Bomba sulla petroliera in Liguria, la pista degli attentatori ucraini

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La guerra tra Russia e Ucraina potrebbe essere arrivata nel Mediterraneo o, meglio, sulle coste italiane. E a portarcela potrebbero essere stati «terroristi» di Kiev. Il sostantivo non è usato in modo improprio dal momento che sull’esplosione avvenuta a bordo della petroliera per greggio Seajewel (un bestione lungo 245 metri e largo 42) al largo di Savona, nella notte tra il 14 e il 15 febbraio, la Procura di Genova ha aperto un fascicolo per terrorismo. Il cargo, battente bandiera maltese, è attualmente ormeggiato nel campo boa davanti alla costa savonese per uno squarcio nello scafo provocato, come detto da un’esplosione. L’ipotesi di reato è naufragio aggravato dal terrorismo. Questa mattina il procuratore capo Nicola Piacente, con la sostituta Monica Abbatecola della Dda, ha avuto una riunione con la Digos di Genova e la Capitaneria di porto. La nave era in rada per scaricare greggio e il sospetto è che «sabotatori» ucraini abbiano agito per mandare in segnale alla cosiddetta flotta fantasma russa che permetterebbe a Mosca di aggirare l’embargo sul proprio petrolio. La Seajewel proveniva dall’Algeria ed era precedentemente transitata da un porto della Turchia. Secondo fonti di intelligence internazionali in contatto con l’Antiterrorismo italiano e i nostri 007 lo scoppio sul tanker maltese andrebbe collegato a un evento analogo avvenuto nel pomeriggio dell’1 febbraio nel porto commerciale di Tripoli, in Libia, quando è stato danneggiato un altro mercantile, proveniente da Malta e ancor prima dal porto russo di Ust-Luga sul Mar Baltico, da dove era partita il 12 gennaio per approdare sulla costa africana il 28 gennaio. Proprio a Ust-Luga sarebbero avvenute diverse operazioni di sabotaggio contro obiettivi russi, soprattutto navi adibite al trasporto di prodotti petrolchimici. Il 29 gennaio, per bloccare il flusso di petrolio russo, droni ucraini hanno colpito il principale oleodotto che rifornisce il porto. Una strategia di guerra che gli ucraini avrebbero deciso di esportare nel Mediterraneo.

La Grace Ferrum, questo il nome del cargo battente bandiera liberiana (183 metri di lunghezza per 32 di larghezza), aveva a bordo un carico di circa 38 mila tonnellate di nafta. Fra le cause dell’esplosione, si parlerebbe di un possibile ordigno magnetico posizionato a contatto con lo scafo. Esattamente lo stesso tipo di bomba che si sospetta abbia colpito davanti alla Liguria. La nave è stata soccorsa e rimorchiata, dopo una chiamata di emergenza per lo squarcio aperto nello scafo e per la perdita di combustibile in mare, anche se il mercantile non è mai stato a rischio affondamento. Nell’immediatezza è stata rilevata una falla di circa un metro sopra la linea di galleggiamento dello scafo, mentre le ispezioni subacquee della Guardia costiera libica hanno permesso di individuarne una seconda, sott’acqua, di circa due metri di diametro.
Le indagini sono tuttora in corso: la nave è ferma nel porto di Tripoli ed è stata messa in sicurezza, in attesa dello sviluppo delle indagini da parte delle autorità competenti. Anche a Savona, secondo le prime investigazioni, ci sarebbe stata più di un’esplosione dall’esterno verso l’interno e queste avrebbero prodotto uno squarcio di un metro e mezzo e avrebbero causato una notevole moria di pesci. Nei due sopralluoghi effettuati sinora i sommozzatori del Comsubin (Comando subacquei e incursori) della Marina militare sono andati alla ricerca di materiale (possibilmente tracce di esplosivo o pezzi di ordigni) per effettuare le analisi forensi che consentano di ricostruire con precisione la dinamica dei fatti e magari scoprire la provenienza e tipologia della «bomba». Tali risultati potrebbero poi essere messi a confronto con quelli raccolti in Libia. Il confronto servirà ad appurare se il collegamento tra i due episodi immaginato in queste ore da esperti internazionali della lotta al terrorismo abbia colpito nel segno.

A voler allargare lo spettro di osservazione ci sono altri due incidenti che appaiono sospetti se associati: lo scorso 23 dicembre, mentre attraversava lo stretto di Gibilterra, la nave Ursa Major è stata colpita da un’esplosione nella sala macchine. Salvati 14 marittimi, due dispersi. La petroliera aveva fatto scalo nel solito porto di Ust-Luga, prima di proseguire la navigazione. Undici giorni fa, invece, a pochi giorni dall’incidente della Seajewel, la petroliera Koala, battente bandiera liberiana, è stata colpita da tre violente esplosioni sempre nella sala macchine mentre era ormeggiata ancora a Ust-Luga. Nessuna vittima, danni ingenti. Coincidenze? È noto che i sabotatori ucraini abbiano già colpito in modo spericolato. Notissimo il caso del gasdotto North Stream, nel Mar Baltico, che trasportava gas russo in Europa. Nel settembre del 2022 un gruppo di sommozzatori di Kiev avrebbe sabotato l’infrastruttura strategica sotto la guida dell’ex capo delle forze armate Valeri Zaluzhny, che avrebbe agito contro gli ordini del presidente Volodymyr Zelensky, che aveva in un primo momento approvato il piano e poi rinunciato su consiglio della Cia. Ma nel caso delle due navi più che di attacchi distruttivi si tratterebbe di attentati dimostrativi, per quanto pericolosi. Al punto che le agenzie di intelligence stanno consigliando alle autorità preposte alla sicurezza marittima di intensificare i controlli sul traffico mercantile, consigliando di tenere le navi più a rischio alla fonda. L’ipotesi più accreditata, al momento, è quella del minamento, anche se è difficile scoprire dove questo sia avvenuto. Le prime indagini in Liguria non escludono che sia stato messo in atto addirittura in acque territoriali italiane se non nell’area delle boe dove state registrate una o più esplosioni.

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Gli analisti puntano a capire, incrociando i dati sui porti visitati dalle due navi colpite tra l’1 e il 14 febbraio, se ci sia stato un punto d’attracco comune. Una delle ipotesi sul tavolo è che le imbarcazioni vengano «minate» durante la sosta nei porti del Nord-Europa, ma non si esclude che tali azioni di sabotaggio possano essere eseguite direttamente da una cellula di sabotatori con base in una Paese del Mediterraneo (in Turchia, a Malta o nel Nord Africa) o che si appoggia a una nave militare mercantile che staziona in zona. Nella guerra sporca tra russi e ucraini, quest’ultimi hanno messo nel mirino la cosiddetta flotta fantasma di Mosca. In un articolo del giornale online Ukrainska Pravda si legge: «La Seajewel è una delle petroliere che sono state caricate con merci russe tre volte nel 2024 (a febbraio, marzo e maggio) e sono tornate dopo ogni scarico. In precedenza Ukrainska Pravda aveva scoperto che la Seajewel era stata avvistata mentre scaricava nel porto rumeno di Costanza dopo essere arrivata dal porto turco di Ceyhan. Fonti delle forze dell’ordine avevano riferito che la petroliera avrebbe dovuto dirigersi verso la città russa di Novorossiysk per oil trasbordo». Per i giornalisti ucraini la Russia continuerebbe a spedire petrolio nell’Unione europea nonostante le sanzioni. Il governo statunitense, prima dell’arrivo di Donald Trump, aveva imposto sanzioni non solo contro le compagnie petrolifere russe, ma anche nei confronti di 183 navi che avrebbero trasportato petrolio russo. Una flotta ombra o fantasma che sarebbe molto più numerosa di così. Secondo Standard & Poors sono state costituite nuove compagnie di navigazione ad hoc in luoghi come India, Emirati Arabi Uniti e Hong Kong, dove sono stati trovati nuovi partner e acquirenti di petrolio russo e sono state create nuove compagnie assicurative per offrire protezione e indennizzo alla flotta ombra.

Il numero complessivo di navi coinvolte nella spedizione di petrolio russo dal 5 dicembre 2022 è di 1.431. Circa il 24% di tutte le petroliere sarebbero state impegnate nella spedizione di petrolio russo e, su queste, il 10% farebbe parte della flotta ombra. Sessantasette batterebbero bandiera iraniana, facendo della Repubblica islamica il Paese più rappresentato in questa flotta. La Seajewel, oggi, nonostante sia ufficialmente maltese, è gestita dalla Thenamaris, compagnia di proprietà della famiglia di armatori greci Martinos, la cui flotta può contare su 93 navi fra petroliere, rinfusiere e portacontainer. Nel 2021 si chiamava ancora Ocean voyager e venne fermata a Gibilterra il 22 aprile di quattro anni fa e rilasciata il 26 maggio dello stesso anno. Successivamente è stata venduta a nuovi proprietari e ribattezzata. Da allora non aveva più avuto disavventure, sino a quella della notte di San Valentino.





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