Della città che nel 1920 calmierava i prezzi del pane ormai rimane poco. La scelta di investire sul turismo e sul settore gastronomico ha contribuito a creare la crisi abitativa e a rendere il capoluogo emiliano troppo costoso per le fasce popolari, come dimostra anche l’aumento dei prezzi dei trasporti comunali
Dalla città del sindaco socialista Francesco Zanardi, che nel 1920 aprì forni comunali per calmierare il prezzo del pane, alla città finita sotto accusa sul New York Times per essere diventata un mortadellificio per turisti.
Il mito della Bologna accogliente negli ultimi anni è messo un fortemente in discussione al punto che, numeri alla mano, sta perdendo sempre più la sua dimensione popolare in favore di una città elitaria. Dinamiche analoghe a quelle che investono altri centri europei, che però la giunta comunale, autodefinitasi la più progressista d’Italia, sembra non riuscire o non voler contrastare. E in taluni casi sembra favorire.
Il boom del turismo
Per comprendere ciò che accade a Bologna bisogna risalire al 2008, quando Ryanair è approdato nello scalo del capoluogo emiliano. Un territorio da sempre forte nel settore della manifattura ha deciso di scommettere sul turismo e, nel 2014, lo ha caratterizzato lanciando il brand “Bologna City of Food”.
L’operazione non era casuale, perché il tema del cibo sarebbe stato al centro di Expo 2015 a Milano. Per sfruttare la scia turistica è stato immaginato anche il progetto Fico, la Disneyland del cibo voluta da Oscar Farinetti, che solo anni più tardi si è rivelato un flop. Ma intanto la miccia era stata accesa.
In appena dieci anni, dal 2014 al 2024, il turismo in città è raddoppiato, passando da 2,16 milioni di pernottamenti annui a 4,1 milioni. Una pressione di quello che viene definito overtourism che ha avuto diversi impatti. Dalla mutazione degli esercizi commerciali cittadini, con un’attività ristorativa ogni 35 abitanti nel centro storico e l’accusa internazionale di essere un mortadellificio, fino allo sconvolgimento del mercato immobiliare.
La questione abitativa
Nella città di Bologna oggi ci sono quasi cinquemila alloggi sul mercato delle locazioni turistiche solo per la piattaforma Airbnb, che inevitabilmente ha drogato anche il mercato degli affitti tradizionali. Secondo una stima del portale Idealista, negli stessi dieci anni il costo dell’affitto a metro quadrato è passato da 10 a 18,6 euro. Il fenomeno riguarda tutti i quartieri, anche quelli considerati popolari.
Gli sgomberi di centri sociali, linfa delle controculture che hanno reso celebre Bologna, voluti dall’Amministrazione per contrastare il “degrado”, unitamente ai progetti di riqualificazione, hanno determinato un processo di gentrificazione, con l’aumento dei prezzi delle case anche dove erano più economiche.
L’amministrazione comunale, guidata dal sindaco dem Matteo Lepore, ha lamentato il taglio dei fondi governativi per l’affitto e la morosità incolpevole, ha chiesto una regolamentazione nazionale per gli affitti turistici, ma nel proprio piano per l’abitare non ha saputo mettere in campo misure incisive. Anzi: ha favorito l’insediamento di studentati per ricchi realizzati da multinazionali, pretendendo in cambio la destinazione di appena il 5 per cento delle stanze con canoni concordati.
Ha voluto la realizzazione di co-housing per la fascia grigia della popolazione, quella troppo ricca per le case popolari ma troppo povera per il mercato, ma con bandi che sono stati oggetto anche di scontri col ministro Matteo Salvini per i requisiti richiesti. L’ulteriore misura adottata è la creazione di una fondazione allo scopo di persuadere con benefici fiscali derivanti da fondi pubblici i proprietari degli oltre 13mila alloggi vuoti in città a metterli sul mercato dell’affitto.
I costi per la casa, però, risultano proibitivi per molte famiglie del ceto medio. Secondo uno studio dell’Ires Cgil, a Bologna uno stipendio da 1500 euro al mese senza una casa di proprietà non garantisce più un benessere sufficiente. Il mantenimento di quest’ultimo sembra essersi inoltre spostato dal lavoro alla rendita.
Elementi che possono essere controprovati dai dati della Caritas sulle persone povere assistite, che negli ultimi anni hanno registrato un aumento percentuale a due cifre e che si attestano sulle novemila in una città di appena 400mila abitanti.
Una città escludente
Segnali di una città troppo costosa per le fasce popolari arrivano anche dall’università. È la stessa Alma Mater a riferire che gli studenti che giungono a Bologna dal centro-sud sono in netto calo proprio per questioni economiche, mentre aumentano a doppia cifra gli arrivi degli studenti internazionali. Parafrasando una vecchia canzone di Paolo Pietrangeli, l’operaio non può più volere il figlio dottore.
Mentre tutto il paese si è trovato sotto la morsa dell’inflazione e della bolla speculativa sui costi dell’energia, la regione Emilia-Romagna, guidata sempre dal centrosinistra, è stata la prima in Italia ad approvare una legge per attrarre talenti. Attraverso diverse agevolazioni, l’obiettivo è quello di attrarre e trattenere sul territorio giovani con elevate specializzazioni. Politiche, insomma, rivolte a ceti medio-alti, mentre quelli più fragili vengono espulsi dal centro cittadino o dalla prima periferia.
L’ultima misura ad aver fatto divampare la polemica in città è l’aumento del costo dei biglietti per gli autobus del trasporto pubblico locale. In una città che si è trasformata in un cantiere per la realizzazione delle linee del tram con i fondi del Pnrr e che quindi, oltre ad essere congestionata, ha visto peggiorare la qualità del servizio dei bus, tra corse saltate, ingenti ritardi e tempi di percorrenza dilatati, l’Amministrazione comunale ha deciso di fronteggiare il taglio al fondo nazionale del Tpl, operato dal governo Meloni, aumentando del 53 per cento il costo della corsa singola, passato da 1,50 a 2,30 euro (il più caro in Italia) e del 36 per cento il costo di citypass da dieci corse.
Il primo cittadino ha provato a giustificare la manovra sostenendo di voler incrementare gli abbonamenti del trasporto pubblico, ma in una città al settimo posto in Italia per il costo della vita, le critiche che hanno investito la maggioranza rischiano di alimentare l’idea di un centrosinistra sempre più distante dalle classi popolari e sempre più attento agli interessi dei ricchi.
© Riproduzione riservata
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link