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L’opposizione all’agrivoltaico non ha ragione d’esistere. Opponendosi si perdono molte occasioni. Ecco la guida di Nextville

Negli ultimi tempi sull’agrivoltaico, una tipologia di fotovoltaico che rende possibile il doppio utilizzo dei territori, sia energetico sia agricolo, le polemiche si sono intensificate, e questa tecnologia è entrata in quello che è diventato un “tritacarne mediatico” che sta coinvolgendo tutte le fonti rinnovabili mature e le tecnologie connesse, come l’accumulo e le reti di trasmissione, per esempio il Tyrrhenian Link da parte della Regione Sardegna. Molte delle opposizioni all’agrivoltaico, come quelle a livello locale nel Pordenonese e in Sardegna, puntano su un presunto consumo di suolo che in realtà non esiste, visto che le tecnologie agrivoltaiche per loro natura insistono su territori che sono, e continuano a essere, utilizzati per l’agricoltura, compresa quella di qualità. I dubbi di chi si oppone all’agrivoltaico sono supportati da ipotesi che vedrebbero questa tecnologia come “anticamera” a un utilizzo esclusivo a fini energetici dei terreni sottostanti. Dubbi che non hanno ragione d’esistere poiché il GSE verifica la continuità dell’attività agricola e pastorale sul terreno oggetto dell’intervento, seguendo le modalità stabilite dalle linee guida CREA-GSE.

 

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Crisi di superfice

In realtà si tratta di polemiche che non tengono conto della storia agricola recente del nostro paese. Dal 1990 al 2020 la Superficie Agricola Utile (SAU) italiana è diminuita del 18,3%, ma se guardiamo più in là nel tempo, e partiamo dal 1961, questa percentuale diventa del 42%. E il Mezzogiorno, territorio energeticamente più “produttivo” per l’agrivoltaico, ha visto una perdita, dal 1990, quasi doppia rispetto alla media nazionale, con un meno 33%. Le cause principali di questo fenomeno sono: l’abbandono delle aree rurali montane e collinari che ha contribuito in modo significativo alla diminuzione della SAU; l’espansione urbana e infrastrutturale, con la cementificazione che ha sottratto terreni all’agricoltura; gli eventi estremi e gli sfasamenti stagionali, introdotti dai cambiamenti climatici, che hanno reso alcune aree meno adatte alla coltivazione; la concentrazione aziendale, visto che il numero di aziende agricole si è ridotto drasticamente (un meno 75% negli ultimi decenni), con un aumento della dimensione media delle aziende rimaste. Le rinnovabili tra i fenomeni di questa perdita di SAU sono non pervenute. Si è passati in pratica dai 14,7 milioni di ettari del 1990 ai 12,5 del 2020. Una perdita secca di 2,2 milioni di ettari. Usiamo la calcolatrice. In media in un ettaro si possono installare 0,55 MWe di fotovoltaico a terra. Se per assurdo volessimo installare del fotovoltaico a terra su questi 2,2 milioni di ettari di SAU persa arriveremmo a installare 1.210 GWe di potenza fotovoltaica senza toccare un solo metro quadro di terreno coltivato. Per dare un’idea secondo i dati del Sistema Nazionale Protezione Ambiente (SNPA), a fine 2023 il fotovoltaico a terra occupava circa 17.907 ettari, equivalenti a circa 9.950 MW di potenza, corrispondenti allo 0,0593% del suolo nazionale, oppure allo 0,814% della SAU persa o ancora allo 0,0143% dell’intera SAU utilizzata oggi. 

Competizione inesistente

Tenuto conto che, secondo il Pniec, per raggiungere gli obiettivi al 2030 per il fotovoltaico si prevedono altri 57 GWe di nuova potenza da installare, appare chiaro, ammesso che tutta questa potenza si realizzi con impianti a terra, che servirebbe circa lo 0,5% del territorio nazionale, pari a circa 180 mila ettari. E l’agrivoltaico interesserebbe una frazione di questa quota. Motivo per cui non si capisce per quale ragione molte regioni, Sardegna in testa, s’oppongano in prima istanza al fotovoltaico a terra e anche all’agrivoltaico che è ben lontano dall’assaltare il territorio e a entrare in competizione con le coltivazioni alimentari. L’agrivoltaico, come del resto le Comunità energetiche rinnovabili, rappresenta invece una saldatura tra il mondo dell’energia rinnovabile e il tessuto sociale, per il semplice fatto che aiuterà le aziende agricole, specialmente quelle più piccole, già messe in crisi dai prezzi dei prodotti al continuo ribasso a causa delle politiche commerciali della grande distribuzione organizzata, a generare reddito complementare e a decarbonizzare l’agricoltura, che è, ancora, un settore in cui l’energia fossile la fa da padrone. Per aiutare le realtà più piccole a districarsi nel dedalo burocratico delle regole circa l’agrivoltaico Nextville ha prodotto una guida, aggiornata in tempo reale, sulla normativa relativa.



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