata di affari illeciti, con particolare riferimento al settore dello smaltimento dei rifiuti e al riciclaggio di denaro, spesso accompagnati da minacce e violenze.
Il sistema illecito nella gestione dei rifiuti
Al centro dell’inchiesta vi sarebbero le società Energia Pulita S.r.l. e Servizi Ambientali Molise S.r.l., entrambe con sede a Termoli, operanti nel settore della gestione dei rifiuti e formalmente guidate da Nicola Ianìro e Francesco Barbato. Secondo gli inquirenti, queste aziende avrebbero operato con modalità irregolari, eludendo le normative ambientali e creando un giro d’affari milionario. Il coinvolgimento di soggetti con precedenti penali e l’uso di metodi intimidatori nei confronti di chi si opponeva alla loro attività rafforzano l’ipotesi accusatoria.
Estorsioni e usura: il coinvolgimento di figure chiave
Le carte dell’inchiesta riportano episodi di prestiti usurai e richieste estorsive, spesso accompagnati da minacce esplicite. Tra i principali indagati figurano Vincenzo Macera, Michele Lamedica e Algin Kaja, accusati di aver utilizzato metodi mafiosi per imporre il pagamento di debiti, spesso derivanti da transazioni illecite nel mercato della droga e del credito illegale. In particolare, le intercettazioni rivelano come le vittime venissero costrette a firmare assegni o a cedere beni per saldare debiti gonfiati da tassi d’interesse esorbitanti.
In uno degli episodi chiave, avvenuto nel 2019 a Campomarino, Antonio Bombace, ritenuto un esattore per conto del gruppo, avrebbe minacciato un debitore con frasi del tipo: “Tu vuoi fare una brutta fine? Qui con questa cosa non si scherza!”. Secondo la ricostruzione degli inquirenti, le vittime venivano intimidite con minacce fisiche e costrette a vendere immobili a prezzi irrisori pur di evitare conseguenze peggiori.
Il legame con la “Società Foggiana”
Un elemento centrale dell’inchiesta è il coinvolgimento della Società Foggiana, una delle organizzazioni mafiose più radicate nel territorio pugliese. Alcuni degli indagati avrebbero fatto riferimento alla propria appartenenza o vicinanza a gruppi mafiosi per rafforzare il proprio potere intimidatorio. In particolare, dagli atti emergono i nomi di Michele Lamedica e Filippo Li Quadri, per i quali è contestata l’aggravante di aver commesso i reati facendo parte dell’associazione mafiosa denominata Società Foggiana. Secondo l’accusa, i due avrebbero esercitato la propria attività criminale sfruttando la capacità intimidatrice e il clima di assoggettamento tipico delle mafie, facendo riferimento esplicito alla “fratellanza Marchese” operante nella provincia di Foggia.
L’inchiesta ha inoltre evidenziato un possibile coinvolgimento di esponenti della batteria criminale foggiana, Moretti-Lanza-Pellegrino, nella gestione delle estorsioni e dei recuperi crediti illeciti. Dalle intercettazioni emerge che Vincenzo Macera aveva informato questi soggetti delle difficoltà incontrate nel recupero del denaro, coinvolgendo anche figure legate alla criminalità organizzata napoletana. In un passaggio significativo, Macera avrebbe dichiarato: “Là non sono estorsioni, non sono debiti… là sono soldi prestati… la ragazza [Katia Gianfelice, ndr] sta con un mio amico napoletano e quelli là non scherzano… vengo fino a qua vengono. Adesso stanno venendo quelli di Foggia un’altra volta, alcuni che stanno vicino a Pasquale [Moretti, ndr]…”. Questa affermazione suggerisce un collegamento diretto tra il gruppo criminale foggiano e gli ambienti malavitosi di altre regioni, rafforzando ulteriormente l’ipotesi di un’operazione criminale su larga scala.
Intercettazioni e minacce documentate
Le intercettazioni telefoniche e ambientali forniscono uno spaccato dettagliato del linguaggio e dei metodi usati dagli indagati. In uno dei dialoghi captati, Kaja Algin si rivolge a una delle vittime con frasi inequivocabili: “Non hai niente più da perdere… sono rimaste solo le palle da perdere!”, mentre in un altro episodio lo stesso Kaja ordina a un debitore di saldare il conto con un ultimatum: “Entro domani dobbiamo risolvere, altrimenti poi quell’assegno non so che fine farà , purtroppo”.
Gli indagati e i reati contestati
Tra i 47 indagati figurano numerosi soggetti residenti tra Foggia, San Severo, Torremaggiore e Termoli. Tra i principali accusati ci sono:
- Francesco Amelio (Napoli)
- Alessia Bellisario (Pollena Trocchia, NA)
- Domenico Nicola Bonifacio (Guglionesi, CB)
- Pasquale Dario Bove (Campomarino, CB)
- Donato Campolieti (Pietracatella, CB)
- Leonardo Candeloro (San Severo, FG)
- Walther Cordisco (Morro de Barcellona, Venezuela)
- Vincenzo D’Agnello (Foggia)
- Francesco Paolo D’Aloia (San Severo, FG)
- Antonio Di Tommaso (Guglionesi, CB)
- Attilio Ferrazzano (Termoli, CB)
- Giovanni Iademarco (Mirabello Sannitico, CB)
- Michele Lamedica (Torremaggiore, FG)
- Vincenzo Macera (Torino)
- Giuseppe Matera (Cerignola, FG)
- Antonio Martino (San Nicandro Garganico, FG)
- Antonio Marchese (Messina)
- Filippo Li Quadri (San Severo, FG)
- Nicola Ianìro (Campobasso)
L’accusa nei loro confronti comprende associazione a delinquere di stampo mafioso, estorsione, usura, ricettazione, traffico di rifiuti e spaccio di droga.
Le prossime mosse della Procura
L’indagine, avviata nel 2018 e giunta ora alla conclusione delle indagini preliminari, potrebbe sfociare in richieste di rinvio a giudizio per la maggior parte degli indagati. Il procuratore Nicola D’Angelo e il sostituto procuratore Vittorio Gallucci, che hanno coordinato l’inchiesta, ritengono di aver raccolto elementi probatori solidi a sostegno dell’accusa. Le indagini proseguiranno per verificare eventuali altri coinvolgimenti e ramificazioni dell’organizzazione.
L’inchiesta rappresenta un duro colpo per la criminalità organizzata attiva tra Molise e Puglia e mette in evidenza il pericoloso intreccio tra economia illegale e attività apparentemente lecite.
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